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Quando il diritto canonico prevale sul Vangelo? Dal Messico a Firenze, una tensione che attraversa la Chiesa

Quando il diritto canonico prevale sul Vangelo? Dal Messico a Firenze, una tensione che attraversa la Chiesa

ROMA-ADISTA. Un vescovo emerito in Messico è finito al centro delle polemiche per aver concelebrato la Messa insieme a una pastora anglicana (v. Adista Notizie n. 31/25). La donna, pur non appartenendo alla Chiesa cattolica, ha partecipato in modo attivo al rito, con gesti riservati al celebrante.

La reazione non si è fatta attendere: teologi e fedeli hanno denunciato il gesto come abuso liturgico e sacrilegio, richiamando il Codice di Diritto Canonico e le norme liturgiche della Chiesa cattolica che vietano simili interventi. L’argomento è chiaro: la liturgia non appartiene al singolo celebrante, ma è un patrimonio comune da custodire con fedeltà.

Accanto a questa condanna, però, si sono levate voci critiche. Secondo molti osservatori, la Chiesa appare pronta a reagire con fermezza quando si tratta di violazioni del diritto canonico, mentre mostra maggiore lentezza nell’affrontare sfide pastorali e sociali più gravi: ingiustizie, povertà, abusi.

Da qui l’accusa: i vescovi finiscono per difendere la norma più del Vangelo, privilegiando la salvaguardia della disciplina liturgica rispetto alla testimonianza cristiana dell’accoglienza e della fraternità. È il rischio del legalismo ecclesiastico, in cui la regola diventa fine a sé stessa e non più mezzo per annunciare la buona notizia.

Sociologicamente, questo scontro non è nuovo: si ripete ogni volta che un gesto profetico o simbolico rompe gli equilibri consolidati.

1. Qualcuno compie un atto che mette il Vangelo al centro, oltre la regola.

2. L’istituzione ecclesiastica reagisce richiamandosi al diritto canonico per difendere l’unità.

3. Le comunità critiche percepiscono questa reazione come un tradimento dello spirito evangelico.

Il diritto canonico svolge così una funzione di controllo e coesione sociale, proteggendo l’istituzione più che la dimensione profetica della fede.

Vorrei citare alcuni esempi della storia della Chiesa contemporanea.

L’Isolotto a Firenze (1968): il cardinale Florit rimosse don Enzo Mazzi e la sua comunità, colpevoli di vivere il Vangelo con un’attenzione radicale ai poveri e alle lotte sociali. La regola canonica prevalse sull’esperienza di fede comunitaria.

La teologia della liberazione in America Latina: movimenti popolari che legavano il Vangelo alla giustizia sociale furono messi sotto osservazione da Roma per paura di deviazioni ideologiche.

Il Cammino sinodale in Germania: le richieste di riforma su celibato, ruolo delle donne e benedizione delle coppie omosessuali si scontrano con il diritto canonico universale.

Papa Francesco e i tradizionalisti: il pontificato del vescovo di Roma, venuto dalla fine del mondo, ha mostrato chiaramente la frattura. Francesco ha sempre insistito sulla misericordia e l’inclusione, mentre i suoi oppositori hanno difeso la norma come garanzia di ortodossia.

Il caso del vescovo emerito messicano non è quindi un episodio isolato, ma l’ennesima manifestazione di una tensione storica: il diritto canonico, che preserva l’ordine e l’identità istituzionale. Il Vangelo, che chiede apertura, dialogo e misericordia. Tra queste due logiche la Chiesa continua a muoversi, oscillando tra il timore di perdere la propria coesione e il desiderio di testimoniare un annuncio radicale di fraternità. Alla fine per molti resta solo un desiderio, mentre bisognerebbe avere il coraggio della denuncia profetica. Purtroppo, oggi,con il pontificato di Papa Leone XIV, la denuncia profetica è quasi assente.

* Arturo Formola è docente di Sociologia generale presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Interdiocesano, Capua

(Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza)

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