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IN AMAZZONIA, CONTRO IL MOSTRO CAPITALISTA. IL FORUM SOCIALE MONDIALE RISCOPRE LA SUA VOCAZIONE POLITICA

Tratto da: Adista Documenti n° 20 del 21/02/2009

DOC-2099. BELEM-ADISTA. (dall’inviata) Che il Forum Sociale Mondiale debba essere ripensato sono in tanti, e non da oggi, a sostenerlo, ma difficilmente si può negare che il movimento altermondialista riunitosi a Belém, nell’Amazzonia brasiliana, dal 27 gennaio al primo febbraio, sia apparso in buona salute e in grande fermento.

Di certo, la nona edizione del Forum ha rivelato, soprattutto rispetto alle altre edizioni svoltesi in Brasile (nel 2001, nel 2002, nel 2003 e nel 2005, sempre a Porto Alegre, nel Rio Grande do Sul), pesanti limiti organizzativi, sicuramente non favoriti  dall’enorme massa di partecipanti: addirittura 150mila, in gran parte giovani e giovanissimi, provenienti da 5.808 associazioni di tutti i continenti (meno presente stavolta l’Europa). L’impossibilità di concentrare i lavori in un’unica sede - ben 2.310 le attività autogestite in quest’ultima edizione – ha obbligato gli iscritti a fare la spola, in autobus o in taxi, tra due università, la Ufpa (Università Federale del Pará) e la Ufra (Università Federale Rurale dell’Amazzonia), e a camminare a lungo, all’interno di ciascuna di esse, per raggiungere la sala dell’incontro selezionato nel voluminoso programma. Per poi trovarsi spesso e volentieri di fronte a sgradite sorprese: una sala gremita fino all’inverosimile e dunque inaccessibile (molti degli incontri più interessanti si sono svolti in aule del tutto inadeguate) o l’incontro cancellato (non senza aver atteso inutilmente per oltre mezz’ora, non essendosi rivelata abituale la pratica di mettere un avviso).

Né può essere taciuto che molti militanti, se dicono di sognare un altro mondo possibile, è in quello attuale che sembrano saldamente radicati, come stavano eloquentemente ad indicare bicchieri e bottiglie di plastica gettati in terra (pressoché inesistente la raccolta differenziata) e l’abbondante consumo di Coca Cola.  

 

A scuola dagli indigeni

Al di là però dei disagi, aggravati dal calore estremo e dalle violente piogge equatoriali, il Forum ha presentato grandi elementi di interesse, a cominciare dalla scelta stessa della sede: Belém, città delle mangueiras (l’albero che produce il mango) e città “morena”, per la mescolanza del popolo portoghese con gli indios tupinambás (nativi della regione all’epoca della fondazione della città), la maggiore metropoli al mondo situata sulla linea dell’equatore e, soprattutto, porta di ingresso dell’Amazzonia, l’indiscussa protagonista dell’evento, con la sua grandiosa bellezza e la sua miracolosa biodiversità, simbolo possibile di perdizione e di salvezza. E, con l’Amazzonia, i popoli indigeni che la abitano e la difendono, mai così tanti e così attivi in tutta la storia dei Forum Sociali. Quei popoli indigeni che, a livello continentale, possono oggi vantare un presidente, Evo Morales, e due Stati plurinazionali, la Bolivia e l’Ecuador, ma le cui terre, in Brasile, sono ancora pesantemente minacciate dall’invasione della soia, delle imprese minerarie, dell’agrobusiness e dei megaprogetti legati al famigerato Pac, il Piano di accelerazione della crescita promosso dal governo Lula.

