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Adista perché

Adista perché

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 40 del 15/11/2025

Meglio esplicitare: la libertà di opinione significa “libertà di parlare liberamente”, senza paura di venire condizionati d’autorità ad esprimerci. Le parole possono contenere errori, ma non fanno male almeno al corpo di nessuno e quando fanno danno sono reati chiamati diffamazione o calunnia. Mentre la libertà di stampa si riferisce alla diffusione pubblica del pensiero e ormai include i media tecnologizzati e anche i social il cui potere eversivo difficilmente può essere sanzionato da misure di denuncia.

Siamo in emergenza anche in Italia? No. Per lo meno non ancora. Ma inquieta la già evidente disponibilità – ed è già grave come dato – ad accettare l’adeguamento al pensiero dominante che, per esempio induce a dare largo spazio al “delitto di Garlasco”, un vecchio delitto di una ventina d’anni fa che da settimane induce chi la mattina segue Rai1 a non pensare ad altro. Poi come esempio viene l’uso dei tempi di intervento delle figure politiche di governo o di opposizione sulle reti nazionali finanziate dalle tasse dei cittadini.

Ma le compressioni dell’informazione imposte dal presidente americano e la presenza di governi di destra sovranista in tutta Europa rendono le preoccupazioni non casuali. La stampa americana sostiene che l’attacco con il superbombardiere B2 ha “danneggiato” l’arsenale nucleare iraniano. Il presidente Trump infuriato perché ha “obliterato” il sito della bomba e ha chiesto il licenziamento dei giornalisti falsi, diffamatori e antipatriottici accompagnando gli insulti con una lettera del suo avvocato chiedendo scuse e ritrattazioni. In sostanza per Trump la Cnn è feccia, il New York Times è feccia nonostante che i giornalisti facessero riferimento al precedente report dell’intelligence della Difesa americana che il presidente non ha smentito. Ma il dovere della stampa è tenere aperte le porte alle notizie e alla discussione delle notizie.

Solo che gli americani rischiano di avere una sola verità, quella governativa. Era così anche ai tempi di mio padre quando Mussolini tenne per vent’anni il dominio sulla stampa e la censura sulle libere opinioni mediante provvedimenti restrittivi delle libertà civili e l’intimidazione anche indiretta sulle persone. Il popolo rimase dipendente dalle veline del regime, inesorabilmente asservito.

L’informazione è un diritto. Non sempre facile. Il dovere di sostegno dello Stato è subordinato a criteri di necessità e limitazioni, perché un’informazione plurale non è solo pluralista. I privati dell’associazionismo chiedono, ma non tutti sono realmente numericamente importanti o ritenuti “meritevoli” e bisogna – soprattutto in momenti difficili – pagarsela rispettando i canoni.

Forse non vi ricorderete di aver visto VELVET The fashion Edition, come inserto allegato a uno dei più importanti quotidiani democratici, un giorno qualunque, senza data, pieno solo di pubblicità. Se si è seriamente convinti che la libertà di stampa rappresenta la “mia” libertà di opinione, bisogna partire dal fondo: da quando il cartaceo è soppiantato dall’online e, disgraziatamente, dai social, i giornali hanno le esigenze economiche di sempre – il Corriere è Confindustria e Repubblica Fiat, oggi Stellantis (quasi definitivamente americana). I soldini bisogna trovarli e va alla grande se te la cavi con la pubblicità. Solo che negli ultimi tempi qualche trasformazione di linea e di stile è passata, soprattutto, in modalità diversa, nei telegiornali delle reti pubbliche.

Fare informazione non è mestiere semplice, ma dà il polso del livello di libertà del Paese: quasi vent’anni fa l’America liberale vide reprimere Assange; oggi Bezos, proprietario del Washington Post, ha deciso di allineare il giornale alla linea governativa di Donald Trump e ha comunicato ai suoi giornalisti, mediante e-mail e X, che il direttore era licenziato e la linea cambiata: prendere e adeguarsi, sepolti i principi liberali.

L’informazione è un diritto, ma solo i giornalisti sportivi se la passano senza problemi: gli altri sanno di che colore è la testata e resistono. I notiziari della televisione coinvolgono lavoratori dell’informazione che operano nel sistema pubblico, oggi occupato da un governo che crea e disfa i dirigenti; i giovani reporter che non hanno sicurezza occupazionale tengono a non perdere la retribuzione: incominciano così i problemi del “regime”.

Il sospetto più grande è che, sull’onda conservatrice che ha influenzato anche il resto d’’Europa, si stia formando un clima generale più o meno reazionario, pienamente avvertibile proprio nel campo dell’informazione: la libertà di stampa subisce misure di controllo che relativizzano il principio liberale. Molti lettori del Washington Post hanno disdetto l’abbonamento, ma il lettore normale non sempre si accorge di subire un imbroglio.

Da noi le reti pubbliche cercano di resistere, ma l’ultimo sciopero è stato parziale e i social sono diventati pericolosi interlocutori, capaci di suggestionare gli elettorati.

L’indignazione dei partiti di sinistra non va oltre l’attacco alla presidente Meloni, che difende piccata la sua politica con accuse, intimidazioni, spregio nei confronti dei giornalisti, snobbandoli nelle stesse conferenze-stampa ridotte al minimo.

Un trauma collettivo è stato l’attentato all’autore di Report, Sigfrido Ranucci, inquietante non solo perché non c’è ancora accertamento dei responsabili, ma perché il governo cerca di rovesciarne la causa sulla trasgressività delle inchieste e passa alle denunce delle indagini portate avanti dai giornali indipendenti. La solidarietà democratica non basta: devono continuare le inchieste anche se riguardano irregolarità, amichettismi e corruzioni che i cittadini, senza la professionalità dei giornalisti, ignorerebbero. Gli scandali non piacciono ai potenti (ma in Francia un ex-premier è in carcere) e la destra sta usando l’autorità di governo per appropriarsi di ogni posto di potere foss’anche un teatro: l’informazione è a rischio. C’è tutta una serie di testate che mantengono il cartaceo – fa ancora presa in non piccole fasce della popolazione – volute da movimenti, associazioni, gruppi che hanno bisogno di mantenere il loro legame e scambiare e diffondere le loro interpretazioni degli umani interessi e sentono vitale esprimere in autonomia informazioni e approfondimenti alternativi che non si trovano nei giornaloni. Quando i tempi sono difficili e queste pubblicazioni che già subiscono la concorrenza dell’on-line, subiscono anche gli effetti della crisi comune non può diventare oneroso il rinnovo dell’abbonamento. Attenzione, si tratta di un piccolo investimento irrinunciabile, come le spese mediche: infatti questa controinformazione è terapeutica, riguarda la sanità sociale. Quindi un abbonamento a uno strumento di critica politica è di per sé lotta per la libertà di stampa e di coscienza. 

Giancarla Codrignani è attivista femminista, per la pace e per la laicità. Giornalista, scrittrice, già parlamentare della Sinistra Indipendente

 

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