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ELOGIO DELL’IMPAZIENZA. I MOVIMENTI TENDONO LA MANO AI GOVERNI DI SINISTRA. SENZA SCONTI

Tratto da: Adista Documenti n° 20 del 21/02/2009

DOC-2101. BELEM-ADISTA. (dall’inviata) Appena dieci anni fa sarebbe quasi sembrata una pagina di fantapolitica: quattro presidenti dell’America Latina che, dopo aver cantato Hasta sempre Comandante e El pueblo unido jamas serà vencido, conversano con i movimenti sociali attribuendo loro il merito della propria vittoria e definendo se stessi come il frutto delle lotte sociali continentali. Così, il “Dialogo sull’integrazione popolare della nostra America”, come è stato chiamato l’incontro promosso il pomeriggio del 29 gennaio dai movimenti sociali (a cominciare da Via Campesina) con i presidenti Hugo Chávez, Evo Morales, Fernando Lugo e Rafael Correa - oltremodo significativo il mancato invito a Lula - è stato sicuramente il momento più alto del Forum Sociale Mondiale (più ancora dell’incontro pubblico che - per iniziativa della Centrale Unica dei Lavoratori, dell’Ibase e dell’Istituto Paulo Freire - i quattro presidenti, più Lula, hanno tenuto, la sera stessa, al Centro di Convenzioni Hangar, di fronte a una platea di oltre 12mila persone). Dall’incontro dei movimenti con lo strano quartetto - un indio, un soldato, un vescovo e un economista laureato a Chicago ma simpatizzante della Teologia della Liberazione - è emerso infatti con chiarezza non solo quanto profondamente sia cambiato, in pochi anni, lo scenario latinoamericano, ma anche quanto il lungo e faticoso dibattito sul rapporto tra movimenti sociali e governi abbia “ufficialmente” segnato un punto di svolta.

Di certo, sia pure contraddittoriamente, l’America Latina si presenta oggi come l’unica regione al mondo capace di passare dalla mera resistenza alla costruzione – embrionale quanto si voglia - di alternative concrete. Ma se l’utopia (ou-topia) di un mondo migliore un luogo comincia finalmente ad averlo, si tratta, come ha sottolineato Hugo Chávez, di “un neonato che ha bisogno di protezione e di appoggio”. Una protezione e un appoggio che possono venire solo, come hanno evidenziato in vario modo tutti e quattro i presidenti, dal consolidamento del processo di integrazione tra Paesi, popoli e movimenti sociali. Ed è un processo che non può più attendere: rivolgendosi a chi invoca pazienza, infatti, il presidente Lugo ha ricordato che in America Latina, dopo tanto dolore e tante ingiustizie, bisogna al contrario avere impazienza, l’impazienza “di edificare infine l’America Latina che vogliamo”.

 

Le richieste dei movimenti sociali

Del cammino già percorso è stato Camille Chalmers, membro del Coordinamento internazionale di Jubileo Sur, a ricordare alcuni fondamentali passaggi: il parziale recupero della sovranità sulle risorse economiche strategiche; l’inizio di un  processo di ri-nazionalizzazione; l’emergere, per quanto ancora più sulla carta che nella realtà, di un modello di sviluppo alternativo; l’ampliamento degli spazi di partecipazione delle classi sfruttate. E, ancora, la creazione di nuovi Stati Plurinazionali; la novità, in termini di modello di integrazione, rappresentata dall’Alba (Alternativa Bolivariana delle Americhe), terreno ideale di incontro tra governi di sinistra e movimenti sociali; la sospensione del pagamento di parte del debito estero da parte del governo ecuadoriano; il dibattito sulla costruzione di un nuovo socialismo in grado di riscattare elementi del socialismo tradizionale ma senza ripeterne gli errori. Ed è proprio a questo Socialismo del XXI secolo che si è richiamato più di un discorso. Un socialismo, come ha spiegato Correa, che non offre ricette uniche o certezze dogmatiche, ma è capace di apprendere dal passato e di camminare al ritmo della storia. Un socialismo che rifiuta la guerra, che segna la supremazia del lavoro umano sul capitale, del valore d’uso sul valore di scambio, che riscatta il debito ecologico, che fa propria una nuova concezione dello sviluppo, abbracciando la visione del Bien Vivir trasmessa dai popoli originari.

