A PROPOSITO DEL CAPRO ESPIATORIO
Tratto da: Adista Documenti n° 50 del 29/06/2008
(...) Quello che oggi viviamo in Italia, visto dall’osser-vatorio particolarissimo di una città dai mille problemi come Napoli, avrebbe davvero dell’incredibile, se non fosse ascrivibile a precise cause di natura economica e politico-elettoralistica.
Siamo di fronte a uno sprofondamento dello Stato di Diritto in questo Paese, un cedimento di ogni ipotesi di convivenza civile nel rispetto delle reciproche differenze, una drammatica crisi dei valori fondanti della democrazia, che non ha precedenti storici se non nel ventennio di triste memoria. I rom rappresentano solo l’anello più debole della catena, la prima avvisaglia di questa crepa che ci porterà prima o poi a un crollo di tutto l’edificio, se non si interviene con misure risolute e decise per invertire la rotta. L’attacco congiunto (da parte della camorra, di buona parte dei media, delle forze politiche ponticellesi e ovviamente del governo in carica) ai diritti della minoranza rom è oggi, insieme all’emergenza ambientale, il più evidente segnale di tale situazione, che mette, di fatto, l’Italia fuori dall’Europa e dal novero dei Paesi che si dicono civili. Qualcuno ha parlato dell’anomalia italiana come un’inedita forma di “telefascismo”: chi ha vissuto come noi in questi giorni la vera e propria caccia all’uomo scatenata sul territorio a ridosso del pogrom di Ponticelli (rom accoltellati in giro, picchiati senza motivo al supermercato o sul treno, raids anche in altri campi con le foto di presunti minori italiani scomparsi sbandierate come un’arma), con il ruolo determinante di buona parte dei media che innalzavano volutamente la tensione, sa di cosa si parla. (...).
La distorsione dell’informazione sui rom di Ponticelli, per quanto ci riguarda, è stata totale e intenzionale, per favorire gli interessi di gruppi politici (leggi Pd locale) o dell’alter-Stato (camorra locale), ma con un unico risultato evidente: la cancellazione dal territorio di un intero gruppo etnico, in puro stile ex-jugoslavo. La distorsione sistematica della realtà dipingeva queste persone “nomadi” dedite al furto, alla compravendita di minori, all’accattonaggio molesto e alla violenza carnale (!). Parlando con le forze dell’or-dine nei drammatici giorni del pogrom, ci veniva confermato invece che grandi fenomeni criminali non erano emersi da queste comunità: al massimo qualche illegalità nella compravendita di un ape-car, qualche reato ambientale, tipo sversamento in strada di materiale ingombrante (robetta, a confronto dello scempio operato da camorristi e imprenditori settentrionali nelle nostre campagne).
A dicembre 2007, 15 rom rumeni di via Woolf a Ponticelli avevano subito le prime espulsioni in seguito al decreto cosiddetto “espelli-rumeni” del governo Prodi, per gravissimi attentati alla pubblica sicurezza: uno non si era presentato in Questura per chiarire la propria posizione giuridica in Italia, altri avevano comprato mezzi poi risultati rubati... (...).
Nella realtà, noi abbiamo conosciuto da cinque anni a questa parte (...) delle famiglie di ex-proletari o ex-braccianti (lavoravano nelle fabbriche siderurgiche di Calarasi o nei campi di Suceava), ripiombate nella condizione di Lumpenproletariat nell’era post-socialista e adattatesi ad attività di economia informale come il riciclaggio dei metalli o il lavoro (in nero) nei cantieri. Niente di più lontano dalla fiction a fosche tinte che ci hanno sapientemente ammannito i nostri pilotatissimi telegiornali. Addirittura, una solerte giornalista di una rete del nostro ineffabile premier ha ammesso candidamente (ci spiace non aver registrato la telefonata) che lei, prima di entrare in un campo rom, già è abituata a ricevere perentorie indicazioni su ciò che deve trovarvi. Una “pennivendola” consapevole, è la simpatica auto-definizione di questa aspirante free(?)-lance, cui abbiamo consigliato caldamente di cambiare mestiere.
