
Movimento nonviolento di Palermo: condanna senza riserve dell’omicidio di Charlie Kirk
PALERMO-ADISTA. «Nel clima di odio pervasivo che avvelena attualmente l’atmosfera del nostro pianetino non possiamo permetterci né silenzi ambigui né parole fuori luogo. Perciò, chi si colloca in una prospettiva seriamente “nonviolenta” (che non è né genericamente pacifista né ancor meno oscillante a fisarmonica tra violenze cattive e violenze buone), lo deve dichiarare chiaro e forte: l'assassinio di Charlie Kirk è da condannare come ingiustificabile, inaccettabile». È quanto scrive in una nota il Centro palermitano del Movimento nonviolento
«Il killer era un povero squilibrato? Lo accerteranno i competenti – prosegue la nota –. Era davvero un antifascista e un avversario dell'omofobia? Se questo profilo verrà confermato dal prosieguo delle indagini, tali sue caratteristiche non costituiscono attenuanti, se mai aggravanti.
Quanti riteniamo di essere antifascisti e avversari dell'omofobia non possiamo approvare la schizofrenia di chi, proclamandosi a voce democratico, nei fatti si comporta da odiatore intollerante. Assassinare un avversario politico, per quanto portatore di idee spregevoli ed esaltatore dell'uso privato delle armi come era Charlie Kirk, significa abbassarsi al suo livello morale, omologarsi alla sua indegnità etica. E, come se ciò non fosse già abbastanza autolesionistico, significa regalare alla Destra trumpiana (e alle sue numerose fotocopie diffuse nel mondo, Italia non esclusa) degli ottimi argomenti di propaganda elettorale.
Il ventiduenne Tyler Robinson, incensurato che ha inciso nelle pallottole omicide “Bella ciao” o “Fascista beccati questa”, è stato davvero mosso da motivazioni nobili o, per lo meno, ampiamente condivisibili? Non lo sa, né lo potrà mai sapere, nessuno. Ma la giustizia dei tribunali non è abilitata a leggere nelle coscienze: le basta, quando ci riesce con sufficiente approssimazione, valutare le azioni. E un delitto è un reato sia se un fascista ne è autore sia se ne è vittima. Non c’è nessuna bontà del fine che giustifichi l’adozione di mezzi pessimi. In tutti i casi, colpire a morte un disarmato (o un armato che si possa fermare ragionevolmente senza ucciderlo) dal punto di vista etico è degradare il livello medio dell’intera umanità. Dal punto di vista politico, poi, è insano come illudersi che la soppressione di un sintomo equivalga alla guarigione dalla malattia: sappiamo che, al contrario, è proprio l’emergere alla vista di certe pustole o di altre anomalie a permetterci di misurare la gravità di un’infezione e di tentare di agire sulle sue cause profonde. Senza infantili scorciatoie».
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