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UN'OCCASIONE PERDUTA?

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 87 del 06/12/2008

Intorno ad Eluana da più parti non sono stati usati gli argomenti e i toni giusti. Si è parlato troppo e con toni aggressivi. Ciascuno ha cercato di mettere in luce i torti degli altri... e ha dimostrato troppa sicurezza delle proprie ragioni. Il confine tra la vita e la morte e il “come vivere la propria morte” è un tema decisivo per ogni cultura e religione; e ancor prima per ogni uomo. Quindi occorre un rispetto della coscienza, un senso del limite, del mistero; una “con-passione”, una solidarietà che da più parti non è stata dimostrata. Dell’ambiguità e della crudeltà di tante parole pronunciate in questi giorni converrà chiedere perdono e ricordarsene per affrontare meglio altre circostanze analoghe in futuro.

Per i credenti era l’occasione per dimostrare che credono in quello che dicono: che la morte non è la fine di tutto, che la vita “non si cancella, si trasforma”. Tanti cristiani e uomini di chiesa hanno affrontato la morte serenamente, senza farsi il problema di tentare ogni cura, di cercare ogni assistenza. Come è stato giustamente scritto da un autorevole gruppo di credenti (“Englaro: una voce dissonante”, su Il Regno, 15 ottobre) la difesa e l’amore alla vita dovrebbe esser dimostrata ovunque, in ogni occasione (guerre, violenze, pena di morte, fame, assistenza...) più che tutelata da severe leggi (non sempre applicate o applicabili) sull’”inizio” e la fine” della esistenza terrena. 

Oggi vi è certamente la necessità di ribadire che la vita di un uomo non è “disponibile” secondo l’arbitrio di altri uomini, e neppure della persona coinvolta. Ciò significa che non si può decidere per egoismo, per interesse, per indifferenza, tantomeno per disprezzo e per odio. Viceversa si deve sempre decidere per amore. Ma poiché non è sempre facile capire se è davvero amore, ecco che la comunità ecclesiale e quella civile si fanno incontro a chi deve decidere in coscienza, e ciascuna con i propri mezzi offre un aiuto. La Chiesa offre (dovrebbe offrire) la Parola, il suo insegnamento, l’esempio dei santi e la possibilità di un confronto fraterno nella comunità. La società civile offre (dovrebbe offrire) informazioni accurate, strutture adatte a curare, sostenere la vita e la sua qualità per tutti i cittadini; e alcune leggi che impediscano a qualcuno di aggredire ingiustamente la vita degli altri (magari derubandoli delle loro risorse vitali). Qui il discorso si allarga al mondo, naturalmente. Se è ragionevole invocare il criterio di precauzione per non sottrarre l’idratazione a un malato in coma irreversibile, è anche più ragionevole dichiarare che non si possono sottrarre le risorse d’acqua e di alimentazione (e le medicine, e la sicurezza e la libertà...) a milioni di esseri umani nel mondo. Solo l’indifferenza, se non l’ostilità, per la vita degli altri uomini spiega l’atteggiamento di nazioni e continenti (sedicenti cristiani) verso milioni di moribondi in tutto il mondo.

La verità si conosce e si fa nell’amore e nel dialogo: una verità prepotente è già una verità ambigua. Questo punto centrale del messaggio cristiano assume un valore particolare nel campo civile e politico. Nello scontro delle fazioni e nell’odio tra i cittadini non si costruisce il bene comune. Anche a proposito del dibattito di questi giorni scorsi su vita e morte, accanimento e testamento biologico, valgono le parole che Aldo Moro scrisse per la Pasqua del 1977, l’ultima che visse libero: «Non è importante che pensiamo le stesse cose, che immaginiamo e speriamo lo stesso identico destino; ma è invece straordinariamente importante che, ferma la fede di ciascuno nel proprio originale contributo per la salvezza dell’uomo e del mondo, tutti abbiano il proprio libero respiro, tutti il proprio spazio intangibile, nel quale vivere la propria esperienza di rinnovamento e di verità, tutti collegati l’uno all’altro nella comune accettazione di essenziali ragioni di libertà, di rispetto e di dialogo. La pace civile corrisponde puntualmente a questa grande vicenda del libero progresso umano, nella quale rispetto e riconoscimento emergono spontanei, mentre si lavora, ciascuno a proprio modo, ad escludere cose mediocri per fare posto a cose grandi».

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