La morbosa curiosità verso gli sfollati di Ponticelli si è poi, nelle ultime settimane, trasformata in una vera e propria caccia all’uomo teleguidata (non si può definire altrimenti questo nuovo fenomeno para-fascista), con i rom che sono arrivati a vietare l’ingresso delle telecamere nei campi, terrorizzati dal pericolo di essere individuati per nuovi attacchi incendiari. Attacchi che sono comunque puntualmente avvenuti, con o senza le telecamere, in vari punti della città, anche dopo il pogrom di Ponticelli del 13 maggio (16 maggio, presidio razzista fuori del Centro di Prima Ospitalità “G. Deledda” di Soccavo; 18 maggio, raid in motoretta a via del Riposo, Poggioreale; 19 maggio, nuovo pogrom sventato a via Ma stellone, Barra; 4 giugno, nuove molotov in viale della Maddalena, Capodichino, ecc.).
Per inciso, va detto che questo popolo, non avendo mai avuto un territorio proprio da difendere né un’organizza-zione statale, non ha mai neanche avuto necessità di un esercito e dunque non ha mai fatto guerre. Quando nell’ex-Jugoslavia hanno cercato di arruolarli forzatamente negli eserciti nazionali contrapposti, i rom hanno lasciato case e lavoro e sono fuggiti, per non sparare sui loro fratelli. Di fronte alla violenza gratuita che si è scagliata su di loro negli ultimi mesi, essi reagiscono con un senso di incredula rassegnazione, chiedendosi perché l’Italia stia oggi passando ad atteggiamenti così indegni (...). Per loro è inconcepibile scagliarsi contro un intero popolo, pacifico e inerme, che chiede solo di sopravvivere silenzioso e invisibile ai margini delle nostre opulente città.
Ma le ragioni del pogrom non vanno forse ricercate più lontano (o più vicino, a seconda dei punti di vista), nei cospicui interessi economici della camorra e in quelli, ancora più vistosi, della rincorsa ai voti elettorali sul terreno della sicurezza?
Oggi, a Napoli e in tutta Italia, queste persone si ritrovano, dopo il pogrom di Ponticelli e prima delle preannunciate misure del nuovo governo, di nuovo al centro del ciclone, come all’epoca degli internamenti e delle violenze di triste memoria fascista (...). È proprio dell’ultima ora la notizia di inquietanti schedature di rom e sinti italiani in quel di Milano. Tutto questo clima mediatico-subculturale, avallato da buona parte delle istituzioni nostrane (governative e non), dà adito all’amara riflessione che noi italiani sembriamo proprio non riuscire a imparare niente dalla storia più o meno recente del nostro Paese e dell’Europa. Mi pare, infatti, che ancora una volta si scelga di seguire la strada del capro espiatorio per scaricare le tensioni sociali, legate alla disoccupazione e alla precarizzazione della forza-lavoro, sui soggetti più deboli e indifesi, in un vero delirio psicotico di massa centrato su questa fantomatica identità collettiva astratta, i nomadi.
Questo termine improprio e generico, che a volte si sovrappone confusamente nell’immaginario collettivo (e mediatico) a quello di rumeni, non ha quasi ormai più nessun riscontro nella realtà umana e sociale di queste comunità presenti sui nostri territori (e che noi dell’Opera Nomadi quotidianamente tocchiamo con mano). Il nomadismo tra gli “zingari” presenti in Italia è oggi limitato ai pochi gruppi di camminanti di Noto, in Sicilia, e a qualche gruppo di sinti giostrai del nord, per il resto è un fenomeno ormai largamente superato nella storia di questo popolo (la nostra associazione si chiama ancora così per rispetto di un retaggio storico-culturale in cui identificarsi). Quelli con cui noi abbiamo a che fare ogni giorno (almeno a Napoli e in Campania) non sono assolutamente i nomadi di cui continuano a parlare giornali e televisioni, ma persone in carne ed ossa, con storie di violenza subita ed emarginazione alle spalle, cittadini a pieno titolo di Stati stranieri (ex-Jugoslavia e Romania), che hanno rimesso a un certo punto in discussione i loro diritti acquisiti, spingendoli a emigrare più o meno forzatamente verso i nostri lidi. Sottolineo: cittadini assolutamente stanziali di Stati stranieri, da cui sono fuggiti per la ripresa delle discriminazioni razziali nei loro confronti e/o delle guerre nazionalistiche (ex-Jugoslavia) o per le violente ristrutturazioni capitalistiche (leggi privatizzazioni delle fabbriche in cui lavoravano, in Romania).