Dialogando con i presidenti, i movimenti non hanno però certamente fatto sconti. “Da voi ci aspettiamo di più”, ha non a caso sottolineato, al termine dell’incontro, il leader del Movimento dei Senza Terra João Pedro Stedile. Perché va bene parlare di processi di trasformazione, ma quello di cui c’è bisogno sono “cambiamenti strutturali, non medicine per il capitale”. E, ricordando il vertice tenuto a dicembre dai presidenti latinoamericani a Costa do Sauípe, in Bahia, Stedile è andato giù duro: “Avete mangiato bene, siete andati in spiaggia e noi siamo rimasti con le nostre speranze di cambiamento”. Quello che si richiede, ha affermato, è un programma minimo anticapitalista: “Vi sfido a invitare in un prossimo vertice i movimenti sociali dei vostri Paesi per discutere con loro le vere soluzioni alla crisi”. E, dopo aver ricordato che la soluzione dei problemi della regione non dipende dalle elezioni ma dalla forza che il popolo è in grado di accumulare, il leader del Mst ha già posto sul tavolo da gioco le carte dei movimenti: il recupero della sovranità dei popoli sulle risorse naturali; la realizzazione di una vera riforma agraria al servizio della sovranità alimentare; la nazionalizzazione delle banche come forma di controllo del capitale finanziario da parte dello Stato; la democratizzazione dei mezzi di comunicazione, la creazione di una moneta regionale in grado di ridurre l’importanza del dollaro nella regione. Via Campesina le ha persino trovato il nome: Maíz, il mais come simbolo della sovranità alimentare dei popoli originari.

 

Stato e potere popolare

Sul senso e sui limiti dell’azione dei governi progressisti dell’America Latina e sulla posizione che nei loro confronti i movimenti sono chiamati ad assumere, si è discusso, naturalmente, anche in altri momenti del Forum Sociale, e proprio a partire dall’incontro con i quattro presidenti. “Non si era mai sentito in un dibattito pubblico - ha affermato l’economista argentino Julio Gambina durante l’incontro promosso dal Clacso (Consiglio latinoamericano di Scienze Sociali) su “Potere popolare e Stato in America Latina” - che alcuni presidenti dicessero di aver vinto grazie alle forze dei movimenti sociali e presentassero i propri governi come il prodotto di una mobilitazione sociale. Da qui si può comprendere la forza del potere popolare in America Latina: la mobilitazione sociale diventa una fonte di legittimazione di processi istituzionali”.

E se finora, sul nodo del rapporto tra potere popolare e Stato, si sono scontrate nel movimento altermondialista due opzioni diverse - quella di sostegno ai governi di sinistra e quella, tipicamente zapatista, di resistenza ai governi, anche progressisti, in quanto obbligatoriamente chiamati ad amministrare l’ordine neoliberista - esiste, secondo lo statunitense Michael Hardt (autore insieme a Toni Negri del libro Impero), una terza alternativa, quella dell’antagonismo propositivo: “Anche quando sono al potere governi di sinistra - ha detto - la moltitudine non deve seguire, ma precedere, trovarsi avanti rispetto ai governi”.

In ogni caso, i movimenti sociali latinoamericani hanno mostrato, in questa nona edizione del Forum Sociale Mondiale, di avere le idee piuttosto chiare, puntando - come scrivono in una lunga “Lettera dei movimenti sociali delle Americhe” che affianca la Dichiarazione dell’Assemblea dei movimenti sociali – ad intensificare “le azioni di resistenza, ma anche le esperienze alternative, di potere popolare, di esercizio di sovranità e anche di relazione con alcuni governi che esprimono, in maniera contraddittoria, gli interessi delle maggioranze” allo scopo di avanzare “verso la creazione di un modello di civiltà alternativo al progetto predatorio del capitalismo”.

Di seguito i passaggi più significativi della Lettera dei movimenti sociali delle Americhe e gli interventi (tratti da registrazione e non rivisti dagli autori) che il sociologo venezuelano Edgardo Lander e quello portoghese Boaventura Sousa Santos hanno tenuto durante l’incontro sul tema “Diversità e cambiamenti di civiltà: l’utopia del XXI secolo”. (claudia fanti)

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