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SIAMO VIVI E PRESENTI E CONTINUIAMO AD AVANZARE

Tratto da: Adista Documenti n° 100 del 10/10/2009

Due anni fa, dopo più di venti anni di discussione, l’As-semblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite ha adottato la Dichiarazione sui diritti dei Popoli indigeni. Quanto si è avanzato da allora? In che misura gli Stati la rispettano? L’Onu presenta meccanismi per sanzionare quanti la violano?

Il panorama non è incoraggiante. I diritti consacrati nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sono sistematicamente negati nei nostri Paesi dagli Stati e dalle imprese transnazionali. Si violano territori, si criminalizzano le organizzazioni indigene, non si consultano i popoli originari sulle leggi e i progetti estrattivi che li riguardano, non esiste il minimo rispetto per la loro autonomia e autodeterminazione. E neppure menzioniamo, tra molte altre assenze, l’esclusione degli indigeni da servizi essenziali come salute ed educazione interculturali

Un oscuro panorama

In Perù, proprio negli ultimi due anni si è assistito ad una recrudescenza della repressione, con undici decreti legislativi di criminalizzazione della protesta e con processi a carico di centinaia di dirigenti indigeni accusati di gravi delitti, compreso quello di terrorismo, solo per aver difeso i diritti delle proprie comunità. L’avanzata del neoliberismo ha conosciuto il suo punto più alto nell’emanazione di un centinaio di decreti legislativi di attuazione del Trattato di Libero Commercio: norme incostituzionali che calpestano molteplici diritti dei popoli originari. L’ostinazio-ne del governo di Alan García nell’imporre tali norme in funzione del saccheggio da parte delle transnazionali ha originato il conflitto con i popoli indigeni dell’Amazzonia che è sfociato nel massacro di Bagua.

In Colombia, i popoli indigeni sono vittime di una guerra che è loro estranea ma che si combatte sui loro territori. Fughe dalle proprie aree, sequestri, scomparse forzate, torture e morte sono una realtà quotidiana in questo Paese. La politica di sicurezza democratica imposta dal governo di Álvaro Uribe, con il suo Plan Colombia finanziato dagli Stati Uniti, ha condotto alla soglia dell’estin-zione 18 popoli indigeni colombiani, chiusi tra il fuoco delle forze regolari (polizia, esercito), dei movimenti guerriglieri e dei paramilitari. La causa della guerra, come pure dell’installazione di sette basi militari Usa, non è il narcotraffico: sono i beni naturali che si incontrano nei territori indigeni.

In Cile, le incursioni armate dei carabinieri contro le comunità mapuche, con la loro scia di sangue, sono pane quotidiano. I prigionieri politici mapuche vengono processati sulla base della legge antiterrorista della dittatura e il governo di Michelle Bachelet ha scatenato una nuova “pacificazione dell’Araucanía”, nel momento stesso in cui impone riforme costituzionali riguardanti i popoli indigeni senza consultarli. Tutto ciò per favorire le imprese estrattive, principalmente forestali.

In Ecuador, la nuova Costituzione ha riconosciuto lo Stato Plurinazionale e dice di basarsi sul Buen Vivir. Tuttavia, il governo di Rafael Correa legifera a favore delle imprese minerarie, non raccoglie le proposte indigene riguardo alla Legge sull’Acqua, insulta le organizzazioni e arriva persino a reprimere violentamente i popoli indigeni. Esiste una seria contraddizione tra le parole e la pratica. Malgrado si parli di difesa degli interessi della nazione e di difesa dei diritti della natura, i privilegi delle transnazionali non vengono toccati.

La Bolivia rappresenta in questo panorama un’eccezio-ne: qui la Dichiarazione dell’Onu è stata proclamata legge dello Stato (che è la nostra proposta per tutti i nostri Paesi) e la Costituzione ha riconosciuto lo Stato Plurinazionale. Le organizzazioni indigene vigilano affinché si assicuri che i postulati della Magna Carta vengano tradotti in politiche concrete, mentre il mondo intero esprime solidarietà al processo boliviano, minacciato dalle forze più reazionarie, che sono arrivate ad eseguire attentati terroristici.

 

Ore di lotta

Di fronte a questa offensiva, i popoli indigeni e le loro organizzazioni non sono rimasti a guardare, ma sono andati avanti nell’articolazione delle loro lotte e delle loro proposte, invitando a un’ampia solidarietà, stringendo alleanze e guidando i movimenti sociali all’interno dei nostri Paesi e a livello continentale.

 In Perù si è rafforzata e consolidata l’alleanza andino-amazzonica, si è ottenuta la deroga di quattro decreti legislativi relativi al Trattato di Libero Commercio e si è richiamata l’attenzione degli organismi delle Nazioni Unite, che hanno severamente criticato il governo di Alan García.

In Colombia, la Minga indigena dell’anno passato ha suscitato la solidarietà unanime dei movimenti sociali di questo Paese e del continente. E il governo di Álvaro Uribe è stato anch’esso accusato dagli organismi delle Nazioni Unite di violare i diritti umani e i diritti dei popoli originari.

In Cile si è ottenuto che lo Stato adottasse la Conven-zione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro senza limitazioni “interpretative”; i popoli mapuche avanzano nel loro processo di recupero dei territori ancestrali e gli organismi delle Nazioni Unite hanno richiesto al governo di Michelle Bachelet di porre fine alla criminalizzazione dei popoli indigeni e di consultarli su leggi e progetti che li riguardano.

In Ecuador, le organizzazioni indigene hanno espresso con chiarezza la propria posizione rispetto al governo di Rafael Correa e si sono dichiarate in mobilitazione per difendere i propri diritti fondamentali, nel rispetto di quanto disposto dalla Costituzione.

In Bolivia, i popoli indigeni e le loro organizzazioni hanno compreso come sia possibile sostenere il processo di cambiamento in corso senza cedere in nulla rispetto alla propria autononia e al proprio diritto a esercitare un controllo sul governo. E il processo boliviano ha suscitato la più ampia solidarietà, nel continente e nel mondo.

Sono, allora, ore di lotta, tempi di speranza. I popoli indigeni e le loro organizzazioni sono vivi e procedono nel-l’articolazione delle loro lotte e proposte. Gli occhi del mondo si volgono verso di noi perché disponiamo dell’e-sperienza e della saggezza che servono per salvare la Madre Terra, condotta all’ecatombe climatica dal modello di saccheggio e di depredazione della natura. Il mondo intero ha ascoltato il nostro appello a partecipare, dal 12 al 16 ottobre, alla Minga Globale per la Madre Terra. E il IV Vertice dei Popoli e delle Nazionalità Indigene di Abya Yala (Puno, Perù, maggio 2009) ha rappresentato una storica tappa in questo processo.

La Dichiarazione sui Diritti dei Popoli Indigeni delle Nazioni Unite è una conquista importante. Ma più oltre cinquecento anni di resistenza ci hanno insegnato che solo l’articolazione delle nostre lotte, la discussione e il consolidamento delle nostre proposte e un’effettiva incidenza internazionale renderanno possibile tradurre in realtà i nostri diritti.

Lima, 15 settembre 2009

Miguel Palacín Quispe Coordinatore Generale CAOI

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