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L'EVANGELIZZAZIONE CHIEDE CORRESPONSABILITÀ

Tratto da: Adista Documenti n° 78 del 04/11/2006

A Verona la Chiesa italiana ha preso coscienza di essere tuttora una Chiesa di popolo. Preferirei dire "Chiesa di Dio, cristianità di popolo". La Chiesa infatti è sempre il popolo di Dio, anche quando fosse ridotta a pochi membri dispersi e ammutoliti; ma la forma storica del nostro essere Chiesa è, tuttora, quella della cristianità di popolo. I credenti e praticanti cioè sono tuttora numerosi; associazioni, istituzioni, mass media sono capillarmente diffusi; la cultura è fortemente influenzata dal pensiero cattolico; nei momenti decisivi della vita la gran parte delle persone, anche quelli che magari si dicono non credenti, si rivolge alla Chiesa. Nelle periferie più abbandonate come nei centri del potere o della cultura c'è ovunque un segno della Chiesa: un campanile, un giornale, una comunità monastica, un gruppo caritas...

Il merito di questa presenza capillare è di molti e diversissimi soggetti, ufficiali e spontanei. I vertici episcopali hanno curato l'organizzazione e la visibilità, il magistero e la disciplina. Parroci, preti di frontiera, suore, monaci, mamme di famiglia, giovani volontari, lavoratori, persino intellettuali e qualche politico (in partiti pur diversissimi) cercano ogni giorno di vivere il Vangelo con coerenza e, se possibile, di testimoniare la propria fede. C'è tuttora un clima non sfavorevole all'annuncio del Vangelo; e comunque c'è ancora un popolo cristiano semplice e numeroso che viene aiutato, quasi preso per mano, a credere e a vivere il nucleo essenziale di una vita cristiana.

Ma fino a quando sarà così? Negli altri Paesi europei le cose sono cambiate o stanno cambiando. Anche qui, in Italia, si vedono segni evidenti di un cambiamento da tempo annunciato ed ora realmente in corso. Che fare?

Questo era il problema che stava al cuore del Convegno ecclesiale di Verona; e questo problema non è stato affrontato, a me sembra, con la dovuta chiarezza e libertà di dialogo. Certo, sono emerse due linee, due stili e progetti di "nuova evangelizzazione" conseguenti a due diverse diagnosi della realtà e a due diverse "letture" del Concilio Vaticano II (che si era posto tempestivamente e a livello planetario questo problema).

Non c'è spazio per descrivere le due linee, che i lettori di Adista, del resto, hanno ben presenti. Desidero solo dire qui che esse non hanno potuto confrontarsi adeguatamente, interloquire con la necessaria serenità e approfondimento. L'una, quella "conciliare", più fiduciosa, desiderosa di rivolgersi alla coscienza delle persone e scoprire la fraternità, la verità e la giustizia evangelica nella vita quotidiana, è emersa soprattutto nella prima parte del Convegno. L'altra, più polemica verso la cultura moderna, forse nostalgica della antica cristianità e fiduciosa nelle strutture esteriori è emersa soprattutto nella seconda parte e ha preso un po' in contropiede i partecipanti.

Credo che si debba riconoscere una cosa: che su questi temi e su simili scelte decisive servirebbe un confronto continuo, un dialogo accompagnato da analisi, esperimenti e verifiche. Un confronto che coinvolga tutta la Chiesa e non soltanto piccoli gruppi di "esperti" che la pensano quasi allo stesso modo.

Io non so oggi quale forma rinnovata di evangelizzazione, di pastorale e di vita ecclesiale potrà essere più adatta per conservare e diffondere il seme del Vangelo domani in Italia; ma credo per certo che questa strada, qualunque strada, per essere percorribile dovrà essere pensata, scelta e costruita dal popolo di Dio tutto insieme. La chiave del futuro sta nella "triade inscindibile" indicata dal cardinale Tettamanzi come il progetto di Chiesa che dobbiamo realizzare e vivere (e che oggi non è realizzata e vissuta se non in minima parte): comunione-collaborazione-corresponsabilità.

A Verona ho visto un sincero spirito di comunione (grazie a Dio tanti mugugni, tensioni e litigi del passato sembrano superati); una discreta collaborazione vescovi-preti-religiosi-laici; ma assai poca corresponsabilità. L'auspicio è che da oggi nelle parrocchie, diocesi, organismi nazionali... comincino esperienze di vera corresponsabilità, la quale non significa attivismo ma soprattutto dialogo rispettoso, orientamenti e decisioni condivise.

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