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MILITARI MORTI A KABUL: VOCI CATTOLICHE CONTRO LA RETORICA DELLA PATRIA E DELLA “MISSIONE DI PACE”

Tratto da: Adista Notizie n° 96 del 03/10/2009

35204. ROMA-ADISTA. Mai come in occasione della morte di soldati impegnati all’estero nelle cosiddette “missioni di pace” la retorica dell’unità nazionale contribuisce a tacitare non solo ogni voce di dissenso, ma finanche ogni invito alla riflessione che trascenda la ‘semplificazione patriottica’ imposta dal sistema politico-mediatico in nome della presunta “lotta al terrorismo” e dell’“esportazione della democrazia”. Era accaduto con i morti di Nassiriya ed accade oggi dopo la morte a Kabul dei 6 parà della Brigata Folgore.

Del resto anche Benedetto XVI non ha tardato ad unirsi al coro di celebrazione dei ‘nostri eroi’ invocando - in un telegramma letto durante di funerali di Stato tenutisi nella Basilica di San Paolo fuori le mura - “la materna intercessione di Maria affinché il signore Dio sostenga e accolga chi ha portato nel mondo solidarietà, misericordia e pace”.

Tuttavia non sono mancate nel mondo cattolico le prese di posizione controcorrente. Oscurate dai grandi media, sono corse soprattutto sul web, nei blog e siti dove l’arcipelago del cattolicesimo conciliare e pacifista ha imparato a comunicare stante la chiusura di ogni spazio all’interno del circuito degli organi cattolici “ufficiali” nell’era Ruini-Boffo. La Comunità di Base di San Paolo a Roma ha anche inscenato una piccola manifestazione, salutando il corteo funebre che ha sfilato lungo la via Ostiense (proprio davanti alla sede della comunità) con bandiere della pace e uno striscione con su scritto: “No alla guerra. Pace ai morti di ogni parte”.

 

Don Paolo Farinella: dov’è l’eroismo?

“A costo di apparire cinico”, ha scritto il prete genovese don Paolo Farinella nella sua newsletter, “non riesco a piangere questi morti ‘italiani’, isolati dal loro contesto reale”. “I soldati morti sapevano che potevano morire (fa parte del loro mestiere), ma sono andati ugualmente per scelta e per interesse economico, cioè per guadagnare di più. So anche che molti vanno per il brivido della guerra, per dirla alla popolana per menare le mani e sperimentare armi nuove e di precisione. Dov’è l’eroismo nell’uccidere sistematicamente, per sbaglio o per fuoco amico, civili che a loro volta sono vittime nel loro Paese e vittime degli occupanti stranieri?”. Quelli di Kabul , ha aggiunto don Farinella, “sono morti inutili, morti che dovrebbero suscitare vergogna in chi li ha mandati”; “sono vittime, come sono vittime i morti afghani, come sono vittime i talebani usati dall’Occidente quando venivano comodo contro i Russi e da questi, a loro volta, armati quando servivano alla bisogna; mentre ora i beniamini di ieri sono i nemici di tutti”.

 

Don Vitaliano Della Sala: il vero oltraggio ai morti è la falsa retorica

“Mi pare che in tutta questa vicenda”, ha dichiarato ad Adista don Vitaliano della Sala, “le uniche parole veramente sagge siano state pronunciate da quell’uomo che ha gridato dall’altare della Basilica di San Paolo ‘Pace subito!’. Ma ovviante i telegiornali non ne hanno dato notizia”. “In parrocchia”, ha poi raccontato don Vitaliano, “io ho un ragazzo che proprio pochi giorni fa è partito per l’Afghanistan. E infatti quando mi è giunta la notizia dell’attentato mi sono subito preoccupato, temendo che ne fosse stato coinvolto. Devo dire però, con molta sincerità, che questo per lui è un mestiere, è un lavoro come un altro, al di là di tutta la retorica che abbiamo sentito in questi giorni da giornali e televisioni. E allora se chiamano ‘eroi’ i soldati che muoiono in queste missioni, dovrebbero chiamare eroi anche gli operai che cadono dalle impalcature. Se si esce dalla retorica, invece, ci accorgiamo che i soldati morti non sono degli eroi, ma semplicemente dei poveri ragazzi morti sul lavoro, o meglio mandati a morire da chi questa guerra l’ha voluta. Non credo che dire questo sia un insulto. Se mai è un insulto verso la loro memoria e verso il dolore dei loro famigliari continuare a coprire il tutto con questa falsa retorica”.

