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L’IMPROVVISAZIONE CI SALVERÀ

Tratto da: Adista Contesti n° 32 del 29/04/2006

CINQUE ANNI DI BERLUSCONI HANNO PRODOTTO UNA “GRANDE OPERA” SUL PALCOSCENICO E PEGGIORATO LA CRISI DIETRO LE QUINTE.

QUESTO ARTICOLO DI TIMOTHY GARTON ASH, È STATO PUBBLICATO SUL QUOTIDIANO INGLESE “THE GUARDIAN” (13/04/06). TITOLO ORIGINALE: “ONLY THE NATIONAL GENIUS FOR IMPROVISATION CAN SAVE ITALY NOW”

L’opera è magnifica. Peccato per il teatro, però. Silvio Berlusconi, il cui solo nome sembra quello di un maestro del genere burlesco, per anni ha contribuito al divertimento del mondo con le sue buffonate, la sua bandana e le sue barzellette sopra le righe. In un’elezione segnata da una suspense teatrale, gli scambi di battute colorite tra il cavalier Berlusconi e il professor Prodi mi hanno ricordato inevitabilmente il Capitano e il Dottore della Commedia dell’Arte. Poi il coup de theatre finale: mentre il risultato è in bilico, il capo di tutti i capi, il padrino, Don Corleone in carne ed ossa, viene catturato in una remota masseria vicino alla piccola cittadina di Corleone dopo più di 40 anni di latitanza. Non dice una parola. Vita e arte, realtà a finzione diventano quasi indistinguibili, come in una delle reti televisive di Berlusconi. E a quest’opera grandiosa si può assistere tra paesaggi ridenti e sublimi architetture, in compagnia degli uomini e delle donne tra i più eleganti e divertenti, mangiando ottimo cibo e bevendo il miglior vino e il miglior caffè d’Eu-ropa.

Se tutti nel mondo avessero comprato il biglietto per il divertimento e il piacere dello spettacolo che l’Italia ha loro offerto negli ultimi cinque anni, per l’economia italiana sarebbe stato il boom. Sfortunatamente, non è andata così. E così l’Italia, come il teatro della Scala, dietro le quinte è in crisi. Governata da un partito chiamato Forza Italia, il cui nome deriva da un coro da stadio, il Paese non è andato proprio da nessuna parte. L’anno scorso la crescita economica è stata pari a zero. Nei cinque anni di Berlusconi, la crescita complessiva è stata del 3,2%, la peggiore dell’Unione Europea. La disoccupazione giovanile si aggira intorno al 25%. Il debito pubblico è oltre il 100% del prodotto interno lordo. Produttività e competitività sono ferme o in declino. Ogni consumatore italiano può raccontarvi come i negozianti abbiano sfruttato il passaggio all’euro per gonfiare i prezzi di una birra, di una pizza o di un caffè.

Il Paese ha perso posizioni nelle classifiche di competitività, cavandosela male sia di fronte ai limiti imposti dalle regole uniformi della zona euro, sia di fronte alle sfide della globalizzazione. Le cose che più gli riescono meglio – tessuti, pellami – vengono esportate da Cina e India a un prezzo di molto inferiore. Una popolazione locale che invecchia, pensioni basse, immigrati che non si integrano… qualsiasi problema l’Italia ce l’ha. Tutte le bellezze della vecchia Europa sono qui, e tutti i suoi problemi.

E questi problemi sono stati aggravati da un nuovo sistema elettorale, introdotto da Berlusconi lo scorso autunno. Ho parlato questa settimana con Peter Eicher, capo della missione Ocse che ha seguito le elezioni italiane. Questi ha lodato molti aspetti del “sano ambiente democratico” italiano e non si farebbe mai trascinare in confronti con le elezioni in Ucraina o in Bielorussia. Ma ha evidenziato due aree problematiche: da una parte c’è stato un costante squilibrio nell’in-formazione fornita dai canali televisivi privati, proprietà di Berlusconi, e dai canali pubblici, che Berlusconi può influenzare pesantemente nel suo ruolo di primo ministro (in un rapporto del 2005, Freedom House giudica l’Italia solo “parzial-mente libera” per quel che riguarda la stampa).

