Nessun articolo nel carrello

L’ALTRO COME POVERO, COME DIVERSO E COME NEMICO

Tratto da: Adista Documenti n° 112 del 07/11/2009

Il mio punto di partenza è la parabola del buon samaritano, che ha come preludio la domanda rivolta dal dottore della legge a Gesù per tendergli un tranello: "Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?". Gesù gli dice: "Cosa è scritto nella legge?". L'altro risponde con i due primi comandamenti, che in realtà sono uno soltanto: amare Dio e il prossimo. E gli chiede: "Chi mi è prossimo?". Il che vuol dire che ci sono i prossimi e i non prossimi, che l'amare il prossimo è limitato alla cerchia di persone vicine. L'ele-mento comune del giudaismo al tempo di Gesù era proprio questa differenziazione tra noi e gli altri: nei confronti del noi vale il comandamento dell'amare il prossimo, nei confronti degli altri no.

Gesù risponde con la parabola del buon samaritano.

C'è il viandante, evidentemente ricco: porta con sé qualcosa che diventa la ragione dell'aggressione e viene lasciato a terra quasi morto. Si tratta di un anonimo, antropostis, un tale a cui non viene data un'identità: siamo di fronte al-l'anonimato di un essere umano, ma un essere umano sospeso tra la vita e la morte. Passa il samaritano e accade qualcosa: la percezione di un urlo muto che induce il samaritano a fermarsi.

La prima dimensione per determinare l'altro come povero è proprio questa: povero è uno che si trova in situazioni di indigenza che negano o rendono difficile l'affermazione della sua umanità. Vi sono forme di povertà storica, di mancanza di beni essenziali: del pane quotidiano, letteralmente. Vi sono poi poveri che sono ricchi ma che soffrono di solitudine, che hanno bisogno di altro pane: di una parola buona, del silenzio che si mette in ascolto. Dietro queste situazioni puntuali o strutturali, c'è una povertà più profonda che io definirei ontologica: cioè dell'essere umano come tale, anche quando dispone di tutti i beni, materiali e non, in quanto fondamentalmente fragile. A mio avviso "fragilità" è la parola migliore per tradurre il termine ebraico bashar, carne, l'uomo come carne. La Bibbia riporta molte immagini ‑ come il fiore che spunta la mattina e la sera è già bruciato dalla canicola palestinese ‑ per esprimere la brevità e soprattutto la fragilità dell'esistenza. (...).

Nei confronti di questa dimensione dell'essere umano non basta quel tipo di amore che è l'amore per il prossimo, perché questo è un amore per cui nel prossimo vedo il prolungamento di me stesso, la realizzazione di me stesso. Lo chiamerei amore ombelicale, per cui nell'altro vedo qualcosa in cui la mia esistenza trova compimento: uscire da me per arrivare all'altro in realtà è un modo per tornare a me più ricco di prima. (...).

Il rapporto con l'altro deve essere come quello di Abramo che esce dalla sua terra per andare in un posto sconosciuto che Dio gli indicherà. Il rapporto con il povero dal punto di vista biblico è proprio questo rapporto con l'al-terità.

Che cosa induce il samaritano a fermarsi? È la compassione che nasce dal grido dell'altro anche se muto e scuote il samaritano obbligandolo a fermarsi di fronte ad una carne che è al punto estremo della  fragilità.

Non si tratta di sentimenti, di emozioni. Il cuore, il termine leb o lebab, ricorre nel solo Antico Testamento 850 volte. In un centinaio di passi ha il significato che gli diamo noi, come luogo delle passioni, delle emozioni, dei desideri. Sul cuore, che è un muscolo, trasferiamo tutto un universo di passioni, di sentimenti: e questo per il fatto che un'emozione intensa ci fa battere il cuore. Anche nella Bibbia troviamo questa accezione, che è propria di tutte le culture, del cuore che batte per paura o per un'emozione. Ma nella Bibbia l'accezione propria ‑ quella cioè che ricorre laddove la Bibbia è davvero la rivelazione del Dio di Israele, laddove il contesto è antropoteologico ‑ è quella dell'uomo di fronte a Dio. È in questa accezione che appare nella maggioranza dei casi: secondo la Bibbia, l'uomo di fronte a Dio è l'uomo dentro al quale spunta il cuore. A mio giudizio, la migliore traduzione nella nostra lingua sarebbe la voce della coscienza nell'acce-zione più alta: quel qualcosa che nella Bibbia è chiamato invece la parola interpellante di Dio. Una parola che interpella rispetto a una dimensione di fiducia in Dio, a quell'amare Dio con tutto il cuore, in maniera incondizionata. Imperativo categorico, dirà Kant, secolarizzando il testo biblico, traducendolo in una concettualità che è a mio avviso la migliore della filosofia occidentale. "Amerai" è un futuro con valore di imperativo. Non è un primo comandamento cui se ne aggiunge un altro ma è, per dirla in termini kantiani, la forma, l'inten-zionalità costitutiva, l'anima del comandamento il cui corpo, il cui contenuto storico, è amare l'altro. L'amore per l'altro in quanto altro, cioè quell'amore che non è motivato dall'inte-resse che io provo per l'altro, per il fatto che ha qualcosa che suscita in me un certo tipo di curiosità. Ma perché la presenza dell'altro è il luogo da cui si eleva quella voce che mi dice "Questa è la tua strada". Si può tradurre tutto questo con il termine responsabilità. Nelle due accezioni: responsabilità co-ram deo, di fronte a Dio, e responsabilità nei confronti del-l'altro che mi è prossimo, nel senso che è qui e che posso raggiungerlo. La vera prossimità che definisce questo amore per l'altro non è che l'altro fa parte dei miei prossimi, ma che io mi faccio prossimo all'altro nella sua alterità, raggiungendolo lì dove non penserei di raggiungerlo.

