CHIESE EUROPEE IN SUBBUGLIO: IL RITORNO DEI LEFEBVRIANI ALLARMA
Tratto da: Adista Notizie n° 16 del 14/02/2009
34827. ROMA-ADISTA. Il Papa “ha voluto togliere un impedimento che pregiudicava l’apertura di una porta al dialogo. Egli ora si attende che uguale disponibilità venga espressa dai quattro vescovi in totale adesione alla dottrina e alla disciplina della Chiesa”. E per quanto riguarda il vescovo Richard Williamson, che ha negato la Shoah, le sue affermazioni “sono assolutamente inaccettabili e fermamente rifiutate dal Santo Padre”, ed egli, “per una ammissione a funzioni episcopali nella Chiesa, dovrà anche prendere in modo assolutamente inequivocabile e pubblico le distanze dalle sue posizioni riguardanti la Shoah, non conosciute dal Santo Padre nel momento della remissione della scomunica”. La Nota della Segreteria di Stato vaticana del 4 febbraio scorso ha forse gettato un po’ di acqua sul fuoco delle polemiche, ma certo non ha tranquillizzato gli animi di chi è preoccupato per la tendenza dimostrata dall’atto della revoca della scomunica, anche se la dichiarazione si affretta a precisare che “lo scioglimento dalla scomunica ha liberato i quattro vescovi da una pena canonica gravissima, ma non ha cambiato la situazione giuridica della Fraternità San Pio X che, al momento attuale, non gode di alcun riconoscimento canonico nella Chiesa cattolica. Anche i quattro vescovi, benché sciolti dalla scomunica, non hanno una funzione canonica nella Chiesa e non esercitano lecitamente un ministero in essa”. E per un “futuro riconoscimento della Fraternità San Pio X - si legge nella Nota - è condizione indispensabile il pieno riconoscimento del Concilio Vaticano II e del Magistero dei Papi Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e dello stesso Benedetto XVI”.
Le critiche da Germania e Austria
Mentre i lefebvriani sfidano il Vaticano e annunciano nuove prossime ordinazioni sacerdotali e la già avvenuta consacrazione di diaconi (secondo quanto afferma il quotidiano tedesco Kolner-Stadt Anzeiger del 5 febbraio), le Chiese locali continuano a mobilitarsi e a esprimere reazioni più o meno forti nei confronti del provvedimento vaticano e della vicenda Williamson. A prendere maggiormente le distanze dal papa sono i vescovi del mondo tedesco, dalla Germania alla Svizzera all’Austria. Il card. Walter Kasper, presidente della Pontificia commissione per i rapporti con l’ebraismo, ha detto che sulla revoca della scomunica “ci sono stati errori di gestione della curia”. “Lo devo dire apertamente”, ha aggiunto davanti ai microfoni della Radio Vaticana il 2 febbraio: “In Vaticano su questo tema si è parlato troppo poco l’uno con l’altro e non si è verificato dove potevano nascere problemi. Spiegarlo a posteriori è naturalmente molto, molto più difficile che se lo si fosse fatto subito”.
