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UN SISTEMA CREATO PER ESCLUDERE CHI NON È ALLINEATO. Intervista a Raniero La Valle

Tratto da: Adista Documenti n° 22 del 15/03/2008

Che valutazione dai dei processi di riaggregazione politica in atto in queste settimane, sia nel centro destra con la creazione del Popolo delle Libertà, sia nel centro sinistra con la nascita del Partito Democratico?

Nella politica italiana è successo qualcosa che in qualche modo fa pensare ad un colpo di mano. Eravamo arrivati ad un punto in cui l’esperienza disastrosa di 15 anni di nuovismo e di riforma del sistema politico in senso bipolare aveva portato ad un generale discredito di questo nuovo assetto e stavano emergendo con molta forza delle spinte per il ripristino del regime parlamentare e per il ritorno ad un sistema proporzionale autentico, non violentato né smentito da premi di maggioranza che sovvertono i risultati delle elezioni. Sembrava quindi che ci si stesse avviando verso un superamento del bipolarismo e verso un ristabilimento di condizioni più normali di vita democratica. Poi c’è stata la proposta del referendum Guzzetta, che tentava di spingere nella direzione del passaggio dal bipolarismo al bipartitismo, e quindi della riduzione dell’intero sistema politico a due sole aggregazioni, che non avrebbero avuto più niente dei partiti: quando un intero Paese, un’intera società politica si spacca in due e tutti devono stare da una parte o dall’altra è chiaro che non si può più parlare di partiti, si può parlare solamente di due fazioni globalmente contrapposte.

A questo punto è successo quello che io chiamo "colpo di mano", poiché la decisione di Veltroni di andare da solo alle elezioni ha scompaginato tutto, orientando di nuovo lo sviluppo politico verso il bipartitismo. Con questa scelta unilaterale, cioè, l’equilibrio politico è stato bruscamente spostato verso la formazione di due soli grandi partiti, secondo il modello americano. È evidente che dentro questo modello le minoranze sono escluse istituzionalmente. È un modello in cui i due partiti contrapposti si devono necessariamente somigliare, perché altrimenti il gioco non funziona. Per arrivare allo schema bipartitico secco, bisogna infatti che le due parti insistano sulla stessa area elettorale, escludendo quindi programmaticamente quelle che vengono ingiustamente chiamate "ali estreme", che spesso non hanno niente di estremo o di radicale, ma avanzano semplicemente idee e proposte, modelli e ideali che non sono esattamente quelli omologati dal sistema di potere. Quindi, quello che sta accadendo è del tutto comprensibile se collocato all’interno di questa ripresa del modello anglosassone che l’elettorato aveva peraltro rifiutato quando aveva respinto la riforma costituzionale.

Che futuro ci attende?

Se questo processo va avanti, il futuro è quello di una democrazia amputata, di una democrazia in cui non c’è più politica; questo è infatti lo schema di una società impolitica. È impolitica quella società in cui non si possono avanzare alternative e non si possono proporre linee politiche diverse, che sono precluse dallo stesso meccanismo istituzionale.

Anche la creazione della Sinistra Arcobaleno si inserisce in questo processo?

La Sinistra-L’Arcobaleno ne è una delle vittime. Naturalmente cerca di sopravvivere in questa manche della partita, e quindi si presenta alle elezioni cercando di conquistare qualche deputato da ciò che avanza dalla spartizione della Camera tra un gruppo vincitore che prenderà per legge 340 deputati - non si sa bene quanti senatori dato l’insensato sistema di un premio di maggioranza diviso tra maggioranza e minoranza - e il gruppo opposto che prenderà la maggior parte dei seggi residui. Per cui, facendo i conti, per tutti gli altri che non fanno parte dei due partiti maggiori rimarranno degli scampoli di rappresentanza parlamentare. La Sinistra-L’Arcobaleno cercherà di avere una parte di questi scampoli.

Allora, che fare?

La questione principale - visto che andremo a votare sotto ricatto - è evitare che vinca le elezioni Berlusconi
, che è stato finora la più grave minaccia di ripristino del fascismo in Italia. Non lo chiamiamo più fascismo perché le parole spaventano, e nessuna cosa si riproduce mai uguale a se stessa, ma si può chiamare deuterofascismo. E allora, naturalmente, il primo problema è evitare di cadere in questa fossa. Quindi bisognerebbe in qualche modo favorire non la rappresentanza parlamentare di piccoli gruppi ma quella del partito in grado di evitare, con un voto in più, che Berlusconi prenda tutto il potere. A meno che non si voglia votare per l’unica lista collegata ma non ancora assorbita dal Pd, quella di Di Pietro. Se Berlusconi non vincesse le elezioni, o si andasse al pareggio, allora si riaprirebbe tutta la partita, dal momento che anche dentro al Pd non c’è affatto pieno consenso per l’irrigidimento nelle forme bipartitiche di cui si è detto, e ancor meno per una cosiddetta "grande coalizione". Resta però ugualmente un grande pericolo: la prospettiva, già enunciata non solo da Berlusconi ma anche da Veltroni, di procedere insieme a una nuova riforma costituzionale. In tal caso bisognerà stare attenti che non ritorni dalla finestra ciò che è stato cacciato dalla porta, cioè che non torni, questa volta con la compartecipazione e la spinta di una parte del movimento democratico, la riforma di tipo presidenzialistico e antiparlamentare, che passa attraverso la soppressione del Senato, la drastica riduzione dei parlamentari, il divieto di costituzione in Parlamento di partiti non passati per la cruna dello sbarramento elettorale, e, sostanzialmente, una cultura che mette in scacco il Parlamento e il suo rapporto di fiducia da una parte col governo e dall’altra col popolo.

