GIUSTIZIA E PACE: LA VARIABILE SEMPRE "NEGOZIABILE"
Tratto da: Adista Documenti n° 78 del 04/11/2006
Il Convegno ha alternato momenti forti di preghiera e di meditazione con momenti deboli di esibizione e di trionfalismo. Il panorama è stato variopinto: varietà di opinioni e di messaggi, molte relazioni, moltissimi commenti, folklore mediatico. Secondo me, la cosa più bella è stata il tema proposto: "testimoni del Cristo risorto, speranza del mondo". Mi fermo su alcuni punti.
1. La voglia di ascoltarsi, di parlare e di discutere è stata grande. Sta forse maturando una prassi di "sinodalità", di discernimento" e di "corresponsabilità" (parole magiche al Convegno). Si è parlato molto di eventuali Consigli ecclesiali permanenti dei laici e del ruolo delle donne.
2. Secondo me, la carenza più grave è stata l'assenza di un ragionamento globale (etico-politico e teologico-ecclesiale) sulla guerra e sulla pace. Forse lo si dava per scontato. Forse lo si vuole affidare all'autonoma azione dei laici. Ne dubito. A mio parere, il magistero della pace (che negli ultimi anni ha raggiunto momenti di grande intensità con la voce inascoltata di Giovanni Paolo II) sembra figlio di un dio minore, non entra nel pensiero comune e nella prassi quotidiana di buona parte della Chiesa italiana. Forse il pensiero unico neoliberista assoluto, quantitativo, iniquo e armato (oggi si parla anche di normali guerre nucleari e di militarizzazione dello spazio) ha fatto molta strada nel lessico e nelle menti. Al di là delle intenzioni, la critica al secolarismo e all'utilitarismo sembra riguardare solo la declinazione greco-europea della fede cristiana, la coscienza personale, le tecnologie contrarie alla vita nascente. La testimonianza rischia di diventare una questione individuale, sganciata dalla critica ai sistemi di potere politico, economico e militare che stanno programmando l'"antigenesi": un terribile ateismo, un'orrenda bestemmia! Forse è per questo che la "Chiesa dei poveri" è ormai entrata in clandestinità e che il tema della "Chiesa povera" è assente, perché inadatto a esprimere presenze forti e decise. L'esibita pubblicità degli sponsor del Convegno (sette istituti bancari evidenziati sul manifesto con un carattere più grande del tema) e un certo trionfalismo hanno spinto le riviste promotrici della "Campagna banche armate" a diffondere un opportuno invito alle parrocchie per vigilare sull'orientamento etico delle banche con cui intrattengono rapporti. La pace, però, rischia di diventare una citazione rituale, veloce, prima dell'invito solenne a impegnarsi nelle scelte "decisive" per la famiglia, la scuola cattolica e la vita nascente. Penso che la vita vada tutelata e promossa nella sua varietà e interezza sempre e ovunque come bene globale, comune, laico, cristiano, universale. Solo se coerente e completa la scelta della vita diventa verace, credibile e autorevole. Per i credenti, non può essere un capitolo tra i tanti. Ho in mente Tonino Bello: "la pace è il discorso teologico più robusto e più serio che oggi si possa fare, perché affonda le sue radici nel cuore del sistema trinitario"
3. Nel grande mare delle cose dette e scritte, vorrei non si dimenticasse, anzi si ripartisse dalla quasi dimenticata prolusione del cardinale Dionigi Tettamanzi. Secondo me, in essa c'è già un nucleo critico-propositivo diverso rispetto alla gestione Ruini, sbilanciata nel campo dell'etica privata. Non perdiamola di vista! Lì, come si dice nel calcio, c'è una ripartenza, implicita già nel titolo del Convegno, bello, profondo e denso di implicazioni: "testimoni del Cristo risorto, speranza del mondo". È un programma quotidiano e planetario, personale e collettivo, concreto e utopico, laico e cristiano, ecclesiale e universale. Contiene l'invito a camminare esercitando la laicità credente (sacerdotale, profetica e regale). Mi pare, anzi, che prefiguri un Concilio ecumenico per la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato.
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