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LA SFIDA DI APARECIDA: SALVARE LA TRADIZIONE DELLA CHIESA LATINOAMERICANA

Tratto da: Adista Documenti n° 30 del 21/04/2007

DOC-1850. ROMA-ADISTA. Che non ci sia da attendersi troppo dalla Quinta Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, in programma ad Aparecida dal 13 al 31 maggio, sembrano pensarlo tutti. Ma c’è anche chi non si aspetta proprio nulla: il Celam (Consiglio episcopale latinoamericano), afferma per esempio il filosofo della Liberazione argentino Enrique Dussel, "non esprime più il sentire dell’America Latina, poiché è Roma che detta le parole d’ordine", tant’è che, "per preparare la conferenza, Ratzinger non si è neppure riunito con i presidenti degli episcopati latinoamericani. Si è riunito con i suoi nunzi".

È infatti a loro, ai venti rappresentanti pontifici dei Paesi della regione, che, il 17 e 18 febbraio scorso in Vaticano, Benedetto XVI ha indicato i temi principali su cui dovrebbe svolgersi la riflessione ad Aparecida: il necessario riconoscimento della libertà religiosa, "il proselitismo delle sètte e l’influsso crescente del secolarismo edonista postmoderno", "l’aiuto ai poveri e la lotta contro la povertà". Non poteva mancare, naturalmente, la famiglia, che, ha affermato il papa, "mostra sintomi di indebolimento sotto le pressioni di lobby capaci di influire negativamente nei processi legislativi. I divorzi e le unioni libere - ha proseguito - stanno aumentando, mentre l’adulterio è contemplato con ingiustificabile tolleranza. È necessario riaffermare che il matrimonio e la famiglia hanno il loro fondamento nel nucleo più intimo della verità sull’uomo e sul suo destino: una comunità degna dell’essere umano può essere edificata solo sulla rocca dell’amore coniugale, fedele e stabile, tra un uomo e una donna". Chiudono l’elenco di Benedetto XVI "il fenomeno dell’emigrazione, intimamente relazionato con la famiglia; l’importanza della scuola e l’attenzione ai valori e alla coscienza", "l’impegno a informare adeguatamente l’opinione pubblica sulle grandi questioni etiche secondo i principi del magistero della Chiesa e una presenza efficace nel campo dei mezzi di comunicazione sociale, anche per rispondere alle sfide delle sètte".

Una conferenza distante dalla realtà

Se questi sono i punti su cui dovranno riflettere i vescovi, per Enrique Dussel quella di Aparecida "è una conferenza che nulla ha a che vedere con la durezza della realtà" e che "nulla può dire alla gente". Non è un caso, secondo Dussel, che sia stato designato alla presidenza della V Conferenza generale il prefetto della Congregazione per i vescovi Giovanni Battista Re: "Cosa c’entra un italiano - si domanda - alla guida di una riunione degli episcopati latinoamericani?". Ad Aparecida, afferma il filosofo, verranno in primo luogo difesi "i privilegi della burocrazia romana": "è come se Gesù Cristo fosse venuto al mondo a difendere i diritti dei suoi 12 apostoli. Ma Cristo disse: ‘predicate la mia dottrina e fate attenzione, perché potete morire in croce’. E andava tra i poveri a predicare il suo messaggio profetico".

Di poveri ha parlato – ma liquidando la questione in poche parole - anche il papa, nel suo discorso ai nunzi. E di poveri, di opzione per i poveri, si parla pure - ma in modo chiaramente paternalista - nel Documento di sintesi diffuso dal Celam il 30 marzo scorso. Un documento che raccoglie - come spiega nella presentazione il segretario generale Andrés Stanovnik, vescovo di Reconquista – i contributi di 21 Conferenze episcopali della regione, dei dipartimenti del Consiglio episcopale latinoamericano, di alcuni dicasteri romani, di organismi continentali (in totale "più di 2.400 pagine"), classificati tematicamente dall’équipe del Celam, studiati da una commissione speciale di vescovi e teologi e poi rielaborati nel Documento di sintesi, "come risultato - spiega Stanovnik - della partecipazione di innumerevoli comunità e diocesi, che hanno condotto una riflessione sul tema del discepolato e della missione di fronte alla sfida dell’evangelizzazione del presente".

Opzione paternalista per i poveri

Rispetto al criticatissimo Documento di partecipazione, diffuso dal Celam nel settembre del 2005 come invito a tutte le comunità del continente a contribuire alla preparazione dell’evento (v. Adista n. 62/06), il Documento di sintesi, su cui pare, in realtà, che il Vaticano non abbia esercitato alcuna pressione, recupera il metodo, inviso a Roma, del "vedere, giudicare e agire" utilizzato nelle precedenti Conferenze generali, come sollecitato – si spiega nell’introduzione – da molti dei contributi inviati. Seguendo tale metodo, il Documento delinea, nel primo capitolo, un quadro della società latinoamericana (segnalando "alcuni volti concreti che oggi ci interpellano", annotando "i tratti salienti del cambiamento d’epoca" e soffermandosi "sulla stessa Chiesa con i suoi contrasti e le sue sfide"); offre, nel secondo capitolo, "orientamenti e criteri per il discernimento e la missione a partire dalla rivelazione"; si occupa, infine, nel terzo capitolo, "dell’opera evangelizzatrice della Chiesa".

