IL VERO DELITTO
Tratto da: Adista Contesti n° 16 del 25/02/2006
A CHI È UTILE L’ESPLOSIONE DI RABBIA PROVOCATA DALLE VIGNETTE CONTRO MAOMETTO? LE IPOTESI DI LAVORO DI UN MUSULMANO IN FRANCIA.
ALKRAM BELKAÏD,
GIORNALISTA E SCRITTORE IN FRANCIA, È L’AUTORE DI QUESTO ARTICOLO, PUBBLICATO
SUL SITO INTERNET DI MUSULMANI INDIPENDENTI DI VARI PAESI “OUMMA.COM”. TITOLO ORIGINALE: “QUELQUES RÉFLEXIONS À PROPOS DE L’AFFAIRE DES CARICATURES”
La penosa questione delle caricature pubblicate dal giornale danese Jillands-Posten obbliga i musulmani di Francia a porsi le seguenti domande: cos’è grave e riprovevole nella pubblicazione di questi disegni di pessima qualità? È il fatto che vi sia stato rappresentato il profeta Maometto (pace e salute a lui)? È perché ci si è presi gioco di lui? O perché lo si assimila ad un terrorista?
Il delitto di blasfemia? Non esiste
Se ci tengo a porre queste domande, è perché mi sembra che la confusione sia totale e che sia urgente rivolgere uno sguardo critico all’esaspe-razione dei toni che sta conoscendo attualmente il mondo musulmano. Per quel che mi riguarda, penso che faccia problema solo il fatto di avere assimilato il profeta ad un terrorista. Questo rientra, a mio avviso, nella categoria dell’incitamento all’odio, ed esistono delle leggi per punire questo tipo d’aggressione. Rappresentare il profeta con una bomba sulla testa è in effetti una provocazione irresponsabile che getta l’anatema su un miliardo di musulmani.
Ma prima di avventurarci in tale questione, devo riconoscere che non mi sento assolutamente in diritto, in quanto musulmano, di gridare al delitto di blasfemia. Posso essere frainteso – e mi viene male a scriverlo – ma, mi dispiace, le persone, che siano pittori, scultori o caricaturisti, hanno il diritto di rappresentare il profeta se lo desiderano. Siamo in Francia, e la libertà d’espres-sione e di creazione è un diritto, una conquista, che bisogna custodire e difendere ad ogni costo. Il delitto di blasfemia qui non esiste e, se amiamo il Paese nel quale viviamo, dobbiamo accettarlo. Ecco una concessione che ci detta il buon senso e che non urta la nostra convinzione religiosa. C’è un solo vincitore, è Allah, e non saranno dei miserabili disegni a cambiare o sminuire la nostra fede. Parimenti, che degli idioti incoscienti, qua e là, abbiano voglia di ridere del profeta, questo mi ferisce profondamente, ma è un loro diritto. Ridere del profeta dei musulmani, di colui il cui nome è citato in ognuna delle nostre professioni di fede, è un diritto o una licenza che io non mi concedo ma che non nego a nessuno, neanche, ed è molto importante, ad un musulmano. Ognuno è libero e responsabile delle proprie azioni. Ancora una volta, un solo vincitore, Allah. Allo stesso modo, non ho mai apprezzato panzane sul papa o sui cristiani, ma non concepisco appellarsi ai tribunali per questo.
Il delitto che esiste: incitamento all’odio
Per contro, come dicevo, nell’assimilazione di Maometto a un terrorista non si ravvisa, secondo me, libertà d’espressione. È una provocazione islamofoba e la natura del suo messaggio è evidente: non si è più nel campo della comicità, ma si va dritti dritti in quello della politica. “Sono tutti terroristi perché lo è il capo originario della loro comunità, la loro guida, colui il cui nome è il più citato nel mondo musulmano”, ecco cosa vuole implicitamente dire questa caricatura. È per questo che bisogna fare prova di discernimento in questa questione. Le proteste devono focalizzarsi unicamente sull’equivalenza “musulmano=terro-rista”, perché il resto merita solo disprezzo ed un’alzata di spalle.
No al boicottaggio. No alla violenza
Perché bruciare le ambasciate? Perché punire collettivamente tutto un popolo, danese, norvegese o francese, quando solo alcuni individui sono coinvolti nella vicenda? Sono afflitto per quello che vedo e sento nel mondo musulmano. Che senso ha tutto ciò? Ancora una volta, diamo l’immagine di una umma (identità collettiva, ndt) incapace di dominarsi, che si infiamma alla minima scintilla e che è incapace di assumere una distanza critica dagli avvenimenti. In Danimarca, come in Francia e contrariamente alla Siria, un governo non può censurare un giornale. Tantomeno può scusarsi per quello che un giornale indipendente ha pubblicato. Il fatto stesso che non si riesca a capire questo nel mondo arabo-mu-sulmano la dice lunga sulla sua immaturità. E dove sarebbe la responsabilità di tutti i danesi nei disegni? Noi musulmani detestiamo essere vittime di equivalenze che ci stigmatizzano, ma fare appello al boicottaggio dei prodotti danesi non è altro che applicare una punizione collettiva ingiusta.
