Elezioni europee/2 Il mondo ci è entrato in casa e ha bisogno di ognuno di noi
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 63 del 06/06/2009
Le prossime elezioni del Parlamento Europeo possono rappresentare ed essere una di queste tre eventualità: un nuovo inizio, una occasione perduta, una drammatica sconfitta. Per tutti, beninteso: non per questa o quella parte politica. Aggiungerei: non solo per gli europei.
Ci sono le premesse per ognuno di quegli approdi. Ciò è agevolmente percepibile; non intendo avventurarmi, quindi, in analisi politologiche: voglio restare, invece, nella dimensione di una ordinaria, normale, umana quotidianità. Non si tratta, però, di un livello banale; al contrario, parlo di un approccio serio, che resiste alla banalità (adesso sì) del frastuono mediatico e contrasta, per scelta, la miopia cattiva (...per il semplice fatto che ti impedisce di vedere) del “e a me che me ne viene?”.
Resistere e rilanciare; cercando di intercettare nell’animo del vicino e del lontano la sua personale inquietudine e la sua aspirazione.
“Con l’unificazione europea si è realizzato un sogno delle generazioni che ci hanno preceduto. La nostra storia ci ammonisce a difendere questo patrimonio per le generazioni future. Dobbiamo a tal fine continuare a rinnovare tempestivamente l’impostazione politica dell’Europa”.
Queste sono parole tratte dalla Dichiarazione di Berlino, 25 marzo 2007.
La sfida che dobbiamo decidere di raccogliere è questa: noi consideriamo l’Europa ancora una opportunità?
L’interrogativo rappresenta precisamente una sfida. Sono evidenti, infatti, i limiti della attuale costruzione europea. Evidente è anche la distanza tra le attese e la realtà. Una crisi grave delle classi dirigenti caratterizza da più di un decennio il processo di costruzione dell’Europa Unita.
Le sfide si possono raccogliere in due modi: come necessità (la impossibilità a sfuggirvi) e come opportunità (la possibilità di plasmare le forze in campo).
Accettare questa sfida, insieme: come necessità e come opportunità, è il compito della generazione attuale per “rinnovare l’impostazione politica dell’Europa”, facendosi protagonista di un nuovo sogno, il nostro, di questa generazione, non quello dei nostri padri, e trasmettendolo alle “generazioni future”.
Un papa del Concilio, Paolo VI, ebbe a scrivere nella Populorum progressio che la Chiesa, “vivente come è nella storia, deve ‘scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del Vangelo’”. Citava una espressione (si potrebbe dire: una prescrizione; visto che usa il deve) della Gaudium et spes.
È la chiesa, oggi, in grado di fare questa incessante, accurata e rispettosa interrogazione della storia, quella grande dell’umanità e quella minuta del quotidiano di uomini e donne?
Quali sono i sogni e i miti di questa generazione? L’inquietudine ne è la cifra. E il sogno?
Forse può apparire stucchevole usare questo approccio per una campagna elettorale (...campagna, che brutta espressione!). Sono convinto, d’altronde, che alla banalizzazione non c’è limite, se non vuoi osare di assegnarglielo. E io credo che oggi è il tempo di fissare questi limiti; e che l’Europa meriti questa attenzione e il nostro paese questa generosità. Sì. Proprio mentre ascoltiamo in questi giorni, nel nostro paese, uno dei paesi fondatori della Unità europea, che il Parlamento, è un luogo inutile, dove si perde tempo.
Certo, si potrebbe ricordare che nel Parlamento europeo, quotidianamente vengono prese decisioni (con aspri confronti e divisioni) su: ambiente (anche l’aria che respiri), trasporti (anche il CO2 che respiri), energia (anche con il rischio delle privatizzazioni dei beni comuni, se prevale una deriva liberista), consumatori, salute, lavoro. E l’elenco dovrebbe essere anche più ampio ed impegnativo: sono le “politiche comuni” che non sono ancora (e per una precisa non volontà dei paesi/governi membri) alla portata dei suoi processi decisionali (l’immigrazione, per dirne una). E ci si potrebbe richiamare, quindi, al diritto/dovere di una forte partecipazione democratica: a cominciare con il voto. Ma la questione vera non resta confinata nella lista dei problemi/interessi da presidiare. Si situa, invece, nella sfida della costruzione di un luogo della convivenza comune e accogliente; che ha radici molteplici e che resta aperta al futuro solo se permane molteplice e plurale. Un luogo più grande di quello dove sei nato: perché il mondo ci è entrato in casa e ha bisogno di ciascuno di noi per “essere scrutato e interpretato e scoprirne i segni dei tempi”.
E sta in questo impegno instancabile, il sogno da protagonista sul quale questa generazione deve misurarsi, se vuole trasmettere qualcosa di sé alle generazioni future.
C’è un lavoro immenso da fare: il Trattato è lì che attende ancora una definitiva conferma; e senza una cornice istituzionale, seppure imperfetta, nulla si può governare – neppure le dure conseguenze e repliche della crisi economico –, finanziaria, prodotta dalle classi dirigenti dell’occidente, che ora diviene una nuova causa di instabilità e di ineguaglianze accresciute nel mondo.
Ho letto con attenzione il messaggio “Costruire la casa europea” della Commissione degli episcopati della comunità europea (COMECE). Ho apprezzato il richiamo per tutti i cristiani, alla “responsabilità d’impegnarsi attivamente in questo progetto”. E, nel contempo, continuo a ritenere che nessuna componente della storia e delle culture europee possa sentirsi o ritenersi più “essenziale” di altre, in questa incessante costruzione; e che riscoprire e guadagnare ogni giorno “l’anima dell’Europa” è un compito che appartiene a tutta questa generazione, comprensiva di tanti e tante che arrivano sul suo territorio e che vogliano condividerne le sue aspirazioni di libertà, di democrazia, di uguaglianza, di giustizia e di solidarietà.
* Consigliere del Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE). (mario.campli@eesc.europa.eu)
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