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IL ROSSO E IL VERDE

- IL SOCIALISMO DEL XXI SECOLO PASSA ATTRA-VERSO LA QUESTIONE ECOLOGICA E LA MOBILI-TAZIONE DAL BASSO DEI SETTORI POPOLARI.

Tratto da: Adista Contesti n° 90 del 23/12/2006

QUESTA INTERVISTA

AL SOCIOLOGO BRASILIANO MICHAEL LÖWY

È STATA RACCOLTA DA IGOR FELIPPE SANTOS

E PUBBLICATA

SUL “JORNAL SEM TERRA” (12/06). TITOLO ORIGINALE: “POR UM SOCIALISMO LATINO-AMERICANO

NO SÉCULO 21”

Le organizzazioni di sinistra devono procedere alla fusione del pensiero marxista con le caratteristiche particolari del popolo latinoamericano per promuovere la costruzione del socialismo del XXI secolo. Perciò, è necessario incorporare le esperienze dei diversi movimenti sociali, in particolare quello indigeno e quello contadino, protagonisti delle lotte sociali nella regione. L’a-nalisi è del professore Michael Löwy, sociologo brasiliano radicato in Francia, dove insegna alla Scuola di Studi superiori in Scienze Sociali dell’Università di Parigi. “Il motore del cambiamento - spiega - è in basso, passa per i movimenti sociali e le correnti politiche capaci di esprimere questa radicalità”. Secondo Löwy, la sinistra deve trovare il punto di convergenza tra le mobilitazioni contadine e indigene e il movimento urbano per attaccare il capitalismo. “Socialisti e marxisti devono prendere la bandiera del socialismo del XXI secolo e portarla nel dibattito della sinistra e dei movimenti sociali”.

Qual è la traiettoria del pensiero di sinistra in America Latina nel XX secolo?

Il primo periodo rivoluzionario è stato negli anni ‘20 e ‘30, con intellettuali come José Carlos Mariátegui e Julio Antonio Mella. Sollevazioni si sono registrate in Nicaragua, El Salvador e Brasile. A partire dagli anni ‘30, passano a predominare lo stalinismo burocratico e il riformismo che, non essendo più rivoluzionari, hanno condotto la sinistra latinoamericana a una impasse. Finché la Rivoluzione Cubana nel 1959 non viene a inaugurare una nuova epoca rivoluzionaria. Da qui sorge una serie di movimenti di lotta, guerriglie e mobilitazioni sotto l’influenza di Cuba e del pensiero di Che Guevara. Questo periodo finisce con la sconfitta dei sandinisti in Nicaragua, nel 1990. L’impatto della rivoluzione cubana, d’altro lato, persiste ancora in modo meno evidente nella cultura politica che sorge dalle lotte sociali.

In vari Paesi sono stati eletti presidenti la cui formazione è di sinistra. Come valuta questo nuovo quadro?

Molte volte, quando discutiamo di America Latina, pensiamo ai governi di sinistra. È un aspetto importante, ma non possiamo limitarci a questo. Negli ultimi dieci anni, si è registrata una serie di vittorie politiche della sinistra (nel senso molto ampio della parola) nella regione. Esaminando da vicino il fenomeno, notiamo due versanti. Uno della rottura nei confronti del neoliberismo, come la rivoluzione bolivariana in Venezuela o il processo in Bolivia e a Cuba: un asse antimperialista, che cerca di rompere con il neoliberismo. L’altro versante è costituito da governi che non hanno rotto con il modello economico, ma cercano di darne una variante più sociale: quello che io chiamo social-liberismo. In questo quadro si pongono il presidente Lula in Brasile, Tabaré Vázquez in Uruguay, Michelle Bachelet in Cile e Néstor Kirchner in Argentina. Non sono governi della destra neoliberista, ma non mettono in discussione questo modello. Nel campo del social-liberi-smo c’è un versante più aperto al libero commercio, che accetta le idee dei trattati commerciali degli Usa, come il governo cileno e in parte quello uruguayano. L’altro settore punta all’integrazione latinoamericana, come il Brasile e l’Argentina. I governi di sinistra hanno vinto perché c’è un enorme scontento sociale nella regione. I vent’anni di politiche neoliberiste della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale hanno avuto conseguenze sociali catastrofiche per la maggior parte della popolazione. Le disuguaglianze sociali si sono aggravate e le conseguenze ecologiche sono state drammatiche.

