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FIGLI DELLO STESSO PADRE: LA RISPOSTA DEI ROM A SGOMBERI, SCHEDATURE E VIOLENZE

Tratto da: Adista Documenti n° 50 del 29/06/2008

DOC-2009. ROMA-ADISTA. La risposta più bella al delirio in materia di “sicurezza” che ha travolto l’Italia, assumendo i contorni privilegiati della caccia ai nomadi, è venuta l’8 giugno scorso - giorno in cui nel 1936 fu istituito a Monaco l’Ufficio centrale contro la Piaga Zingara - dalla prima manifestazione autorganizzata del popolo rom. Un corteo contro il razzismo a cui hanno preso parte circa 8mila persone, tra rappresentanti di associazioni rom e sinte - a cominciare dall’Associazione Nazionale Thèm Romanò di Santino Spinelli, musicista rom, docente alle Università di Torino, Trieste e Chieti -  membri di associazioni di volontariato italiane, esponenti politici (tutti ovviamente dell’opposizione), intellettuali, artisti e singoli cittadini, che hanno sfilato dal Colosseo al Villaggio Globale, a Testaccio, al ritmo di musiche e danze rom – protagoniste le festose ragazze del gruppo Cheja Chelen (ragazze che ballano) – portando striscioni con le scritte “Figli dello stesso padre”, “Ogni popolo è una ricchezza per l’umanità”, “Io sto coi rom”, ma anche frasi come quella scritta a pennarello sulla maglietta di un ragazzo: “mi chiamo Gigi”, tanto per ricordare - contro lo stereotipo, tra i tanti esistenti, che li vuole tutti stranieri - che l’80% dei rom e sinti che vivono in Italia è costituito da cittadini italiani, come pure indicavano le bandiere tricolori presenti.

Un corteo definito “un trionfo emozionante” da Santino Spinelli e non a torto: allegro e colorato malgrado il dolore di chi è “Nato condannato”, come recitava un altro striscione; malgrado il disagio di quanti, pur vivendo da tanti anni in Italia, con figli italiani che frequentano scuole italiane, sono costretti a condurre una vita da clandestini; malgrado la protesta che, come ha voluto precisare ad Adista Umiza Halilovic, portavoce della comunità di Monte Mario, “non è contro il popolo italiano”, ma contro quel potere politico e mediatico che “mette il popolo italiano contro di noi”.

E contro di loro continua ad abbattersi la violenza nel nostro Paese. Lo stesso giorno del corteo romano, una giovane rom di 16 anni, incinta di 6 mesi, che stava chiedendo l’elemosina di fronte a un bar, è stata aggredita e presa a calci da un italiano in via Rimini, a Pesaro, tra l’indifferenza generale. Il 6 giugno la questura di Roma ha deciso lo sgombero forzato, dalla zona dell’ex mattatoio, a Testaccio, punto di arrivo del corteo contro il razzismo, di 30 roulotte che ospitano rom italiani di origine slava, per i quali - denuncia Filippo Miraglia, responsabile dell’Arci per l’immigrazione – l’amministrazione si era impegnata a trovare una sistemazione alternativa. A Milano, all’alba dello stesso 6 giugno, agenti della Questura, della polizia municipale e dei carabinieri hanno bloccato il campo di via Impastato, in piena regola, abitato da 35 persone, tutti cittadini italiani da generazioni e residenti a Milano da decenni, tra cui i familiari di Giorgio Bezzecchi, vicepresidente nazionale dell’Opera Nomadi, impegnato da anni nella promozione sociale, politica e culturale dei rom a Milano: primo atto di una “schedatura di massa su base etnica” – commenta ancora Miraglia –, decisa dal Commissario straordinario per l’emergenza rom, il prefetto Gian Valerio Lombardi (anche se “sarebbe stato sufficiente, per schedarli, consultare il computer dell’anagrafe”). “Sono passati 70 anni – ha scritto Bezzecchi in una accorata lettera aperta - dalla promulgazione delle leggi razziali e dai primi rastrellamenti che sfociarono dopo un breve periodo di tempo in un ordine esplicito di ‘internamento degli zingari italiani’ in campi di concentramento, quei ‘campi del Duce’ di cui in Italia si è preferito perdere la memoria. (…) Domani sarà schedato anche mio padre, cittadino italiano, che ha patito la persecuzione nazifascista con l'internamento in un campo concentrazionale italiano. Mio nonno, deportato a Birkenau, è uscito dal camino. Mi vergogno, in questo momento, di essere cittadino italiano e cristiano”.

In questo quadro, l’Arci chiede allora che venga interrotta la schedatura su base etnica, si rivolge alla magistratura perché vigili sul rispetto del dettato costituzionale e fa appello al presidente della Repubblica “affinché intervenga per evitare che si realizzino veri e propri pogrom nei confronti di decine di migliaia di persone che già vivono una situazione di forte discriminazione nei campi”. Solidarietà nei confronti dei rom è stata espressa anche dal “Comitato campano con i rom”, che riunisce associazioni laiche e religiose (dalla Rete di Lilliput alle Donne in nero, da Mani Tese alle Acli), gruppi rom e rappresentanti della società civile: “Alla luce degli atroci avvenimenti di Ponticelli e del pacchetto sicurezza del ministro Maroni”, il Comitato chiede che sia fatta luce sui rapporti tra il piano di riqualifica dell’area di Ponticelli, gli interessi della camorra e quelli della politica; sottolinea la necessità di chiarire in ogni dettaglio l’episodio del tentato rapimento della bambina napoletana da parte di una ragazza rom, in quanto tutti i casi di rapimento emersi sui giornali si sono rivelati sempre infondati e “mai nella storia repubblicana un rom è stato condannato per sequestro di minore”; condanna gli sgomberi dei campi senza l’individuazione di soluzioni alternative, le politiche emergenziali e ghettizzanti, l’inserimento nel nostro ordinamento giuridico del reato di immigrazione clandestina; e chiede, tra l’altro, la regolarizzazione per tutti i rom che vivono da anni in Italia, il loro coinvolgimento nei tavoli in cui si decide del loro futuro in un processo di partecipazione dal basso, il risarcimento per le persecuzioni millenarie culminate nello sterminio nazista. E sempre dalla Campania giunge un documento sulla questione rom in tempi di globalizzazione economica, che fa piazza pulita dei tanti stereotipi esistenti riguardo a rom e sinti e svela “verità scomode che nessuno pubblica”: a scriverlo è il presidente dell’Opera Nomadi di Napoli Marco Nieli, impegnato da circa dieci anni sulla questione dell’immigrazione Rom a Napoli insieme all’Opera Nomadi, di cui da due anni ha “l’onore di ricoprire la carica di presidente”. Lo riportiamo qui di seguito con alcuni tagli. (claudia fanti)

 

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