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LA NOVITÀ È RILANCIARE IL PASSATO

Tratto da: Adista Documenti n° 30 del 21/04/2007

I delegati di Aparecida non devono lasciarsi guidare da strategie di marketing né hanno bisogno di inventare nuovi paradigmi. Dopo la missione coloniale durata fino al Vaticano II, dopo il dialogo promosso dal Concilio, dopo la liberazione e l’opzione per i poveri portate avanti a Medellín (1968) e Puebla (1979), Santo Domingo ha cercato di approfondire il paradigma dell’inculturazione. Non mancano buoni testi ed analisi, anche delle Conferenze episcopali. Aparecida deve unicamente mettere in pratica alcune delle decisioni assunte a partire dal Vaticano II. I grandi contributi che il popolo e gli stessi vescovi e delegati hanno proposto a partire da Medellín devono realmente essere assunti, ricontestualizzati e trasformati in azioni concrete per la costruzione di una società giusta e solidale.

Questi contributi, che sono di conoscenza del popolo e dei suoi pastori, possono essere enucleati come imperativi che emergono dal Vangelo:

- l’assunzione della realtà, intesa come segno di Dio nel tempo, che deve tornare ad essere nuovamente punto di partenza di ogni riflessione teologica ed azione pastorale, secondo il principio di S. Ireneo: assumere per redimere (cfr Puebla 400);

- l’opzione per i poveri, che si può approfondire in due direzioni: a) come opzione per la persona di Gesù Cristo, che si identifica con i poveri (Mt 25), e b) come opzione per i poveri e con i poveri, nel rispetto della loro soggettività e del loro protagonismo nella costruzione del Regno;

- il riconoscimento teologico-pastorale della Chiesa locale, che esige cambiamenti strutturali: la Chiesa locale deve rompere con qualunque tipo di tutela coloniale e dare prova della sua maturità;

- l’ampliamento, il decentramento e la ristrutturazione dei ministeri perché la pratica pastorale possa rispondere alla diversità socioculturale, alla dispersione geografica e alla necessità spirituale del popolo di Dio;

- la partecipazione qualitativa e differenziata dei laici, soprattutto delle donne, nella Chiesa;

- la corresponsabilità significativa del Popolo di Dio nell’elezione dei suoi pastori, senza i formalismi democratici della società civile, ma con regole di partecipazione prestabilite;

- la formazione degli operatori pastorali (diaconi, futuri sacerdoti, laici) al servizio del popolo semplice e povero;

- la continuità e l’approfondimento del dialogo ecumenico ed interreligioso.

Tutto questo è stato già deciso e assunto a livello di testi. La novità di Aparecida può emergere dal mettere in pratica a livello strutturale queste decisioni prese dalle Conferenze precedenti. Il popolo di Dio è stanco di nuove conferenze, analisi e interpretazioni senza sbocchi concreti. Molte proposte sono rimaste a metà strada. Puebla ci ricorda: "Se non aiutiamo a concretizzare la liberazione conquistata da Cristo sulla croce, mutiliamo la liberazione in modo irreparabile, e la mutiliamo allo stesso modo se dimentichiamo il versante dell’evangelizzazione liberatrice, che è quella che trasforma l’essere umano in soggetto del proprio sviluppo individuale e comunitario" (Puebla 485). I delegati della V Conferenza devono avere chiarezza sui passi concreti che devono, possono e vogliono compiere. La voce del popolo è documentata, l’interpretazione della realtà è alla portata di tutti, l’alterità dei popoli indigeni e degli afro-americani è minacciata, il grido dei poveri è nell’aria. Abbiamo bisogno di una nuova Pentecoste!

Filo conduttore teologico-pastorale

Per facilitare il processo decisionale ad Aparecida, ricordiamo, qui di seguito, il filo conduttore teologico-pastorale nelle riflessioni missiologiche del Vaticano II, di Medellín, di Puebla e di Santo Domingo.

1. La missione della Chiesa ha la sua origine nella "missione di Dio". Questa missione di Dio Trinità significa l’apertura della relazione intratrinitaria che si concretizza, storicamente, nella Creazione, nell’Incarnazione e nella Re-denzione (cfr Ad gentes 2ss). Attraverso l’invio di Gesù Cristo al mondo, la "missione di Dio" ha acquistato densità, visibilità e vulnerabilità storica. Gesù di Nazareth ci rivela il volto paterno e materno di Dio, il Dio misericordioso e giusto (...). È la logica del Dio-Amore, la logica del dono (della grazia, della gratuità) e della dedizione (la lavanda dei piedi e la croce come sintesi del servizio).