Ma tutto questo, in generale, sembra interessare molto poco a gran parte dei mass-media nostrani, troppo spesso unicamente a caccia della notizia sensazionale utile a vendere più copie. È purtroppo un dato di fatto che il singolare “blocco di potere” mediatico-politico di questo Paese riesce oggi a far passare come moneta corrente l’equazione no-made=clandesti-no=delinquente, soffiando sui conflitti sociali dei vari territori interessati (che diventano poi vere “guerre tra i poveri”, come a Ponticelli) e rimuovendo invece le cause econo-mico-sociali di questi nuovi fenomeni migratori, frutto della globalizzazione selvaggia dei mercati. Non è infatti un caso che non emerga mai la scomoda verità che sono spesso gli imprenditori italiani (come il gruppo Tenaris a Calarasi, cittadina del sud-est rumeno da cui veniva buona parte dei rom rumeni di Ponticelli) a comprare e ristrutturare gli impianti obsoleti dell’era Ceausescu, gettando sul lastrico le famiglie rom che prima lavoravano in quelle fabbriche. Si parla di circa 4.000 aziende italiane in Romania: quante di queste possono dire di non operare discriminazioni nei confronti del popolo rom? Non esistono dati in merito, ma i racconti che ci giungono dai nostri amici rom a Napoli sono significativi.
Ora, di fronte a tutto questo marasma di disinformazione, violento e funzionale alle logiche di dominio e consenso in questo Paese, è possibile che non ci sia proprio modo di pretendere da parte dei nostri apatici e conformisti giornalisti di regime l’applicazione del codice deontologico nel trattare una realtà così composita e articolata? Possibile che si debba sempre presumere l’impunità per chi sistematicamente diffama o aizza l’odio contro intere categorie di stranieri, magari solo perché non teme una reazione in sede legale? (i rom infatti non leggono i giornali, anche perché spesso non sanno leggere, ma questo non significa che non percepiscano la pericolosità del mezzo stampa usato contro di loro). Possibile che il nostro sistema informativo costituisca ormai un blocco così graniticamente impermeabile non solo alle nostre scomode verità sulla globalizzazione economica, ma anche e soprattutto alla voce dei diretti interessati, i rom, individui reali come siamo noi, nel bene e nel male, al di là di ogni stereotipo fissato nell’immaginario collettivo?
Un’ultima riflessione sul giro di vite repressivo che si intende dare in questo Paese alla questione nomade. Noi operatori sociali, che in mezzo a mille difficoltà logistiche e con risorse assolutamente esigue rispetto alle necessità (il rapporto tra operatori-utenti per i nostri sportelli legale e sanitario è, attualmente, a Scampia-Secondigliano, di 1 operatore per 750 utenti circa) abbiamo cercato in questi anni di costruire insieme alle istituzioni locali dei percorsi di integrazione della comunità rom a Napoli, percepivamo chiaramente già prima del decreto “espelli-rumeni” la preponderanza degli interventi repressivi rispetto a quelli, per così dire, preventivi, o di politiche sociali. Sgomberi di baraccopoli (inutili quanto costosi), rastrellamenti di minori (con l’annesso business delle case famiglia), espulsioni e internamenti nei Cpt si sono dimostrati, nel corso di questi dieci anni, del tutto improduttivi nei confronti di popolazioni stanzializzate in Italia da 20 anni circa e i cui figli sono cresciuti (senza diritti) in mezzo a noi e ai nostri figli.
