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SCHIAFFO A ROMA. I LEFEBVRIANI RESPINGONO ANCHE LE “CONVERSIONI” DI RATZINGER

Tratto da: Adista Notizie n° 53 del 12/07/2008

34519. ROMA-ADISTA. Il Vaticano bussa, ma i lefebvriani, ancora una volta, non aprono. Fallisce così l’ennesimo tentativo della gerarchia cattolica, attraverso la Pontificia Commissione Ecclesia Dei - appositamente istituita da Giovanni Paolo II nel 1988, subito dopo la scomunica dell’arcivescovo di Ecône Marcel Lefebvre, per curare i rapporti con i tradizionalisti - di ricucire lo strappo con i seguaci del vescovo scismatico.

Eppure stavolta la soluzione sembrava ad un passo. Il Motu Proprio Summorum Pontificum, che ripristina l’antico rito tridentino, era stato infatti recentemente salutato con entusiasmo da mons. Bernard Fellay, il superiore della Fraternità Sacerdotale S. Pio X che raccoglie i seguaci di mons. Lefebvre (v. Adista n. 37/08). Per questo, lo scorso 4 giugno, il card. Darío Castrillon Hoyos, presidente della Commissione Ecclesia Dei, aveva deciso di incontrare Fellay. Dopo il colloquio, Castrillón Hoyos aveva consegnato a Fellay un memorandum in lingua francese, una sorta di ultimatum in 5 punti, che conteneva le condizioni minime affinché la Fraternità di S. Pio X potesse essere riaccolta in seno alla Chiesa cattolica. Le richieste vaticane, rese note sul blog del vaticanista del Giornale Andrea Tornielli il 25 giugno scorso, prevedevano: 1) L’impegno a una risposta proporzionata alla generosità del papa; 2) L’impegno ad evitare ogni intervento pubblico che non rispetti la persona del pontefice e che possa essere negativo per la carità ecclesiale; 3) L’impegno a evitare la pretesa di un magistero superiore al Santo Padre e di non proporre la Fraternità in contrapposizione alla Chiesa; 4) L’impegno a dimostrare la volontà di agire onestamente nella piena carità ecclesiale e nel rispetto dell’autorità del Vicario di Cristo; 5) L’impegno a rispettare la data - fissata alla fine del mese di giugno - per rispondere positivamente.

Nelle indiscrezioni che avevano preceduto la pubblicazione di questi 5 punti, in molti avevano ipotizzato che tra le richieste di Roma ci sarebbe stata anche la piena accettazione del Concilio Vaticano II e della riforma liturgica del 1969. Niente di tutto questo. A leggere il memorandum, il Vaticano sembrava interessato unicamente ad evitare attacchi al papa ed alla gerarchia e disposto, in cambio di questo impegno, a sorvolare sul resto. Un’interpretazione smentita però dal direttore della Sala Stampa vaticana, p. Federico Lombardi, che il 26 giugno, rispondendo alle domande dei giornalisti francesi, ha dichiarato: “Il riconoscimento del Concilio Vaticano II come vero Concilio ecumenico della Chiesa e il riconoscimento della validità della messa celebrata secondo la liturgia rinnovata dopo il Concilio non sono assolutamente messi in questione. I cinque punti citati da Tornielli - come del resto appare dal loro stesso tenore - riguardano le condizioni minime perché si possa avere un rapporto caratterizzato da rispetto e disponibilità nei confronti del Santo Padre e da uno spirito ecclesiale costruttivo. Sono quindi di altra natura ed è per questo che non fanno riferimento al Concilio e alla liturgia, non perché questi argomenti non rimangano fondamentali. È evidente che il papa desidera tendere la mano perché sia possibile un rientro nella comunione, ma perché si possano fare i passi necessari occorre che questa offerta - questa ‘mano tesa’ - sia ricevuta con atteggiamento e spirito di carità e comunione. A questo invitano evidentemente i cinque punti citati”.

In ogni caso, già il giorno successivo all’intervento di padre Lombardi, la Fraternità di S. Pio X avrebbe risposto picche alle profferte vaticane, per bocca di mons. Alfonso De Galarreta, uno dei quattro vescovi della Fraternità San Pio X consacrati da mons. Lefebvre nel 1988, attualmente superiore del Distretto di Spagna e Portogallo della Fraternità San Pio X. Il 27 giugno, mons. De Galarreta nel corso di un’omelia tenuta nel “quartier generale” dei lefebvriani, il seminario svizzero di Ecône, aveva infatti affermato: “C'è evidentemente una volontà di metterci alla prova, di spaventarci, di farci pressione nel senso di un accordo puramente pratico, che è sempre stata la proposta di Sua Eminenza”, ha detto. “Evidentemente questa voce per noi è una voce morta, è la voce della morte. Non se ne parla di seguirla. Non possiamo impegnarci a tradire la tradizione della fede. Non se ne parla, è impossibile. Non possiamo, volendo preservare la tradizione e costruire questo edificio mistico che è la Chiesa, impegnarci in questa opera di demolizione. È impossibile”. “Servono delle tappe, per un confronto teologico, e più ancora dottrinale, e più ancora di magistero, e più ancora di fede. È la sola via che siamo pronti ad accettare, la sola che domandiamo”. L’effetto del rifiuto sarà probabilmente “una stagnazione dei nostri contatti con Roma”. Poi, il primo luglio, una nota della Fraternità, affidata all’agenzia francofona I.media, ufficializzava il rifiuto della proposta vaticana. Nella nota i lefebvriani affermano di non voler concludere accordi con Roma “in modo precipito” (la Fraternità ha lamentato la “pressione mediatica” nei loro confronti prodotta dalle rivelazioni di Tornielli) e chiedono “il ritiro, a priori, dei decreti di scomunica del 1988”, come condizione per avviare qualsiasi confronto. Resta però uno spiraglio: in una lettera scritta al papa il 26 giugno mons. Fellay auspica che il dialogo prosegua, attraverso un confronto “a livello dottrinale che prenda in considerazione tutte le questioni che, se eluse, farebbero correre il rischio di rendere instabile uno status canonico stabilito con troppa fretta”.


Che non tirasse aria di imminente pacificazione lo si era capito comunque già dal 20 giugno scorso quando, parlando al seminario di San Tommaso d'Aquino a Winona, in Minnesota, mons. Fellay aveva dichiarato: “Siamo ad un bivio. Roma ci ha detto: ‘Ok, noi siamo pronti a togliere la scomunica, ma voi non potete continuare a comportarvi in questo modo’”. Insomma, “Ci dicono: ‘chiudete il becco’, ma noi non lo faremo. Non abbiamo scelta. Continueremo quello che abbiamo fatto. Abbiamo combattuto per 40 anni per tenere viva questa fede, per mantenere questa tradizione, non solo per noi stessi, ma per la Chiesa. Continueremo così. Accada quel che accada”. Poi Fellay era tornato a criticare il Concilio Vaticano II e, in particolar modo, la riforma liturgica scaturita dal Concilio: “Hanno tolto dalla messa tutto quello che poteva urtare i protestanti”, ha affermato. “Hanno fatto una liturgia protestante”. (valerio gigante)

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