Che valutazioni dai delle recenti prese di posizione della Conferenza episcopale e di "Avvenire" che hanno sponsorizzato in particolar modo il centro cattolico di Casini e, in parte, anche il Popolo delle Libertà?

Più che discutere sulle ingerenze della Cei, dobbiamo chiederci a questo punto cosa ci stanno a fare i cristiani in politica. Questo tipo di degrado in cui il sistema politico è incorso, e che adesso sta precipitando, ha portato alla neutralizzazione della presenza dei cristiani nella politica. Questa neutralizzazione è così avanzata, che è stata poi sostituita dall’intervento diretto della gerarchia ecclesiastica, che non è l’intervento dei cristiani in politica ma è la presenza di un grande potere ecclesiastico all’interno delle istituzioni politiche per ottenere questo o quel risultato ritenuto importante.

Questo sviluppo ha sostanzialmente espulso dalla politica una presenza significativa dei cristiani: prima la fine della Democrazia Cristiana, provocata dal passaggio al bipolarismo, con la confluenza dentro le nuove formazioni politiche del-l’ex elettorato democristiano, tra cui c’era anche un importante elettorato cattolico; e poi il processo che ora si sta ulteriormente accelerando, con lo scioglimento di tutte le componenti del cattolicesimo democratico nel Pd e con la contesa tra le diverse parti della destra per accaparrarsi questa o quella fetta di elettorato cattolico. E così la cosa è fatta: i cattolici sono stati messi fuori e si è realizzato il vecchio progetto di una vecchia Italia laica, anticlericale e in parte anche antimoderna di non avere più a che fare con una presenza cristiana.

È ancora attuale una presenza dei cristiani nella politica italiana?

Io penso di sì, penso che ci sono delle istanze, delle metodologie di rapporti umani, delle visioni di società politica e di società internazionale, delle visioni antropologiche con un diretto riflesso nella legislazione e nella politica che senza una presenza dei cristiani (né potrebbe supplire la gerarchia ecclesiastica) sarebbero escluse. E allora comincio a chiedermi se non sia venuto il momento di riproporre il problema di una Sinistra cristiana. Ciò può sorprendere da parte di chi per una vita ha cercato di scongiurare i rischi e le controindicazioni di una presenza confessionalmente di-chiarata dei cattolici nella vita politica; in effetti ci si è opposti al partito cattolico, all’unità politica dei cattolici, si è lottato per l’aconfessionalità non solo dello Stato ma anche delle forze politiche. Tuttavia, quella che veramente è stata sconfitta ed esclusa non è l’ideologia cattolica, presente attraverso altre forme e altri veicoli, ma l’idea, che storicamente e tradizionalmente in Italia è stata interpretata dalla Sinistra cristiana, di una mediazione laica, politica, autonoma dei valori evangelici - a partire da quello della pace, dei diritti e dell’unità degli uomini - nella società e nello Stato. Una tradizione che viene da lontano: si va dal movimento democratico di Romolo Murri, dall’intuizione originale sturziana del Partito popolare aconfessionale, che introdusse la proporzionale, praticò l’intransigentismo contro la corruzione clerico-moderata e promosse i partiti di massa, fino ai cattolici nella Resistenza, ai cattolici democratici nella Costituente, alla Sinistra cristiana di Ossicini e Rodano, alla Sinistre democristiana da Dossetti a Moro, fino ai cristiani della Sinistra Indipendente: una presenza che c’è sempre stata, in un modo o nell’altro, e che ha rappresentato un’alternativa non solo rispetto alla destra cattolica e ai clerico-moderati, ma anche rispetto al complesso del sistema politico.

Allora la questione è se non sia venuto il momento di porsi il problema di una ripresa seria di una Sinistra Cristiana in Italia, quale che sia il nome con cui la si voglia chiamare (a suo tempo proponemmo una aggregazione detta "Pace e diritti", di cui fu avviato un processo costituente, ma non si diedero le condizioni perché il tentativo potesse procedere, anche perché tutto si spostò nella direzione della novità rappresentata da Prodi). Ma probabilmente questo è un tema per le nuove generazioni, con idee fresche ed energie sveglie. (l. k.)

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