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In piazza contro guerre e violenze

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 12 del 31/01/2009

Ma dove sono i pacifisti? Un po’ risentita e un po’ carica di delusione, la domanda è arrivata  da più parti di fronte all’atroce scenario della Striscia di Gaza, per 31 giorni sotto la colata del piombo israeliano. Dalla Striscia hanno continuato il lancio dei missili Qassan, ma senza apprezzabili risultati militari. L’esercito di Tel Aviv ha spianato tutto con le bombe, ma non è mai entrato in città, forse temendo un nuovo Libano (nel 2006 sconfisse, ma non annientò gli Hezbollah).

Gli avversari della guerra sono scesi in piazza ad Assisi e a  Roma, il 17 gennaio. Il giorno dopo, di domenica, veniva annunciata la tregua. Realtà dei fatti e forza mediatica faranno ricordare il conflitto come la “guerra dei bambini”.

Proprio la mattina del sabato palestinese si è affacciata qualche incerta voce su un possibile ‘cessate il fuoco’. Era quello il primo obiettivo delle manifestazioni, ma sotto striscioni e bandiere si respirava scetticismo sulla possibilità che tacessero le armi. Decine di migliaia le  persone in corteo, pacifisti ma non solo, come nella capitale dove sono sfilate centomila persone. Hanno risposto all’appello del Forum Palestina, Cobas, arcipelago della sinistra radicale, centri sociali, studenti universitari, delegazioni Fiom, associazioni, musulmani giunti da ogni angolo d’Italia con le loro bandiere, le più numerose del corteo.  E davanti al Colosseo, tutti giù in ginocchio a pregare.

Più di un osservatore ha sottolineato che non vi sono stati scontri (ma perchè dovevano esserci?) e che non sono state bruciate bandiere “nemiche”. Però la svastica ha imbrattato la stella di David e Il Manifesto non ha avuto torto a definire “di macabro gusto quei fagottini insanguinati, portati ancora una volta da ragazzini che fanno il verso ai cortei funebri che le tv arabe trasmettono a ripetizione”.

Pure ad Assisi lo slogan più gridato è stato: “Giù le mani dai bambini”. Un sabato palestinese più riflessivo. Non per i tanti oratori e per i collegamenti telefonici con Gaza e Sderot, ma per ciò che si è detto.

Prima del corteo approdato davanti alla basilica di S. Francesco, tutti alla Cittadella. Gremito il teatro, affollate le grandi sale con i maxischermi. C’era indignazione contro Israele che ripaga con tassi usurai i palestinesi. Mons. Luigi Bettazzi, antica guida di Pax Christi, ha un tono  più accorato che d’accusa quando “agli amici israliani” chiede di “non superare nella storia i nazisti che per rappresaglia uccidevano dieci civili per ogni loro soldato morto. A Gaza – aggiunge – state portando la proporzione a uno contro cento”.

È la vasta rete degli enti locali e la galassia delle associazioni, (grandi e piccole, dagli scout al “Pettirosso” di Tolentino, dall’Arci ai Centri Rousseau, insieme a sindacati, partiti di centrosinistra e forze della sinistra critica) che ha risposto alla chiamata della Tavola della pace contro una guerra “sbagliata e pericolosa” per l’Europa. L’Unione è stata bocciata ancora in politica estera.

Parla Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della pace. “La guerra – dice – non è più in grado, come in Iraq, in Afghanistan e in altre parti del mondo, di raggiungere gli obiettivi che proclama”. L’eliminazione dei leader di Hamas non risolverebbe i problemi di Israele. Senza Hamas, ci sarebbe una formazione ancora più radicale, magari meno organizzata politicamente e socialmente e con la quale sarebbe “ancora più difficile, o magari impossibile, tentare il negoziato”. Eppoi lo si è toccato con mano che “dopo ogni battaglia si costruiscono muri più alti, si scavano tunnel e fossati  sempre più profondi, si procurano armi sempre più potenti e si commettono stragi peggiori”.

Del resto deve passare l’idea di fondo che la forza militare  non porta ad alcun risultato, ma prepara altre guerre. È stato un uomo colto e impegnato a ricordarlo, l’attore Moni Ovadia. Egli ora teme il ritorno alla politica dei piccoli passi, “che non ha pagato”. Moni Ovadia affida invece le speranze di pace ad una trattativa globale, con una “visione alla Nelson Mandela” e che tenga dentro anche Hamas e non solo l’Autorità nazionale palestinese.

Hamas e Anp: spesso più nemici che avversari politici. Troppe e profonde le fratture: la loro è la seconda pace che dovrà essere messa in agenda dall’auspicato negoziato. Hamas preoccupa. D’Alema alla Cittadella è stato chiaro:“Preoccupa il suo fondamentalismo, perchè va in senso contrario alla pace”, Numerosi governi arabi sono spaventati dalla sua alleanza con l’Iran, nel segno del fondamentalismo. Ad Israele si rimprovera di aver lavorato per la divisione e per la delegittimazione dell’ala moderata, l’Anp di Abu Mazen, e di aver così così piazzato una mina preventiva su ogni possibile processo di pace.

Ad Assisi c’era anche una berretta rossa, quella del vescovo. La diocesi di mons. Domenico Sorrentino è una vigilata speciale da parte della Cei dai tempi di Ruini. Troppo sbilanciata, per colpa dei frati, proprio su pace e dialogo. I frati non sono stati mai spericolati, ma un po’ di briglie gliele hanno messe lo stesso. Il vescovo ha seguito tutta la manifestazione in teatro, però ha salutato il corteo dalla più impegnativa loggia della basilica francescana, con il custode padre Coli accanto. Il suo appello: “Fermare orrore e terrore e portare tutti al tavolo per una pace duratura”. È stata soltanto una sacra eccezione? Si vedrà. Ma in un suo comunicato del 9 gennaio d’invito alla preghiera per la Palestina nella basilica di San Francesco, ha rilanciato il valore simbolico di Assisi come “luogo del dialogo per la pace”.

Il bilancio? Le manifestazioni hanno avuto successo: ha partecipato molta gente, molte le organizzazioni che le hanno sostenute. Manifestazioni separate però, tanto che dinnanzi alla platea di Assisi, Fausto Bertinotti si è augurato il ritorno ad un movimento unitario nel segno della pace. Separate, senza polemica pubblica, ma tuttavia diverse. In eredità lasciano un impegno rinvigorito, qualche interrogativo importante (vedi box), un bisogno ancora più forte che “il ragionamento rigoroso unisca alle emozioni l’analisi politica”. Sono parole di Massimo Toschi, assessore alla cooperazione internazionale e alla riconciliazione fra i popoli della Regione Toscana. Impegnato negli aiuti ai Palestinesi, non è stato il solo a chiedere razionalità. Insomma, il senso politico non può lasciare il passo alle spinte emotive, specie di fronte a tragedie come quella di Gaza.

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