NEL PROCESSO BOLIVARIANO C’È “L’ANIMA DEL POPOLO”. LA RIFORMA COSTITUZIONALE DIVIDE LA CHIESA DEL VENEZUELA
Tratto da: Adista Documenti n° 84 del 01/12/2007
DOC-1928. CARACAS-ADISTA. Tempo di svolta in Venezuela: il referendum del prossimo 2 dicembre sul progetto di riforma costituzionale - lanciato dal presidente Hugo Chávez e discusso e approvato dall’Assemblea nazionale dopo più di due mesi di discussioni e dibattiti pubblici - sarà il primo concreto banco di prova per il cosiddetto socialismo del XXI secolo. Delle profonde modifiche introdotte dal progetto (69 gli articoli riformulati, di cui solo 33 proposti da Chávez), è soprattutto una, però, ad aver catturato l’attenzione internazionale: quella relativa alla “rielezione indefinita”, con l’abrogazione del limite al numero di mandati presidenziali (che passano inoltre da sei a sette anni). Se in tanti hanno evocato lo spettro di una dittatura – curioso che il leader dell’opposizione Manuel Rosales abbia parlato di “colpo di Stato costituzionale”, lui che ad un colpo di Stato, quello dell’aprile del 2002, ha partecipato davvero - sono stati molti anche a difendere la misura voluta da Chávez. Come il vice-presidente della Commissione Giustizia e Affari Interni del Parlamento Europeo Giusto Catania, che, in una conferenza stampa a Bruxelles, ha affermato che la riforma costituzionale venezuelana “risponde assolutamente agli standard europei”, in quanto in molti Paesi d’Europa “esiste la possibilità che un presidente della Repubblica eletto dal popolo o un primo ministro possa ripetere il suo mandato indefinitamente”. O come il presidente brasiliano Lula, che ha definito “divertente” il fatto che Margareth Thatcher sia stata tante volte eletta primo ministro o che elmut Kohl sia rimasto tanti anni al potere e “nessuno si sia mai chiesto se la proposta di vari mandati consecutivi fosse cattiva”. O come lo scrittore e giornalista francese Salim Lamrani, che parla di “isteria mediatica senza precedenti”, ricordando che, “secondo la Magna Carta francese, il presidente Nicolas Sarkozy potrebbe governare durante i prossimi trenta anni senza nessun problema, se rieletto. E lo stesso in Paesi come Regno Unito, Germania, Italia, Portogallo e la maggior parte delle altre nazioni europee”.
Una trasformazione del modello di società
Al di là della “rielezione indefinita”, la riforma costituzionale presenta numerosi altri aspetti, tutti più o meno passati sotto silenzio dai mezzi di comunicazione: tra gli altri, un fondo di stabilità sociale che garantisca anche ai lavoratori autonomi i diritti fondamentali, dalla pensione alle ferie; la riduzione dell’orario di lavoro da 48 a 36 ore settimanali; la soppressione dell’autonomia della Banca Centrale (allo scopo di vincolare alle decisioni dell’esecutivo un’area tanto delicata come quella finanziaria); la distribuzione delle terre non produttive ai contadini; la proibizione del latifondo e di ogni monopolio; la decisione dello Stato di riservarsi, “per ragioni di sovranità, di sviluppo e di interesse nazionale, l’attività di sfruttamento degli idrocarburi liquidi, solidi e gassosi”. E, ancora, la definizione degli “strumenti di partecipazione e protagonismo del popolo, nell’esercizio diretto della sua sovranità e per la costruzione del socialismo”, a partire dai Consigli del Potere Popolare (consigli comunali, operai, studenteschi, contadini, femminili ecc.); la promozione e lo sviluppo dell’agroecologia come base strategica dello sviluppo rurale, allo scopo di garantire la sicurezza e la sovranità alimentari della popolazione; la creazione di nuove forme di proprietà, senza tuttavia escludere quella privata (su beni d’uso e consumo e su mezzi di produzione legittimamente acquisiti), all’interno di un modello economico fondato “sul primato degli interessi comuni rispetto a quelli individuali”, a garanzia “delle necessità sociali e materiali del popolo”. Nella rivendicazione - come sottolinea il professore di Diritto Costituzionale dell’Università di Zaragoza Francisco Palacios Romeo – di “un diritto alla proprietà privata sociale contro un diritto alla proprietà privata capitalista”.