Riflettiamo un po’
È anche necessario studiare bene la genesi di questo fatto. Le caricature sono state pubblicate a settembre. Perché lo scandalo diventa planetario adesso? Certo, nel settembre scorso, il primo ministro danese ha dato prova di una stupidità totale rifiutandosi di ricevere gli ambasciatori dei Paesi musulmani accreditati a Copenaghen, ma non è stato questo che ha acceso la miccia. In realtà, a dare inizio alla crisi, è stata la visita nei Paesi del Golfo e in Egitto di alcuni religiosi musulmani di Danimarca. Si è trattato di una visita di informazione o di disinformazione? Come spiegare i messaggi circolati in internet a proposito di copie del Corano bruciate in Danimarca?
Altra pista di riflessione: chi può negare che i governi del Medio Oriente abbiano tutto l’inte-resse a tenere occupati i loro popoli e ad offrir loro nemici lontani da schernire per impedire che pensino al rovesciamento dei regimi dittatoriali? Ieri era Israele, oggi sono i danesi. Quando ho letto che i ministri dell’Interno arabi hanno protestato contro queste caricature, mi è venuta voglia di vomitare. Ecco i maestri della persecuzione e della confisca delle libertà individuali che si rifanno una verginità grazie a questa vicenda. Che ipocrisia!
Non sono un adepto della teoria del complotto, ma ci tengo a condividere con voi questa ipotesi di lavoro: da svariati mesi, i giornalisti che coprono l’attualità economica mondiale tengono d’occhio i segni anticipatori di una disaffezione al dollaro. Si sa che le casse dei Paesi musulmani produttori di petrolio sono piene da scoppiare di biglietti verdi. Che succederebbe se questi Paesi decidessero di vendere questi dollari per comprare euro in modo da diversificare le loro riserve di cambio? La risposta è semplice, di grande preoccupazione per gli Stati Uniti la cui economia dipende dalla predominanza del dollaro. Allora, quando vedo il gioco torbido del governo egiziano in quest’affare e sento il governo americano criticare le caricature e muoversi in direzione araba, mi pongo delle domande e dico che bisogna essere molto prudenti in tutta questa faccenda.
E perché la Danimarca?
Gli Stati Uniti, parliamone. Guantánamo, l’Iraq, forse domani l’Iran. Chi protesta? Chi boicotta? Nessuno. Prendersela con un piccolo Paese è più semplice. Non comprare i Lego è più semplice che inchiodare dei Boeing al suolo o non utilizzare i software microsoft. Invece di far fronte in modo sereno a questa provocazione, i musulmani del mondo intero trovano in questa vicenda i mezzi per sfogarsi con poca spesa.
Alcuni insegnamenti che dovrebbero trarre gli occidentali
Non si cura il suscettibile con giochi di parole. Il mondo musulmano è profondamente tormentato da un sentimento di umiliazione che sarebbe irresponsabile trascurare. In questa faccenda, la libertà di espressione ha buon gioco perché quello che è in ballo è l’accelerazione del processo di scontro di civiltà. I giornalisti dello Jillands-Posten sapevano molto bene quello che facevano e la loro provocazione ha funzionato, considerando l’infiammarsi del mondo arabo. Preghiamo Dio perché tutto si calmi al più presto, ma io temo il peggio. Ogni volta che i musulmani verranno provocati gratuitamente, gli estremisti trionferanno. Già poco ascoltati nelle loro comunità, i riformatori, i modernisti, saranno ancor più sommersi dal baccano degli estremisti. È questo che vogliono i De Villiers (deputato nazionalista francese, ndt) e compagnia: per loro, l’islam non può, non deve essere, che furore, protesta e violenza.
A proposito di France Soir
Non conosco Raymond Lakah. La sua decisione di licenziare il direttore di France Soir fa colare molto inchiostro. Alcuni vi vedono un inammissibile colpo alla libertà d’espressione, mentre altri vi scorgono motivi bassamente mercantili. Non so chi ha ragione, anche se ricordo altri padroni di giornali che hanno cacciato direttori di redazione: ce ne sono stati vari nella storia della stampa francese, senza dimenticare le televisioni dove una parola di troppo significa vedersi sbattere definitivamente la porta in faccia. Ma quello che mi stupisce è che nessuno ha ricordato che Lakah, un cristiano – cattolico-romano, se non sbaglio – è originario dell’Egitto. Bisogna ricordare che in questo Paese la minoranza cristiana, particolarmente i copti, non vive giorni facili. Immaginate un solo istante che profitto possano trarre i gruppi estremisti egiziani dal fatto che un giornale francese, proprietà di un cristiano egiziano, ha pubblicato delle caricature offensive per l’islam. I giornalisti di questo quotidiano hanno sbagliato a non pensarci.
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