In tale contesto, come valuta l’azione di questi governi?

I governi corrispondono generalmente poco all’ansia di mutamenti radicali, con l’eccezione del Venezuela e della Bolivia. La speranza di cambiamenti non può attendere il compimento delle loro promesse. Non possiamo puntare sull’esistenza di dispute interne che cambino i rapporti di forza dei governi. Il cambiamento passa per la capacità dei settori popolari di organizzarsi e lottare per mutare il quadro. Questo vale per tutti i Paesi, compresi i più progressisti. Il Venezuela, per esempio, attraversa un processo molto interessante, ma è eccessivamente dipendente da una persona, Hugo Chávez, e da iniziative che avvengono dall’alto verso il basso.

Cosa deve fare la sinistra latinoamericana per effettuare le trasformazioni sociali nella regione?

Il cambiamento dipende dall’auto-organizzazio-ne popolare, sociale e politica. È importante avere espressioni politiche, partiti e correnti di partito radicali della sinistra, che devono essere espressione dei movimenti popolari e non manipolatori elettorali. Il motore del cambiamento è in basso, passa per le organizzazioni sociali e le correnti politiche capaci di esprimere questa radicalità. Negli ultimi vent’an-ni, il movimento contadino e indigeno è stato il più combattivo e radicale. È il più importante in America Latina. Questo vale per il Brasile, il Messico, l’Ecuador, la Bolivia (in parte, perché c’è una convergenza tra urbano e rurale). Con l’eccezione dell’Argentina, dove il motore delle lotte è la popolazione urbana povera; del Venezuela, con i poveri della periferia urbana che scendono in piazza per appoggiare Chávez; e ora di Oaxaca, in Messico.

È comune che alcune organizzazioni di sinistra usino le lotte sociali per giustificare le proprie linee di pensiero e di dottrina. Come possiamo analizzare il quadro politico e sociale senza ricondurre esperienze particolari a modelli europei prestabiliti?

Buona parte della sinistra latinoamericana pensa ancora in termini di modelli come quello leninista, quello maoista o quello trotskista. Abbiamo molto da imparare dal pensiero marxista europeo e asiatico. Il marxismo e il socialismo sono universali. Il riso, per esempio, è lo stesso in tutti i Paesi, ma ogni popolo ha la sua maniera di prepararlo. Il riso socialista deve essere preparato qui in America Latina, alla nostra maniera e con le nostre condizioni afro-indigene. La sfida è quella di non cadere nell’idea di socialismo nazionale né di pensare che è tutto nelle opere di Marx, Lenin o Trotski. Dobbiamo avere l’umiltà di imparare dalle esperienze delle lotte sociali. Non possiamo imporre il nostro schema e inquadrare i movimenti.

Se i contadini e gli indigeni, che non sono al centro della produzione del capitale, sono i protagonisti politici, che ne è del marxismo latinoamericano?

Il marxismo è formidabile, ma dev’essere attualizzato e “latinoamericanizzato”. È necessario dar conto dell’importanza dei contadini. Non solo ora, ma dall’inizio del secolo scorso. Gli intellettuali che hanno cercato di applicare il metodo marxista in modo creativo nella regione si sono resi conto che i contadini hanno un ruolo molto più importante che in Europa o di quanto pensasse Marx. È necessaria una lettura diversa da quella classica della sinistra, basata sulla classe operaia della fabbrica urbana. Poiché il capitalismo funziona a partire dalla produzione e dall’industria, gli operai possono fermare le macchine. Ciò è importante, ma non sufficiente per rovesciare un sistema. Il capitalismo è un sistema politico, sociale ed economico che può essere rovesciato solo con un’azione rivoluzionaria. Per questo, è necessario contare sulla maggioranza della popolazione, costituita non da operai ma da contadini e dalla massa povera urbana. Malgrado la sua importanza, l’idea della rivoluzione come compito della classe operaia e industriale non ha mai corrisposto alla realtà, tanto meno in America Latina. Dobbiamo avere una visione ampia del soggetto del processo rivoluzionario. Il capitalismo può sempre avere il sopravvento finché controlla la struttura dello Stato e detiene l’egemonia. Bisogna rompere l’egemonia ideologica e il controllo politico del capitale.