Molto duro è stato, specialmente nei confronti del card. Dario Castrillón Hoyos, presidente della Commissione Ecclesia Dei, il vescovo di Magonza (ex presidente della Conferenza episcopale tedesca), mons. Karl Lehmann. In un’intervista alla radio pubblica Sudwestrundfunk, il prelato, leader della corrente progressista dei vescovi tedeschi, aveva detto che ormai erano necessarie scuse “ad alto livello”. Non solo: egli ha chiesto - se non formalmente, sostanzialmente - le dimissioni di Castrillón Hoyos, spiegando che, a prescindere dal fatto che abbia agito per ignoranza o per negligenza nella questione Williamson, il Vaticano deve “trarre le conseguenze nei confronti di chi è responsabile”. In un’intervista al Welt am Sonntag, Lehmann ha sottolineato poi il fatto che il movimento lefebvriano non implica solo questioni di tipo liturgico, ma anche di ordine dogmatico, e rappresenta posizioni politiche sospette; gli aderenti si pongono infatti “nella linea di Action française, il movimento nazionalista radicale attivo in Francia a partire dal 1900” con un programma clericale, monarchico ed antisemita, la cui condanna era stata già preparata da Pio X stesso e che era stato dichiarato inconciliabile con la religione cattolica da Pio XI nel 1926. Su una futura reintegrazione del movimento, Lehmann è piuttosto scettico: l’attuale papa, quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, patteggiò con Marcel Lefebvre una dichiarazione che allora non fu sottoscritta da quest’ultimo. E dire che per Lehmann, che ebbe in mano la formulazione, “essa era per molti versi troppo debole”, dal momento che “si trattava, per quanto riguarda il Vaticano II, più di questioni pastorali che dogmatiche”. E pare non avere torto sull’indisponibilità dei lefebvriani rispetto al Concilio Vaticano II, come dimostrano le recentissime dichiarazioni del prete trentino leader dei lefebvriani del Nordest Italia don Floriano Abrahamowicz, che ha definito il Concilio “una cloaca maxima”, “peggio di un'eresia”. Per l’arcivescovo di Amburgo mons. Werner Thissen, “riabilitare qualcuno che nega l’Olocausto è sempre una cattiva decisione”, ha detto all’Hamburger Abendblatt il 2 febbraio: “Sarebbe stato opportuno fare più ricerche”. Già il vescovo ausiliare della diocesi, mons. Hans-Jochen Jaschke, aveva definito “sciatteria” l’atteggiamento con cui si era proceduto alla revoca per Williamson. Anche mons. Gebhard Fürst, vescovo di Rottenburg-Stoccarda, aveva preso le distanze dal papa: “Mi opprime, come vescovo e come pastore, che questi fatti abbiano portato ad una alienazione esteriore ed interiore di numerosi credenti della Chiesa, ad una perdita di fiducia specialmente da parte delle sorelle e dei fratelli ebrei nei confronti della Chiesa così come ad una consistente distruzione del dialogo ebraico-cristiano”.
Molto severi anche i teologi di lingua tedesca che nel passato si sono confrontati duramente con Ratzinger: per Hans Küng, suo vecchio compagno di studi (secondo il quale Benedetto XVI “è talmente isolato dal mondo reale che non può farsi un’idea del modo devastante in cui il suo passo è stato recepito”) “dopo i protestanti e i musulmani, ora ha picchiato in testa gli ebrei” ed è quindi “ora che venga sostituito”. Feroce il professore emerito di teologia Hermann Häring: “Se questo papa volesse fare qualcosa di buono alla Chiesa – ha detto – dovrebbe dare le dimissioni”.
Critico verso la mano tesa al vescovo Williamson, ma più in generale verso il modus operandi del Vaticano è anche il card. Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna. “Qui ovviamente è stato commesso un errore”, ha detto all’emittente televisiva Orf: “Chi nega la Shoah non può essere reintegrato nel suo ministero. Qui bisogna esercitare una certa critica nei confronti di quanto attuato dallo staff vaticano, che evidentemente non ha esaminato la questione con attenzione o non ha esaminato a sufficienza il caso nell’informazione che si aveva a disposizione”.
… E un teologo abbandona la Chiesa
Anche i Paesi Bassi sono in subbuglio; parlando al programma televisivo Kruispunt, il presidente della Conferenza episcopale olandese, il vescovo di Rotterdam mons. Ad van Luyn, ha definito “disastrosa” la decisione del papa di revocare la scomunica a Williamson, mentre, in conseguenza della decisione del papa, il teologo olandese, docente di Etica all’Università di Nimega Jean-Pierre Wils, ha annunciato la sua decisione di lasciare la Chiesa cattolica, non intendendo “essere identificato con lo spirito antimoderno, antipluralista e totalitario di questa Chiesa”.
L’irritazione degli svizzeri
Puntuale e ferma la presa di posizione del presidente dei vescovi svizzeri nonché vescovo di Basilea, mons. Kurt Koch. In un comunicato del 27 gennaio, ha affermato che la revoca della scomunica ai quattro vescovi “non è la riconciliazione o la riabilitazione, ma l’apertura di una strada verso la riconciliazione. Questo atto non è un traguardo - ha aggiunto - ma il punto di partenza per un dialogo necessario sulle questioni controverse. Viste le profonde divergenze, questo cammino potrà essere lungo”. Mons. Koch è tornato a puntualizzare i vari aspetti della questione in una lunga ed articolata "lettera personale ai fedeli" che ha diffuso il 6 febbraio. Questa volta, però, ha puntato il dito contro la mancanza di informazioni che ha reso possibile il passo falso del papa: "È molto difficile che in Vaticano nessuno fosse a conoscenza delle inaccettabili affermazioni della Fraternità S. Pio X. A ciò si aggiunge l'aggravante di una politica dell'informazione molto restrittiva", in conseguenza della quale "i tre presidenti delle Conferenze episcopali immediatamente toccate dalla revoca della scomunica" (Francia, Germania e Svizzera, ndr), tra i quali lo stesso Koch, non sono stati "informati in anticipo" dalla Santa Sede.
