DISCERNIMENTO CULTURALE NON SIGNIFICA UN'UNICA LINEA POLITICA
Tratto da: Adista Documenti n° 78 del 04/11/2006
Un bel popolo di Dio, quello visto e vissuto a Verona, vivace, plurale, pieno di speranza epperò mediamente consapevole del tempo in cui ci è dato di vivere, con le sue luci e le sue ambiguità.
Le scelte delle Chiese locali nella composizione delle "delegazioni" hanno prodotto una platea differenziata, nella quale la pur netta prevalenza dell'associazionismo cosiddetto tradizionale non soltanto non ha rappresentato un limite al pluralismo, ma ha confermato una delle caratteristiche dell'associazionismo stesso, cioè la sua apertura a varie sensibilità.
Aggiungerei, tra le note molto positive, una platea di delegati non sonnecchiante, i cui plausi e mormorii, in assemblea e nei gruppi di studio, hanno permesso di cogliere sensibilità prevalenti (e i pastori sicuramente le avranno registrate), senza che mai sia venuto meno il senso del rispetto reciproco non soltanto formale, ma sostanziale, cioè legato all'interesse per l'altro, anche quando la sua ecclesiologia e la sua storia siano diverse dalla mia.
Una questione cruciale mi è sembrata ancora non del tutto risolta, anche se il fatto di averla percepita è già molto importante. Provo a sintetizzarla così: che rapporto c'è tra discernimento politico (in senso lato) e discernimento culturale?
Il nodo, presente già nella prolusione del card. Tettamanzi, mi è parso una sorta di filo rosso dei lavori del convegno e ancora di più delle conversazioni a margine dei lavori ufficiali, sino a trovare spazio nella parte finale delle conclusioni del presidente della Cei, che ha invitato a "tenere accuratamente presente la differenza tra il discernimento rivolto direttamente all'azione politica" e quello rivolto "all'elaborazione culturale e alla formazione delle coscienze".
Ora, il discernimento culturale presuppone la capacità di dialogare con le culture contemporanee anche con quelle fondate su antropologie discutibili, sforzandosi di distillare da esse i semi di verità e le domande talvolta implicite che pongono. Un lavoro di mediazione culturale (altra locuzione che è ritornata felicemente più volte nei lavori di Verona, anche in alcune relazioni finali di ambito) e di inculturazione necessario oggi come ieri. Interlocutori prevalenti di questo lavoro sono allora non tanto coloro i quali dichiarano di aderire ai "valori" cristiani pur non confessando la fede in Gesù Cristo (essi, al più, potrebbero essere "alleati" in azioni di carattere politico, e di questo dirò subito dopo), quanto piuttosto persone e gruppi che esprimono "valori" anche di segno apparentemente o realmente dissonante, ma il cui lessico e le cui categorie devono essere interiorizzate nel discernimento culturale affinché inculturazione della fede ed evangelizzazione delle culture possano procedere di pari passo.
Per contro, il discernimento politico risponde a una diversa esigenza, da realizzare tenendo presente, come ha ribadito con forza il Santo Padre in un passaggio molto applaudito, che "il compito immediato di agire in ambito politico per costruire un giusto ordine nella società non è della Chiesa come tale, ma dei fedeli laici, che operano come cittadini sotto propria responsabilità". Spetta proprio ai fedeli laici, e in particolare a coloro fra essi che assumono responsabilità politiche e amministrative, trovare le soluzioni più idonee nel contesto pluralistico, cioè quelle meno lontane dai "valori" comuni plurali di riferimento.
Distinguere tra discernimento culturale e discernimento politico è allora molto importante, e costituisce secondo me un'acquisizione preziosa delle giornate veronesi.
Ugualmente importante sarà la capacità delle comunità cristiane di declinarne correttamente i nessi. Su questo punto credo potranno misurarsi opportunamente le associazioni e i movimenti intellettuali.
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