2. Il Vaticano II ha lasciato segni teologico-pastorali nuovi per l’azione missionaria della Chiesa. Questa azione missionaria non è qualcosa di esteriore, un’attività tra le altre. Il Concilio ha definito la missionarietà come parte integrante dell’identità ecclesiale. La Chiesa conciliare si considera per sua natura missionaria (cfr Ad gentes 2) definendosi come popolo di Dio, sacramento universale della salvezza, e come mistero. Il popolo di Dio nel suo insieme, per sua natura e vocazione, è missionario. È chiamato "a manifestare e comunicare la carità di Dio a tutte le persone e a tutti i popoli" (Ad gentes 10).

3. Nei processi di ricezione del Vaticano II in America Latina e nei Caraibi si è prodotto un passaggio dall’"avere missioni" all’"essere missionari", il passaggio da una Chiesa che ha missioni territoriali, per le quali si raccolgono soldi e si prega affinché possano condurre l’umanità non cristiana alla Chiesa cattolica, a una Chiesa in cui la missionarietà rappresenta un orientamento fondamentale di tutte le sue attività. A partire da questa missionarietà interpretiamo l’"es-sere cattolici" come uno "stare universalmente vicini" ai poveri-altri e come "responsabilità nei riguardi del mondo" (Ad gentes 36b).

4. La Chiesa Popolo di Dio vive questa responsabilità in mezzo ai conflitti strutturalmente prodotti dall’antiprogetto del Regno, il capitalismo. Questi conflitti presentano il volto umano concreto delle vittime (Puebla 31-41). Non basta condannare gli abusi del capitalismo neoliberista e pensare di umanizzarlo. Esso rappresenta l’antiprogetto. L’antipro-getto è il regno del pane non condiviso, del potere che non si configura come servizio, del privilegio che favorisce l’accumulazione, del prestigio che organizza eventi vani invece di articolare processi di trasformazione. L’antiprogetto è la realizzazione di tutto quello che si trova nel brano delle tentazioni di Gesù nel deserto (Lc 4). Queste tentazioni accompagnano la Chiesa in tutta la sua storia (...).

5. La Chiesa, nella sua essenza missionaria, ha appreso da Gesù di Nazareth i due movimenti che strutturano la sua missionarietà: convocare e inviare. Convocare significa chiamare dalla dispersione disarticolata, da una massa indefinita, da un sistema, da un apparato istituzionale, per formare comunità di sorelle e fratelli, e inviare queste comunità al mondo, annunciando la giustizia del Regno. Qui vi è il senso della vita comunitaria dei religiosi e delle religiose, e anche delle comunità ecclesiali di base e di tutte le comunità missionarie: riunire in funzione dell’invio e inviare in funzione della formazione, nelle comunità, di operatori del Regno.

6. Tra convocazione e invio, si configurano nuovi contorni della missionarietà della Chiesa: prossimità nell’univer-salità, rottura nella continuità e unità nella diversità).

a) La prossimità universale dà continuità all’aggiorna-mento pensato da Giovanni XXIII e dai Padri conciliari, come principio strutturante di una lettura teologica inserita nel tempo e nello spazio. Prossimità che indica la realtà dei poveri e le alternative al mondo globalizzato (...). "Prossimità nell’universalità" può essere compresa come alternativa alla colonizzazione culturale e all’esclusione sociale. "Prossimità nell’universalità" propone una nuova comprensione dell’unità, unità come articolazione di molteplici progetti di vita con orizzonti diversi ma non concorrenti. b) La rottura nella continuità (...) indica la rottura con il sistema "guadagno quindi esisto". Generalmente non riusciamo ad arrivare più in là di rotture simboliche. Vivere in continuità con il mondo dove c’è grano e c’è loglio, senza essere del mondo, rappresenta una conversione quotidiana. La gratuità rappresenta la rottura simbolica sempre possibile e mai completa. c) L’unità nella diversità (...) è l’articolazione sempre precaria dei diversi in un obiettivo comune che ha molti nomi: Regno di Dio, un altro mondo possibile (Forum Sociale Mondiale), Terra senza mali (guaranì). Unità nella diversità indica anche la dimensione ecumenica e macroecumenica (interreligiosa) della natura missionaria della Chiesa.