La Fraternità sacerdotale fondata da Lefebvre resta scismatica, ha puntualizzato mons. Markus Büchel, vescovo di San Gallo, in Svizzera, il 5 febbraio, in una lettera aperta firmata da lui e dalla dirigenza diocesana. Roma ha revocato la scomunica, afferma il vescovo - che tra l’altro lamenta di non essere stato informato ufficialmente del passo intrapreso dal Vaticano, e di esser venuto a conoscenza della notizia, poi confermata solo due giorni dopo dalla Santa Sede, “tramite l’indiscrezione di un giornale italiano” - ma questo è solo un primo passo indispensabile per proseguire il dibattito circa una riconciliazione con la Chiesa cattolica. Riconciliazione che, ad oggi, “non è possibile”, sottolineano i firmatari, che si attendono da vescovi e preti della Fraternità “una affermazione plausibile dell’accettazione del Vaticano II e soprattutto dell’atteggiamento positivo nei confronti dell’ebraismo contenuto nella dichiarazione Nostra Aetate”. Mons. Büchel afferma poi che, per il momento, “le relazioni con la Fraternità restano invariate” soprattutto per ciò che riguarda i luoghi di culto che, “come finora, non saranno messi a loro disposizione”. Ciò che ha fatto il papa, conclude, “è semplicemente aprire una porta in direzione della riconciliazione. E i prossimi passi dovranno farli i vescovi e i preti della Fraternità”. Il superiore regionale dei cappuccini della Svizzera tedesca, p. Willy Andereau, deplora che la riconciliazione di Roma con la Fraternità di San Pio X non si accompagni ad una riconciliazione con i teologi della Liberazione; parlando poi di Hans Küng, a cui il Vaticano ha tolto il diritto di insegnare, egli constata che la riconciliazione avviene più spesso con i movimenti della destra ecclesiale che con coloro che si impegnano per la giustizia sociale. “Ciò mi far stare male – ha detto alla radio tedesca Drs il 2 febbraio – ma non sono il solo ad essere rattristato”.
I francesi difendono il papa
L’atteggiamento dei vescovi francesi è stato quello di una difesa dell’operato del papa contro una presunta mistificazione mediatica che avrebbe creato molta confusione. È, allora, tutto un distinguere e separare tra revoca della scomunica e reintegrazione, tra revoca della scomunica e affermazioni di Williamson: “Se si confondono i piani si diviene vittime di semplificazioni utili solo a coloro che vogliono fare delle provocazioni”. “E ci si rende complici involontariamente, di questi ultimi”, afferma in una lunga lettera aperta “a coloro che vogliono riflettere bene” mons. Hippolyte Simon, vicepresidente della Conferenza episcopale francese. Che termina, dopo aver analiticamente ripercorso tutta la vicenda lefebvriana, con un prevedibile riferimento alla parabola del figliol prodigo, che chiede di prolungare: “Se il figlio primogenito, che prima aveva rifiutato di entrare alla festa, dice che vuole rientrare, lo rifiuterete? Abbiate abbastanza fiducia in voi e nello spirito che regge la Chiesa, e che ha guidato anche il Concilio Vaticano II, per pensare che la sola presenza di questo figlio primogenito non possa bastare a soffocare la festa. Date a quest’ultimo venuto un po’ di tempo per abituarsi”. Più sintetico, ma sulla stessa linea, il card. Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux: la revoca della scomunica “apre un cammino da percorrere insieme. Questo cammino sarà senza dubbio lungo e richiederà migliore conoscenza reciproca e stima”. E nello stesso modo si esprime anche il Consiglio permanente dei vescovi francesi in una dichiarazione del 28 gennaio. (ludovica eugenio)
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