L’altro elemento di preoccupazione era il modo in cui la legge elettorale era passata senza un ampio consenso tra i principali partiti. Le leggi elettorali, secondo Eicher, non sono leggi come le altre: poiché sono le ‘regole del gioco’ tra i partiti politici, serve una dose più alta di consenso. Come nel calcio, la squadra che vince non dovrebbe semplicemente cambiare le regole in vista della partita di ritorno.

Al di là del modo in cui le regole sono state cambiate, ci sono le regole stesse. Una delle conclusioni emerse dal collasso politico italiano dei primi anni ‘90 è che il Paese ha bisogno di un forte elemento maggioritario nel suo sistema elettorale, per produrre governi più stabili. Lo stesso Berlusconi ha colto i frutti del sistema maggioritario nelle elezioni del 2001, che gli hanno permesso di rimanere in carica per cinque anni, il secondo governo più lungo del dopoguerra. Ma alla fine dell’anno scorso ha introdotto questa nuova legge, basata sul sistema proporzionale, con regole leggermente diverse per i due rami del Parlamento, ciascuno dei quali è in grado di bloccare l’altro. Uno degli autori ha definito la sua legge una “porcata”. Il suo effetto probabile è quello di produrre governi più deboli.

Nell’opera italiana ora c’è un curioso intervallo. Quando sarà terminato l’esame stile Florida delle schede contestate, richiesto da un Berlusconi riluttante ad ammettere la sconfitta, presumendo che il risultato rimarrà quello di una risicata vittoria per il centrosinistra guidato da Prodi, i due rami del Parlamento dovranno, a metà maggio, eleggere il successore del rispettato presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi (e mi dicono che uno dei possibili successori sia lo stesso Ciampi). Solo quando il nuovo presidente sarà insediato potrà chiamare Prodi a formare un nuovo governo. E il terzo atto avrà inizio. Sembra che al momento il governo avrà una maggioranza sufficiente alla Camera, grazie a un ‘bonus’ di seggi previsto dalla legge per evitare un Parlamento in pareggio, ma una maggioranza minima in Senato. La coalizione di Prodi è ampia e litigiosa e i comunisti, che hanno fatto cadere il suo ultimo governo, hanno avuto un buon risultato. Come un neo-eletto senatore di centrosinistra mi ha detto, “in queste circostanze dovremo negoziare ogni piccolo dettaglio all’interno della coalizione”.

Quindi, facendo una valutazione su base probabilistica, è difficile che il prossimo governo sia in grado di portare a termine le profonde riforme di cui l’Italia ha bisogno. È improbabile che riesca, ad esempio, a liberalizzare il mercato del lavoro, con il metodo nordico – mediazione e consenso – o con quello britannico – l’uso che fece Margaret Thatcher dei poteri di “dittatura elettiva” del primo ministro. L’Italia quindi sembra destinata a rimanere con Francia e Germania tra le tartarughe dell’economia europea.

Ci sono molte differenze importanti tra i tre Paesi fondatori dell’antica Comunità Europea, ma essi hanno una cosa in comune: riforme economiche essenziali sono impedite da una democrazia con troppi contrappesi e da una società che, per la maggior parte, gode di uno stile di vita ancora troppo confortevole per accettare la necessità di cambiamenti dolorosi. Poiché questi tre Paesi rappresentano quasi la metà dell’economia complessiva dell’Unione Europea, tutti gli europei sono in grossi guai, compresi gli inglesi.

Se non dispero del tutto, è solo per un motivo: la ragione non ha mai spiegato del tutto come funzionano le cose in Italia. Forse c’è un ingrediente segreto, il talento per l’improvvisazione - quello che vediamo all’opera nel calcio italiano e, naturalmente, nella Commedia dell’Arte. Questo talento per l’improvvisazione è necessario oggi più che mai, per affrontare regole nuove in tre diversi campi: il sistema politico italiano, la zona euro e l’economia globale. Ora che Forza Italia ha perso, per poco, le elezioni, io, per quel che mi riguarda, comincerò a gridare dagli spalti “Forza Italia!”. n

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