Continuità di impegni e opzioni

Dalla natura missionaria, che si configura come responsabilità nei riguardi del mondo, emergono gli impegni e le opzioni concrete di una Chiesa Popolo di Dio che, nella sua coerenza evangelica e nella sua fedeltà al Regno, diventa buona novella:

1. Convertirsi al Regno

Convertirsi al Regno è compito di ogni giorno. In questo compito la Chiesa "evangelizza se stessa" (Evangelii nuntiandi 15) attraverso la denuncia della rottura con il sistema che crea vittime e l’annuncio della Buona Novella di un altro mondo che sta nascendo in mezzo a noi. Medellín, ma anche Puebla e Santo Domingo, descrive questa rottura in termini teologici come "conversione", "creazione nuova", "opzione per i poveri" e "liberazione". Aparecida può fare la lettura della conversione in chiave di "gratuità" (…).

2. Camminare con le vittime e riscattare la loro memoria

La vita di tutti i cristiani, nelle più diverse configurazioni sociali e culturali (giovani, anziani, poveri, migranti, classe media), è vincolata alla causa dei poveri e degli altri, che sono vittime dell’antiregno egemonico. Nei suoi principali discorsi, quelli della Sinagoga di Nazareth (Lc 4), delle Beatitudini (Mt 5) e del Giudizio finale (Mt 25), Gesù è molto chiaro. I protagonisti e il nucleo centrale del suo progetto, che è il Regno, sono le vittime (i poveri, i prigionieri, i ciechi, gli affamati, gli oppressi, gli stranieri, gli straccioni, i malati). Camminare con le vittime di ieri e di oggi significa ricordare, ascoltare e sostenere le loro voci, in una vicinanza inserita e inculturata e in una solidarietà che va fino alle ultime conseguenze. Per i poveri, gli esclusi e, culturalmente, gli altri, la memoria del passato è uno strumento decisivo per la costruzione della loro identità, la cicatrizzazione delle loro ferite e la mobilitazione della loro resistenza (...). Chi è in pace con il suo passato è preparato a questa missione senza frontiere. Il messaggio fondamentale della missione è la speranza.

3. I poveri, l’epifania di Dio

Le vittime non sono solo i protagonisti e i destinatari del progetto di Dio; sono il luogo per eccellenza dell’epifania di Dio. Nel cristianesimo, la questione centrale è strettamente vincolata alla questione dell’ortodossia, e il peccato significa indifferenza di fronte allo sfruttamento dei poveri e al disprezzo che soffrono. In essi, la Chiesa riconosce "l’imma-gine del suo Fondatore povero e sofferente" (Lumen gentium 8c). La Chiesa ha una dottrina sufficientemente autentica solo nella vicinanza ai poveri. Esiste un legame tra verità e povertà (...).

4. Pratiche significative di partecipazione

Riconoscere l’altro-povero nella sua dignità e alterità significa inclusione e partecipazione. Puebla ha dedicato una delle cinque parti delle sue conclusioni alla "comunione e partecipazione" (Puebla 563-891). Favorire pratiche significative di partecipazione del popolo di Dio è un’espressione coerente della natura missionaria della Chiesa. Questa partecipazione e questa suddivisione fraterna dei servizi e dei poteri danno dinamicità all’opzione per i poveri attraverso un’opzione con i poveri, che sono la porta per la Vita.

5. Vivere la gratuità come atteggiamento pasquale

Seguire Gesù nello Spirito Santo significa vivere la gratuità come atteggiamento pasquale. Il vangelo della Grazia si fa presente in tutte le forme di dono della vita come apertura al Regno: nel dialogo interreligioso, nella presenza silenziosa, nella testimonianza, nella contemplazione e nell’azio-ne, nella solidarietà, nella misericordia e nella giustizia, e, infine, nella proclamazione della parola di vita (cfr Evangelii nuntiandi 22). La gratuità è la condizione della nonviolenza, della pace e della speranza che un altro mondo - senza la logica del costo-beneficio - è possibile. E viene anticipata nelle celebrazioni dei sacramenti come riti di iniziazione e di trasformazione.

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