Più di una critica al progetto di riforma giunge, tuttavia, anche dal campo amico. Scrive ad esempio il noto sociologo Edgardo Lander: “L’indispensabile dibattito sul modello di società che si vuole costruire abortisce se si ritiene che sia sufficiente definirlo socialista. In questo testo si incorpora più e più volte la parola ‘socialista’ come aggettivo che definisce il carattere dello Stato, dell’economia, della democrazia” senza però mai precisare cosa si intenda per socialismo del XXI secolo e in cosa questo si differenzi dal socialismo del XX secolo: “Non si tratta in alcun modo di disquisizioni semantiche, bensì di decisioni fondamentali sul futuro del Paese”. E in ogni caso, secondo Lander, per portare a termine le modifiche costituzionali proposte, orientate ad una trasformazione profonda del modello di società contemplato nella Costituzione del 1999, “sarebbe stata necessaria la convocazione di un’Assemblea costituente”. Quanto all’eliminazione dei limiti per la rielezione presidenziale, Lander ritiene che “il consolidarsi nel tempo dell’indiscussa leadership di una persona può arrivare ad ostacolare” la creazione di una cultura autenticamente democratica: “con la possibilità della rielezione indefinita del presidente, considerando l’età di Chávez, il tema della formazione di leader di rilievo scompare dall’orizzonte”.
La bocciatura dei vescovi
Contestato aspramente dalle élite venezuelane, il progetto di riforma costituzionale ha ricevuto una durissima bocciatura anche dalla Conferenza episcopale, che, in un documento dal titolo “Chiamati a vivere nella libertà”, diffuso il 19 ottobre, giungono a definirlo “moralmente inaccettabile alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa”, lanciando l’allarme sulla presunta soppressione della libertà, “che non corregge le ingiustizie ma ne aggiunge altre, asfissianti e insopportabili”, ed esprimendo una condanna del modello di Stato marxista-leninista, per quanto in nessuna parte del progetto si trovi anche solo una semplice menzione a Marx o a Lenin. Scontate le reazioni al documento della Conferenza episcopale: “I cattolici venezuelani - è stata la risposta di Chávez - si vergognano di avere vescovi moralmente inaccettabili” e “al servizio dell’oligarchia”, come ben dimostrato dal loro sostegno al colpo di Stato del 2002. Critiche ai vescovi sono giunte anche dal consigliere dell’Ambasciata del Venezuela presso la Santa Sede, mons. Nelson Torrealba: “Vorrei sapere dalla Conferenza episcopale se, tra tutti i suoi documenti, abbia mai ricordato anche solo due buone opere del governo”. Eppure, “da quando Chávez è arrivato alla presidenza, tutti coloro che lo hanno accompagnato in questo processo hanno visto quante cose sono cambiate”.
Critiche al progetto di riforma costituzionale giungono peraltro anche dalla Conferenza dei religiosi e delle religiose, che, in un comunicato dal titolo “Per la giustizia, la pace e la speranza”, guarda con preoccupazione alla “divisione nel Paese” e denuncia “gli insulti e le offese” rivolte ai pastori: il progetto - affermano i superiori e le superiori maggiori - riflette “un pensiero unico che esclude buona parte dei venezuelani”, ponendo in pericolo “il pluralismo inclusivo che permette una convivenza pacifica tra tutti” e operando una concentrazione “del potere e delle decisioni politiche nella figura del presidente”. Ma sugli insulti ricevuti da Chávez e dai “preti chavisti”, l’arcivescovo di Mérida Baltazar Porras è già corso ai ripari: nella prossima udienza con il papa, ha annunciato, i vescovi chiederanno che contro i sacerdoti di sinistra vengano adottate le opportune misure canoniche. Si tratta, ha affermato, di “un gruppo di preti che si dedica in maniera grossolana a denigrare, a calunniare e a dire cose che hanno dell’incredibile, per non utilizzare altro aggettivo”.
Di certo non calunniano, né dicono alcunché di incredibile, il gesuita Miguel Matos e il prete di Petare Bruno Renaud. Di seguito i loro commenti, in una nostra traduzione dallo spagnolo. (claudia fanti)
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