MA LA VITA È SOPRATTUTTO RELAZIONI
- ELUANA. UNA LETTERA
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 87 del 06/12/2008
Premetto che mi sento in imbarazzo perché gli inviti a tacere arrivano da persone autorevoli e stimate, perché la mia vita è contraddittoria e fragile molto più di quelle che si sono giocate in questa tragica e amara vicenda.
La storia di Eluana mi ha molto interrogata.
Mi hanno colpito le parole del papà di Eluana: “mia figlia è morta 17 anni fa, il giorno in cui un incidente stradale l’ha ridotta in coma”. Mi hanno colpito ancora di più le parole di commento di Massimo Franco, alla trasmissione Prima pagina di Radiotre: “sono le condizioni psicologiche con cui il padre ha vissuto questi 17 anni”. Mi hanno fatto pensare che può esserci uno scarto – accade molto spesso, anche in casi meno drammatici – tra la realtà e le possibilità psicologiche, umane, di farvi fronte.
Forse non lo avrei pensato se non avessi avuto modo di vedere da vicino un uomo nelle stesse condizioni di Eluana: colpito da ictus, l’emorragia cerebrale lo ha rapidamente portato in quel luogo sospeso che è il coma vegetativo. Quest’uomo non vive, ma è vivo. Non vive secondo quello che noi comunemente riteniamo essere vita: mangiare, bere, dormire, pensare, amare, parlare, muoversi… Ma è vivo: respira, il suo cuore batte, si nutre. Se i suoi familiari decidessero di interrompere l’alimentazione la sua vita cesserebbe.
La vita, mi viene da pensare, è qualcosa di molto ampio, la vita umana è quella di ogni uomo. L’aggettivo umano è associato alla persona, qualunque sia la forma in cui la vita si esprime in lui.
Ma il vero punto che mi ha colpita riguarda il diritto all’autodeterminazione. Non credo che qualcuno debba autoritariamente decidere per altri, né che una morale debba pretendere di immolare la nostra già fragile e difficile esistenza nel portare pesi insopportabili. Ma sono convinta che la nostra vita sia relazione, dipendenza, sia legata a quella degli altri. Sempre, in ogni momento, per l’uomo più potente come per il bambino più inerme. Con la mia vita rispondo della vita degli altri, della mia vita rispondono gli altri che ho accanto, e poi via via le strutture a cui appartengo, le istituzioni, il mondo intero. La vita è relazione, non è principio e fine.
La vicenda di Eluana mi dice, e lo pronuncio con tutto il garbo e il pudore di cui sono capace, che intorno a lei la vita non è riuscita a proteggere quella sua condizione sospesa, logorante per le persone che la amano, totalmente abbandonata. Capita ogni giorno in mille situazioni, anche molto banali, di percepire la sconfitta della vita di fronte alle difficoltà del vivere. La storia di Eluana è come un grandangolo fissato su un punto immobile, eterno e mortale allo stesso tempo.
Anche alcune correnti del pensiero filosofico hanno accolto e spiegato con rigore scientifico che l’essenza dell’uomo non è l’essere ma la relazione. Da Levinas in poi una parte della filosofia, scienza laica e libera, ha pensato l’essere umano come soggetto di relazione. Mi domando se sia improprio riferirsi ad essa di fronte a questo caso come nella molteplicità delle situazioni in cui si rifrange la nostra vita. Mi domando perché il dibattito non soltanto politico, non soltanto scientifico, ma anche culturale continui a pensare la persona come un essere individuale, separato e autonomo dagli altri, singoli e istituzioni, con cui vive.
Vorrei capire se questo pensare ha un senso.
Silvia Pettiti
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