Maggiormente presente, rispetto al Documento di partecipazione, l’opzione per i poveri, ma in modo radicalmente diverso da quanto avevano saputo esprimere al riguardo le grandi Conferenze di Medellín e di Puebla, e non solo per il fatto che il Documento invita (al punto 82) a creare "nuove sintesi" tra "tendenze diverse e a volte contrapposte", come, per l’appunto, "tra opzione preferenziale per i poveri e attenzione alla classe media e ai gruppi dirigenti". L’impostazione paternalista emerge in maniera nettissima ogniqualvolta si parli di "opzione preferenziale per i poveri", come al paragrafo 165 del secondo capitolo: "L’amicizia con Gesù Cristo e il cammino del discepolato - si legge - ci spingono a configurare le nostre opzioni e i nostri atteggiamenti con quelli del Signore, che dalla povertà ci ha arricchito e ci ha mostrato le vie fondamentali per la liberazione dal peccato (…). Questo ci spinge a riaffermare e ad attualizzare, in tutti i nostri progetti di evangelizzazione, la nostra preferenza per quelli che soffrono, per gli esclusi e per i più deboli. L’evangelizzazione dei poveri è il grande segno messianico che siamo chiamati a vivere come Chiesa (…)". O come, ancora di più, al punto 2.4.6 del terzo capitolo, sotto il titolo "Opzione permanente per i più poveri", laddove si sottolinea la necessità di fare dell’opzione per i poveri "un atteggiamento permanente che si manifesti in opzioni e gesti concreti", "dedicando tempo ai poveri, prestando loro un’amabile attenzione, ascoltandoli con interesse, accompagnandoli nei momenti più difficili, scegliendoli per condividere ore, settimane o anni della nostra vita e cercando, a partire da essi, la trasformazione della loro situazione".

Profezia, un lavoro da minoranze

Come scrive il teologo della Liberazione Jung Mo Sung in una serie di articoli dedicata al "Cristianesimo della Liberazione" (tutti pubblicati dall’agenzia Adital), "la questione centrale" non è quindi "se la V Conferenza parlerà dei poveri", cosa che avverrà di sicuro, ma "come" ne parlerà. E, stando al Documento di sintesi, non sembra probabile che ne parlerà con la convinzione "che i poveri non sono e non possono essere trattati come oggetti dell’evangelizzazione o della ‘promozione’ economica e sociale" e che, essendo la povertà "fondamentalmente un problema strutturale dell’attuale modello di globalizzazione capitalista", è necessario "anche lottare per riforme e trasformazioni strutturali nell’attuale modello economico-politico", una lotta che i poveri stessi dovranno condurre.

Ma il fatto che "solo una piccola minoranza delle comunità e delle Chiese perseveri nel lavoro profetico di fronte alle ingiustizie", secondo Jung Mo Sung, "deve rattristarci ma non sorprenderci completamente": la profezia, infatti, "esige un coraggio e una fedeltà che hanno più a che vedere con le minoranze" che con le masse, quelle "minoranze abramitiche" di cui parlava dom Helder Câmara. "Se oggi - conclude il teologo - siamo una minoranza ancora più piccola che in passato, ciò investe noi, quelli e quelle che si considerano parte del cristianesimo della Liberazione, di una maggiore responsabilità. Non quella di trasformarci in ‘salvatori o liberatori del mondo’, ma quella di essere più efficienti in ciò che possiamo e dobbiamo realizzare e anche di mantenere viva questa tradizione, questa corrente, perché altre persone e gruppi del nostro tempo e delle prossime generazioni possano anch’essi ‘bere da questo pozzo’".

È in questa prospettiva che è possibile leggere i due interventi che riportiamo qui di seguito. Quello di mons. Demetrio Valentini, vescovo di Jales, uno dei 22 delegati brasiliani eletti per la Conferenza di Aparecida, che individua le principali sfide della V Conferenza nella ripresa delle grandi intuizioni del Concilio, nel ritorno alla pratica della Chiesa primitiva e nel recupero della forza e dell’originalità del Vangelo di Gesù (lo riportiamo, con alcuni tagli, in una nostra traduzione dal portoghese). E uno stralcio del lungo documento, dal titolo "Contributi per Aparecida", elaborato in vista della Conferenza dalla rete di teologi, vescovi, sacerdoti, religiosi e laici nota come Amerindia (con la collaborazione di teologi come José Oscar Beozzo, Agenor Brighenti, Víctor Codina, Eleazar López, Pablo Richard, Jon Sobrino, Paulo Suess, Sergio Torres), che assegna ai vescovi riuniti ad Aparecida il compito di assumere e realizzare concretamente le decisioni prese nelle Conferenze precedenti (lo stralcio, tratto dal capitolo "La missione al servizio del Regno", è riportato qui in una nostra traduzione dallo spagnolo). (claudia fanti)

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