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In pace e in guerra. Dio come arma assoluta

In pace e in guerra. Dio come arma assoluta

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 36 del 18/10/2025

Possiamo osservare il nuovo ordine del disordine mondiale da molti punti di vista. In primo luogo la liquidità del diritto, per parafrasare Bauman, nel senso non solo delle sue trasformazioni e manipolazioni, ma anche del suo scioglimento letterale. Diritti umani e diritto internazionale hanno perso i loro fondamenti nei governi, che li dovrebbero osservare – “fino a un certo punto” direbbe il ministro degli Esteri Tajani – e far osservare, ma anche nella società civile che li ha considerati come punti fermi senza più prendersi cura delle loro ragioni, senza fare manutenzione insomma. La politica, che è sempre stata quella del più forte, ha abbandonato le vesti con cui nel Teatro delle libertà apparenti era finora entrata in scena, ha vestito il costume dell’arbitrio in nome del popolo, della lotta a un nemico e degli interessi di una élite e soprattutto di Dio. E ci sono le guerre, peraltro mai cessate anche dopo la fine della guerra mondiale, sempre calde a dispetto della guerra fredda che pareva averle congelate. All’apparente equilibrio del terrore nucleare che avrebbe dovuto scongiurare la guerra totale, vediamo ovunque guerre con la minaccia reale dell’impiego delle armi nucleari, e alla minaccia della guerra si risponde ormai solo armandosi di più dello schieramento avversario.

Un’arma già presente nella storia e nella contemporaneità si sta imponendo con prepotenza: Dio. Lo conosciamo bene come arma dei fondamentalismi di ogni tipo. Dall’11 settembre in poi l’abbiamo identificato nell’islam, assimilato al terrorismo e additato come pericolo assoluto, perdendo di vista il fondamentalismo cristiano e quello ebraico. Trump 1 e il suo consigliere Bannon, soprattutto Trump 2 e il martire Kirk ci hanno risvegliato dal sonno riproponendoci l’uso della religione che avevamo dimenticato, quello del potere, e l’assunzione di Dio come essenza del potere stesso. Il Dio di Trump e il Dio Trump rappresentano la fusione di un potere assoluto perché chi è contro il Trump-Dio deve andare all’inferno in terra. E in nome di quel Dio si fa la guerra. In questo scenario si pone il problema di come fermare le guerre e impedirne di nuove. La ricetta è nota da tempo: svuotare gli arsenali. E si ripropone oggi con il riarmo dell’Europa per rispondere alla minaccia di Putin e a quel tirchio di Trump che non vuole spendere in armi. Poiché le produce ed è sostenuto dalla lobby che le fabbrica, Trump deve garantire comunque il cliente, e l’Europa è al suo servizio. Alla crisi sociale i governi sottraggono così altre risorse con le armi. Lo stop al riarmo diventa una priorità per la sicurezza comune, ma anche la condizione per soddisfare i bisogni primari come educazione, sanità e lavoro. Si ripete oggi quello che l’inventore dei bilanci di guerra per la pace, Raoul Follereau, chiedeva oltre 70 anni fa: «Datemi due bombardieri», il costo di un bombardiere ciascuno a Usa e Urss per curare tutti i malati di lebbra, il flagello di quel tempo. Quante scuole, quanti ospedali, quanti posti di lavoro potremmo creare oggi fermando il riarmo? Quando si fabbricano e si comprano armi, prima o poi queste armi si usano. Questo è l’appello alla logica che però chi governa non sta ad ascoltare. Inoltre non basta distruggere le armi, se non disarmiamo anche gli animi, le parole, i discorsi dell’odio.

A questi appelli ne manca uno che ci siamo dimenticati: quello di disarmare le fedi utilizzate per giustificare la guerra. Costruire un osservatorio sulla produzione, la vendita e l’impiego delle armi è concettualmente molto semplice. Più complicato è tracciare una fede che arma la volontà di chi vuole fare la guerra. Abbiamo certo ascoltato i discorsi di Trump, di Putin, di Netanyahu e dei sui ministri dell’estrema destra, ma non ci siamo resi conto se non con moltissimo ritardo dell’arma più potente di tutte, quella di Dio, che comanda alle armi da fuoco di uccidere, sterminare, annientare. E ancora oggi ripetiamo, giustamente, di fermare il riarmo e chi usa le armi, ma ci sfugge quella potentissima forza di fuoco che è la fede urlata, rivendicata, mostrata e che alimenta la volontà dell’annientamento del nemico designato.

È in questa lacuna che è nata l’iniziativa di Fedi Disarmate su impulso di due associazioni: la Commissione Globalizzazione e Ambiente (GLAM) delle FCEI (Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia) e il CIPAX (Centro interconfessionale per la pace). È il frutto di una collaborazione tra le due associazioni nata nel corso degli anni e che si è sviluppata all’interno della Rete italiana pace e disarmo (RIPD) anche per riempire quel vuoto di analisi che ha caratterizzato il tentativo, faticoso ma sostanzialmente riuscito, di unire le diverse anime del pacifismo italiano. Pur con la partecipazione significativa dell’associazionismo cattolico, è mancato paradossalmente in questi anni il tema del Dio arma assoluta brandita dai protagonisti delle guerre.

Eppure fortissima è stata l’adesione agli appelli alla pace di papa Francesco anche tra i movimenti laici. Anzi questi movimenti hanno assunto con convinzione le parole di Francesco che hanno riempito il vuoto dopo il tramonto delle ideologie delle sinistre. Lo stesso Francesco fin dal 2019 aveva magistralmente portato all’attenzione il grave problema dell’uso del nome di Dio per giustificare odio e violenze sottoscrivendo col grande imam di A-Azhar il Documento sulla Fratellanza umana.

Pensando che la questione dovesse riguardare le singole religioni, non si è dunque sentito da parte dei movimenti per la pace la necessità di assumere queste analisi come parte integrante degli scenari con cui dovevano fare i conti. Se anche le armi dovessero un giorno tacere a Gaza come a Kyiv, e se si smettessero di vendere le armi ai contendenti, a questi resterebbe sempre l’arma di Dio per continuare odio e violenza per disarticolare i sistemi politici e prepararsi a nuove guerre. Disamare le fedi richiede dunque un passaggio ulteriore all’indispensabile disarmo. È necessario andare oltre il semplice dialogo interreligioso in cui riconoscersi e rispettarsi reciprocamente, ma affrontare le radici economiche, politiche, culturali che hanno fatto di Dio un’arma assoluta.

Per l’associazionismo a base religiosa questo significa operare all’interno o comunque nel contesto delle realtà religiose restie a rivedere i propri parametri teologici e culturali di riferimento e le alleanze consolidate nel tempo. Per i movimenti laici significa una lavoro sulla cultura della politica armata cui deve saper rispondere in modo meno superficiale, con parole e con gesti più penetranti e che possano essere capiti anche dalla base delle leadership che usano Dio per affermarsi e mantenersi al potere. 

Luciano Ardesi è sociologo e pubblicista, già docente universitario, esperto di Africa, vicepresidente del CIPAX - Centro Interconfessionale per la Pace

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

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