È ormai evidente che, ad esempio, buttare giù una baraccopoli senza predisporre nessun tipo di riallocazione concordata, per la modica spesa di 40-70.000 euro (a tanto ammontano le nostre stime sui costi di queste scellerate operazioni), non serve a niente, salvo spostare il problema più in là sul nostro territorio. Tanto è vero che l’ex sindaco di Torino, pioniere degli sgomberi di rom rumeni in Italia, è giunto a parlare, a proposito della politica delle demolizioni, della folle pretesa di “spostare il mare con un setaccio”. Il pogrom di Ponticelli è solo l’ennesima dimostrazione di questa verità, con buona pace di qualche amministratore locale che si illude che i 600 rom rumeni di quella municipalità siano ritornati al Paese loro.
Ma allora perché si decide adesso di dare un ulteriore giro di vite a questo tipo di politica? L’unica risposta logica è ancora una volta di tipo elettoralistico: sgombrare i rom o rastrellare i minori per strada paga in termini di consenso; attivare le politiche sociali per creare una rete diffusa di protezione sociale e accoglienza no. È per questo che ieri il governo Prodi, in crisi di consenso politico e incapace di attivare le riforme sociali necessarie nel Paese, sceglieva la scorciatoia securitaria come un mezzo per tenersi a galla ancora un po’ di tempo. È per questo che oggi Berlusconi sceglie di sbandierare il tema della lotta alla clandestinità e ai “nomadi” per una questione di consenso politico (oltre che per distogliere l’attenzione della gente dalle sue magagne pubblico-private). È per questo che si scelse di sgomberare via Lufrano, Casoria, nel novembre del 2005, con il conseguente esodo di rom (circa 150-200), a mezzanotte, con donne incinte, neonati, vecchi e malati buttati sulla strada senza sapere dove andare. È ancora per questo che, a livello locale, ancora nel luglio scorso, si è scelto di sgomberare il campetto di Ercolano (circa 70 pacifici e bisognosi calaraseni, molti dei quali tra l’altro impiegati in nero e a giornata dall’imprenditoria agricola del posto), facendo sì che questi rom giungessero sul territorio napoletano, a S. Maria del Pozzo, con una nuova fatiscente baraccopoli, oggi anch’essa minacciata dopo Ponticelli. È ancora per questo che oggi si continuano a prelevare tanti minori dalla strada, sottraendoli alla legittima potestà genitoriale, in base all’assurdo teorema che un genitore rom povero è un genitore inaccudente, per poi decretarne l’adottabilità, compiendo un vero e proprio genocidio culturale ai danni di questa popolazione già in crisi identitaria e culturale.
È per questo, anche, che noi dell’Opera Nomadi pensiamo sia ora di rilanciare le pur tanto impopolari politiche di accoglienza, cominciando a realizzare quello di cui si è parlato già da troppo tempo: la creazione di nuovi villaggi per i rom slavi di Scampia, nuovi centri di accoglienza per i rom rumeni nella zona di Ponticelli (indispensabili oggi più che mai, per non darla vinta all’alter-Stato in queste zone) e Poggioreale, la scolarizzazione dei minori, interventi concordati di sostegno alla famiglia e alla genitorialità, la creazione di mercati rionali per sanare e riconoscere la pratica del commercio ambulante, il riconoscimento dell’assistenza sanitaria, previa iscrizione anagrafica, da cui paradossalmente, dopo l’entrata in Europa, questi cittadini neocomunitari sono rimasti esclusi.
Sono questi i problemi reali con cui ci confrontiamo ogni giorno, sono questi i terreni reali di discussione e confronto su cui tutti, istituzioni, associazionismo, società civile e comunità rom, dovremmo adoperarci concretamente, mettendo da parte atavici pregiudizi e stereotipi. Come quello che parla di invasioni di nomadi, che girano allegramente il mondo sulle quattro ruote, rubando i nostri figli (ma che se ne faranno, poi, loro che già ne hanno tanti?) e che proprio non vogliono sapere di integrarsi.
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