Tra movimenti contadini e indigeni e rivolte urbane, qual è la sfida della sinistra per resistere al neoliberismo?

La sfida è trovare il punto di convergenza delle mobilitazioni contadine e indigene con il movimento urbano che sta emergendo attorno a una battaglia comune: la rottura dell’egemonia neoliberista e imperialista. E anche cercare alternative. Se vogliamo essere radicali, dobbiamo attaccare alla radice il male del neoliberismo, della dominazione, della dipendenza e della povertà. In ultima analisi, la radice è il capitalismo. Questa comprensione si va gradualmente sviluppando in terre latine. Se il problema è quello di cercare un’alternativa al capitalismo, si pone nuovamente la questione del socialismo. Socialisti e marxisti devono prendere la bandiera del socialismo del XXI secolo e portarla nel dibattito della sinistra e dei movimenti sociali. Dobbiamo porre la prospettiva del socialismo, consapevoli che non sarà domani, ma come un modo per alimentare le nostre lotte attuali, che sono concrete e immediate.

Come valuta l’idea del socialismo del XXI secolo nel contesto latinoamericano?

La sfida posta da Chávez del socialismo del XXI secolo è molto ricca. Dobbiamo ricordare le idee di Mariátegui sul socialismo indo-americano, che io chiamerei afro-indo-americano. Il socialismo non sarà una copia di altre esperienze, ma una creazione eroica dei popoli. Dobbiamo tracciare un bilancio critico tanto della socialdemocrazia quanto dell’esperienza dei Paesi dell’Est europeo. Il socialismo del XXI secolo ha futuro solo se incorporerà le esperienze dei movimenti sociali, indigeni, contadini, neri, ambientalisti, delle donne. Passa da qui l’u-topia rivoluzionaria latinoamericana.

L’America Latina sarebbe il terreno più fertile per la costruzione di un nuovo socialismo?

Non conosco abbastanza l’esperienza dei movimenti sociali in Africa e in Asia, ma l’America Latina sembra la punta avanzata di questo processo. Non si può dimenticare però il resto del mondo: bisogna essere una locomotiva che traini altri vagoni. È importante costruire ponti tra lotte sociali e movimenti di sinistra qui, in Europa, in Africa e in Asia. L’imperialismo e il capitalismo sono un sistema mondiale. Forum Sociale Mondiale e Via Campesina sono un passo importante, ma la sinistra più radicale e antiliberista deve costruire altri spazi. Vi sono poche esperienze di discussione e relazione della sinistra a livello internazionale.

Come vede la coniugazione dei movimenti sociali con la lotta ambientale per la costruzione dell’egemonia politica?

La questione ambientale è la grande sfida per il marxismo nel XXI secolo, uno dei problemi centrali in cui si rivela il carattere minaccioso del capitalismo per l’esistenza dell’umanità. È uno dei grandi temi dell’anticapitalismo. La questione dell’ambiente sta sempre più passando dai margini al centro del dibattito politico. Ciò non dipende dalla buona o dalla cattiva volontà dei capitalisti: la distruzione dell’e-quilibrio ecologico del pianeta rientra nella logica espansionista di accumulazione del capitale. I marxisti, i socialisti e i movimenti sociali devono assumere la questione come una bandiera fondamentale. È molto positivo che il Mst assuma sempre più la questione ecologica. La lotta contro i transgenici e contro l’eucalipto permette una convergenza del movimento contadino, ambientalista e dell’opinione pubblica. Ciò rafforza le mobilitazioni. O il socialismo sarà verde e ambientalista o non riuscirà ad avanzare. La distruzione dell’ambiente da parte del capitalismo non è solo un problema delle generazioni future, ma di chi vive oggi. È necessario porre il tema al centro della riflessione del pensiero socialista.

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