HONDURAS NEL CAOS. PER I GOLPISTI L’INIZIO DELLA FINE?
Tratto da: Adista Notizie n° 96 del 03/10/2009
35213. TEGUCIGALPA-ADISTA. Ha colto tutti di sorpresa il presidente legittimo dell’Honduras Manuel Zelaya, rientrando nel Paese, con un’azione certo non priva di coraggio, 86 giorni dopo essere stato deposto dai militari. Superando non poche peripezie, e aiutato da “diversi membri del popolo honduregno”, Zelaya sarebbe partito dal Nicaragua su un aereo della Forza Aerea Venezuelana, passando per l’aeroporto internazionale di San Salvador e da lì sarebbe atterrato su una pista segreta in Honduras, per poi rifugiarsi, dopo aver superato tutti i posti di blocco, nell’ambasciata brasiliana. “Sono il presidente scelto dal popolo honduregno - ha dichiarato “Mel” Zelaya -, non posso vivere in un altro Paese ospitato da un popolo che non mi ha eletto. Manterremo la calma, ma lotteremo: lottare per i poveri non è un delitto. In un Paese non esistono due presidenti: solo uno è stato eletto dal popolo democraticamente, l’altro è un tiranno che ha preso il potere con la forza”.
A dare per prima la notizia, il 21 settembre, è stata la rete televisiva venezuelana Telesur, mentre il presidente golpista Roberto Micheletti assicurava ai giornalisti che Zelaya si trovava “tranquillo in una suite di un hotel in Nicaragua”. Poi, di fronte all’amara sorpresa, il governo de facto ha reagito come c’era da attendersi, scatenando una violenta repressione contro le migliaia e migliaia di manifestanti accorsi da ogni parte del Paese per festeggiare, di fronte all’ambasciata brasiliana, il ritorno del “loro” presidente. Oltre 400 i manifestanti arrestati (più un numero ancora imprecisato di morti e feriti), condotti, in perfetto stile da regime militare, in uno stadio di Tegucigalpa, dove poi sono stati lentamente rilasciati. Eppure, malgrado la feroce repressione e lo stato d’assedio decretato dal governo golpista (sospeso appena sette ore il 22 settembre, per dar modo alla popolazione di rifornirsi di viveri, con conseguente assalto ai supermercati), la resistenza è proseguita e si è estesa, spostandosi verso le periferie, le comunità e i villaggi.
Continua, intanto, l’assedio all’ambasciata del Brasile, a cui, dopo aver bloccato tutte le uscite, sono stati tagliati telefono, luce e acqua (solo il personale delle Nazioni Unite è riuscito a entrare per rifornire di viveri gli assediati), tanto da indurre il presidente brasiliano Lula, durante la 64.ma Assemblea Generale dell’Onu, a invitare la comunità internazionale a “restare in allerta per assicurare l’inviolabilità della missione diplomatica del Brasile nella capitale honduregna” e a sollecitare una riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con carattere di urgenza, per discutere della situazione nel Paese.
In risposta, il governo de facto ha accusato il Brasile di “intromissione negli affari interni dell’Honduras”, indicandolo come unico responsabile “della vita e della sicurezza del signor Zelaya e dei danni all’integrità fisica delle persone e delle proprietà” prossime all’ambasciata. E assai preoccupante, in tal senso, è l’allarme lanciato dallo stesso Zelaya, che ha denunciato un piano del governo golpista per invadere l’ambasciata brasiliana, catturarlo e ucciderlo: “Sono addirittura già pronti i medici legali – ha riferito – che dovranno dichiarare che il presidente si è tolto la vita”. “La mia presenza qui – ha precisato – è semplicemente un appello al dialogo, alla concertazione, un invito a trovare un accordo, e a questo si è risposto con proiettili, gas lacrimogeni, repressione e stato d’assedio”.
Nel Paese, naturalmente, è il caos. Come ha denunciato Vía Campesina in Honduras, “la popolazione vive nel panico, perché in ogni momento risuonano gli spari; i collegamenti telefonici sono difficoltosi; molte persone sono rimaste senza energia elettrica e senza acqua e cibo; i mezzi di comunicazioni al servizio del popolo vengono continuamente oscurati; negli ospedali mancano le medicine; i supermercati sono assediati e scarseggiano i combustibili”.
Molto dipenderà a questo punto dalle misure che verranno decise dalla comunità internazionale, a cui tanto Zelaya quanto i governi dell’Alba, l’Alleanza Bolivariana dei Popoli dell’America, hanno sollecitato “fatti concreti”. E intanto un unanime appoggio alla “azione di coraggio” rappresentata dal ritorno di Zelaya nel Paese è venuto dalla riunione straordinaria tenuta il 21 settembre dall’Organizzazione degli Stati Americani. (claudia fanti)
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