È la fine della parabola, quando Gesù chiede: "Chi dei tre si è fatto prossimo?", e dice: "Va' e fa' anche tu lo stesso". Quel tipo di amore che non è una forma sublimata di desiderio, non è l'eros spinto alle sue vette massime, non è l'agape come sublimazione dell'eros. L'amore di cui parlano le Scritture è l'amore come risposta a quell'imperativo, a quel bussare alle porte del nostro cuore di cui l'incontro col samaritano è un esempio. Smettiamola di dire "L'Antico Testamento ha la legge. Il Nuovo ha l'amore": è falso! L'An-tico Testamento ha la legge dell'amore, il Nuovo ha l'amore come legge. Si tratta dell'amore etico che non è determinato dalle nostre simpatie, dal nostro eros: è l'amore comandato ma non come un diktat, bensì per il fatto che sento che questa è la cosa giusta, il bene da compiere, che questa è la mia strada.

L'amore per l'altro come povero è questa agape che coglie nell'altro, nella sua nullità, nel suo puro bisogno, il luogo dei diritti. I diritti non sono miei, non sono nel cuore: il cuore non ha diritti ma doveri. Il cuore ha il dovere dell'a-more: l'amore come dovere, l'amore comandato.

Quella carne che in se stessa è nulla, fatta di nulla, che esiste ma non è, che è un puro bisogno di essere ma non è ancora: quella carne è avvolta dallo sguardo protettore di Dio e Dio la custodisce come pupilla dei suoi occhi. Lo sguardo di Dio sul povero è la fonte del diritto del povero nella Bibbia, la fonte del diritto della carne e la fonte del do-vere per il cuore: l'amore dovuto a Dio e dimostrato in quel che faccio per costui o costei. L'amore dovuto è l'amore di riconoscenza. (...).

Il senso dell'espressione "a immagine di Dio" è questo: quello che Dio mi chiede di fare per l'altro è quello che lui ha fatto con quei derelitti che gemevano e piangevano perché erano stranieri in Egitto. Il loro grido giunse alle orecchie di Dio che si ricordò di Abramo e si prese cura di loro: è qui che comincia la storia della liberazione fino alla Terra promessa. L'amore gratuito con cui Dio ha amato Israele e, nel carattere esemplare di Israele, tutta l'umanità, vuole comunicarlo a noi, e questo può farlo solo nella forma dell'im-perativo che interpella la nostra libertà, la nostra capacità di dire sì o no, perché, se entrasse in noi con una dolce invasione, diventeremmo robot di Dio. Di nuovo Kant: la libertà è postulata dall'esperienza etica, altrimenti non sarebbe più l'imperativo, non sarebbe più la legge con la sua forza di convincimento, sarebbe il Dio che ti invade e ti seduce, il Dio dell'eros. No, Dio bussa e chiede che gli si apra la porta. Dio non ha mani ma aspetta le mie per poter raggiungere il prossimo.

La parabola del samaritano è nel nuovo Testamento. Nella Parabola Gesù parla come maestro che insegna ai maestri di Israele ad arrivare alla forma autentica dell'amore comandato: ama il prossimo tuo. Non è ancora il Cristo. Se vogliamo capire chi è Gesù, non possiamo prescindere dal capire che cosa sia questa legge. Nell'Antico Testamento troviamo immagini splendide del Dio che perdona ‑ pensiamo al secondo capitolo di Osea o al capitolo 54 di Isaia ‑ ma c'è meno spazio per il comandamento del perdono tra gli uomini. Se c'è una novità nel Nuovo Testamento è proprio questa: l'amore per l'altro diventa a tal punto fondamentale che l'amore per l'altro come nemico è il presupposto necessario dell'amore per l'altro come povero.

Nell'Antico Testamento non c'è solo il disegno dell'Al-leanza, ma c'è anche l'affermazione che Israele ha fallito e, come Israele, tutta l'umanità. Ci sono diverse immagini ad evocarlo. A mio avviso, la più bella è quella del cuore di pietra di Ezechiele 36: il cuore che è calcificato e che non sa più distinguere il bene dal male. La ripetizione del rifiuto opposto alla parola di Dio che bussa genera una specie di incapacità di percepire questa distinzione: diventa ciò che Hannah Harendt chiama la banalità del male. (...). La colpa è in origine: c'è la colpa fondamentale di non percepire più dov'è la colpa.

Nell'Antico Testamento incontriamo la promessa del Messia come Salvatore che ricostruirà i cuori. Il cristiano è colui che crede che nell'uomo Gesù di Nazareth è accaduto questo: che, attraverso la sua morte e risurrezione, ha ricostruito il cuore di tutta l'umanità e poi ha inviato lo Spirito ad investire le singole esistenze per risuscitarne il cuore. "Strapperò da voi ‑ dice il Dio di Ezechiele ‑ il cuore di pietra e metterò in voi il cuore di carne": dove carne non ha il senso della povertà ontologica ma quello di un cuore vivo.

Nella lettera ai Galati Paolo scrive: Cristo "mi ha amato",  dove quel "mi" è ognuno di noi, e "si è consegnato al Padre per me". È questa la base di una umanità nuova. Questo è il grande perdono concesso da Dio. Il fondamento di ogni umana condotta secondo Dio. In Matteo 5,43 si dice: "Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste". Non dunque "perché già siete figli", almeno in questo testo: è proprio nell'atto di perdonare il nemico che accade qualcosa per cui si realizza la vocazione di essere figli del Padre celeste, affinché lo Spirito ‑ e siamo di nuovo nella Lettera di Paolo ai Galati ‑ gridi Abbà. (...).

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.