Erano circa tremila gli indios presenti a Belém, giunti nella capitale del Pará per fiume e per terra, in 5 carovane, dalle nove frontiere della Pan-Amazzonia (la regione che abbraccia Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana, Guyana Francese, Perù, Suriname e Venezuela): alle loro lotte e alle loro conquiste è stato dedicato il secondo giorno del Forum, la Giornata Pan-Amazzonica, articolata in assi tematiche relative ai cambiamenti climatici e alla giustizia ambientale, ai diritti umani, al lavoro, alle migrazioni, alla criminalizzazione dei movimenti sociali, alla terra e al territorio, all’identità e alla sovranità alimentare. E dai popoli indigeni è giunta una delle proposte più interessanti contenute nella Dichiarazione dell’As-semblea dei movimenti sociali: quella di una giornata mondiale in difesa della Pacha Mama, il 12 ottobre, perché, come ha sottolineato Tomás Huanacu, rappresentante del Consiglio Nazionale di Ayllus y Markas del Qullasuyu (Conamaq), l’umanità abbandoni la visione occidentale dello sviluppo e della crescita, tornando ai saggi insegnamenti degli antichi abitanti di Abya Yala, oggi riassunti nel concetto del “Bien vivir”, il ben vivere.

 

Tra ecosocialismo e “bien vivir”

In tempi di crisi economica, o, meglio, di crisi globale di un modello di civiltà - leitmotiv di tutto il Forum Sociale Mondiale - il movimento altermondialista ha mostrato di avere un orizzonte politico più chiaro, lasciandosi gradualmente alle spalle le note ambiguità legate alla coesistenza tra il semplice rifiuto della globalizzazione neoliberista (con l’implicita accettazione dell’idea di un capitalismo dal volto umano) e la netta opposizione al capitalismo in quanto tale, in direzione di un socialismo nuovo, ancora tutto da costruire, finalmente riconciliato con i valori della libertà e della democrazia (e anche quest'ultima nuova, partecipativa, diversa da quella puramente formale delle società occidentali). Grazie anche al maggiore protagonismo assunto in questa nona edizione del Fsm dai movimenti sociali (la cui assemblea ha sempre rappresentato la parte più vitale e avanzata del movimento altermondialista), a Belém il mostro era uno solo e dai tratti ben riconoscibili, quelli per l’appunto del capitalismo, e se non proprio tutti si sono incontrati sulla parola socialismo, oggi più frequentemente accompagnato dal prefisso “eco” - un concetto estraneo alla cultura indigena, che lo riconduce a una matrice occidentale - ci si è mostrati tuttavia pienamente disponibili ad affiancarlo ad altre concezioni, a cominciare da quella del bien vivir.

E rispetto alla visione di una “società civile” rigidamente separata dai partiti e dai governi, e quasi opposta ad essi - visione finora preponderante all’interno del Consiglio Internazionale del Fsm - un passo avanti è stato mosso anche in direzione di una ripoliticizzazione del Forum, lasciando però chiaramente inalterata l’autonomia dei movimenti popolari e continuando a porre con forza l’accento sulla necessità di rafforzare in primo luogo la lotta del popolo organizzato. Una pagina nuova nella storia del Forum Sociale Mondiale sembra infatti segnarla l’incontro del 29 gennaio – accolto nella programmazione ufficiale (a differenza di attività analoghe di precedenti edizioni, tenute fuori o ai margini rispetto al programma del Forum) – tra i movimenti sociali e quattro presidenti latinoamericani invitati da Via Campesina, la potente coalizione di organizzazioni contadine di tutto il mondo: Hugo Chávez, Evo Morales, Rafael Correa e Fernando Lugo (il presidente Lula, escluso dall’incontro, si è unito ai quattro nell’evento aperto al pubblico che si svolto subito dopo; v. notizie successive).

Quanto alla reale capacità di incidenza, oggi assai limitata, del Forum Sociale Mondiale - annosa questione legata al dibattito sulla natura del Forum, che gli uni vogliono mantenere come spazio aperto di diffusione di idee e di scambio di esperienze e gli altri vorrebbero trasformare in una forza unitaria in grado di assumere decisioni concrete - la discussione resta aperta. Ma un nuovo concetto si è affacciato a Belém: quello di convergenza - anziché di unificazione - dei movimenti, nel rispetto delle diversità, al fine di superare la frammentazione delle lotte e proporre alternative realizzabili. 

Di seguito la Dichiarazione dell’Assemblea dei movimenti sociali che chiude tradizionalmente il Forum Sociale e la Dichiarazione dei popoli indigeni. (claudia fanti)

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