 

Don Franco Barbero: funerali-parata per celebrare la retorica della guerra

“La celebrazione dei funerali di Stato, con tutti gli annessi e connessi”, ha scritto sul suo blog don Franco Barbero, “è risultata una parata fatta apposta per confermarci nella cultura della guerra: trombe, processioni, cerimonie, incensi, parate che danno spettacolo e confondono le idee. Così i cittadini non pensano e i signori dei palazzi, politici e religiosi, continuano a narrarci le consuete banalità e menzogne”.

Non si associa alla retorica militarista neanche la sezione italiana di Pax Christi. “Il miglior modo di onorare i morti, e tutte le vittime della violenza di qualunque segno - ha scritto il Consiglio nazionale in un documento del 21 settembre (la versione integrale sul numero allegato di Adista Segni Nuovi) -, è quello di operare per evitare le tragedie, per superare una situazione di violenza che può durare decenni, per prevenire ulteriori lutti dannosi per il mondo intero”. “Nonostante una presenza militare di otto anni - ha proseguito il Consiglio nazionale di Pax Christi -, la situazione afghana si è aggravata: la violenza e i morti aumentano, la democrazia è un simulacro, le donne vengono ancora schiavizzate, il traffico di eroina cresce, l’instabilità è cronica e diffusa”. Per questo il movimento cattolico per la pace chiede esplicitamente il ritiro delle truppe: “Per noi il necessario ritiro delle truppe dall’Afghanistan deve essere accompagnato da una seria riconversione civile della presenza militare che sostenga la società civile afghana e da una vera cooperazione internazionale”.

 

Il “caso” di don Giorgio De Capitani

Nella diocesi di Milano le invettive di don Giorgio de Capitani – prete di Monte di Rovagnate non nuovo ad un linguaggio dai toni assai coloriti – hanno suscitato la reazione della Curia. Il 18 settembre, giorno dell’attentato a Kabul, don Giorgio pubblicava sul suo blog un commento che era costretto a rimuovere poco dopo a causa dell’intervento dell’avvocato dell’arcidiocesi di Milano. “La cancellazione dell’articolo”, ha spiegato lo stesso de Capitani, “mi è stata chiesta per le offese rivolte al ministro La Russa, e non per le mie opinioni in merito alla morte dei soldati italiani”. Opinioni che venivano dunque ripetute in un intervento di poco successivo: “Perché”, si è domandato in quel secondo articolo don Giorgio, “non si ha il coraggio di dire che i nostri militari che si trovano nelle zone calde di una guerra non sono altro che mercenari, pagati profumatamente dal governo, cioè da noi, per svolgere un mestiere (perché parlare di ‘missione’, parola nobile da lasciare solo ai testimoni della carità?) che consiste nello sparare su bersagli umani, senza distinguere troppo se si tratta di bambini o di nemici armati?”. “Perché”, ha aggiunto il prete, “onorare la morte di mercenari, quando ben pochi si ricordano dei veri testimoni della carità e della giustizia? Chi si ricorda di Teresa Sarti, moglie di Gino Strada? Una grande donna, altro che i maschioni fascistoidi della Folgore!”.

Parole che hanno provocato un secondo intervento da parte della Curia: l’arcivescovo di Milano, card. Dionigi Tettamanzi, recitava un comunicato stampa diffuso il 20 settembre, prende “le distanze dalle prese di posizione personali del prete ambrosiano don Giorgio De Capitani, le cui dichiarazioni giorni fa sono già state oggetto di richiamo (solo parzialmente recepito)” e ribadisce “il proprio dovere e la propria vicinanza umana e spirituale alle famiglie delle vittime dell’attentato a Kabul. L’Arcivescovo e la Diocesi pregano per queste persone morte nel compimento del proprio dovere e per tutti i caduti – militari e civili – di ogni conflitto”.

La curia di Milano rispondeva così anche alle critiche del Giornale della famiglia Berlusconi che qualche giorno prima aveva aperto una campagna contro don Giorgio con l’articolo intitolato: “Il prete sciacallo e il silenzio del cardinale”. Il 21 settembre, il quotidiano diretto da Vittorio Feltri, poteva dunque titolare: “Don Giorgio maledice i caduti ma ora Tettamanzi lo scarica”.

Moltissimi i messaggi con insulti inviati al sito di don Giorgio, che è stato anche fisicamente minacciato davanti alla propria canonica. Per questo motivo il prefetto ed il questore di Lecco stanno predisponendo un programma di protezione. Ma a don Giorgio sono giunte anche molte lettere di solidarietà e sostegno. Lui continua per la sua strada: “È il rischio del mestiere”, scrive sul suo blog, “di quel mestiere nobile che si chiama evangelizzazione radicale”. (e. c.)

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