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C’ERA UNA VOLTA UNA “CHIESA STRAORDINARIA”. IN RICORDO DI ELLACURIA E DI ROMERO, PER RIPRENDERE IL CAMMINO

Tratto da: Adista Documenti n° 118 del 21/11/2009

DOC-2212. SAN SALVADOR-ADISTA. Si celebra in un clima politico profondamente mutato il XX anniversario della strage della Uca, l’Università centroamericana di San Salvador, dove, il 16 novembre del 1989, durante la maggiore offensiva guerrigliera dall’inizio del conflitto, vennero assassinati da membri del famigerato battaglione Atlacatl dell’esercito salvadoregno i gesuiti Ignacio Ellacuría, Ignacio Martín Baró, Segundo Montes, Armando López, Juan Ramón Moreno e Joaquín López y López, insieme alla domestica Elba Julia Ramos e a sua figlia Celina, di appena 16 anni. Ad essi Mauricio Funes, il primo presidente espresso da una forza di sinistra nella storia del Paese, concederà la Gran Croce Placca d’Oro dell’Ordine José Matías Delgado, per i servizi straordinari da essi prestati nei campi dell’educazione, dei diritti umani, della lotta alla povertà, della costruzione della pace e della democrazia nel Paese. Un riconoscimento – ha spiegato Funes – che vuole offrire una sorta di risarcimento morale “per gli errori che lo Stato ha commesso in passato”.

E che il presidente Funes sia deciso a prendere le distanze da tali “errori”, lo ha chiaramente indicato la storica decisione del suo governo di riconoscere, all’ultima udienza della Commissione Interamericana sui Diritti Umani (Cidh), svoltasi a Washington il 6 novembre scorso, la responsabilità dello Stato salvadoregno nell’assassinio dell’arcivescovo Oscar Arnulfo Romero, accettando “pienamente” l’autorità della Cidh e il carattere vincolante delle raccomandazioni emesse da questa nel suo rapporto del 2000, totalmente disconosciuto e disatteso dai governi di Arena (il partito di estrema destra fondato dal maggiore Roberto D’Aubuisson - indicato dalla Commissione della Verità come il mandante dell’omicidio di Romero – ininterrottamente al governo dal 1989 fino al primo giugno scorso, quando si è insediato il candidato del Fronte Farabundo Martí).

Le raccomandazioni rivolte dalla Commissione allo Stato salvadoregno, lo impegnavano, tra l’altro, a realizzare un’indagine giudiziaria completa, imparziale ed effettiva sul caso di mons. Romero, al fine di identificare, giudicare e punire tutti gli autori materiali e intellettuali del crimine; a provvedere al risarcimento morale e materiale per le violenze commesse e ad adeguare la legislazione interna alla Convenzione americana sui diritti umani, annullando la legge di amnistia (emanata nel 1993, l’anno successivo alla fine del conflitto). Raccomandazioni che il governo Funes si è impegnato a compiere “in buona fede e nella misura delle sue possibilità” (essendo per esempio la deroga della legge di amnistia una questione su cui deve pronunciarsi l’Assemblea legislativa), procedendo intanto, nell’immediato, alla costruzione della Piazza Monsignor Romero e alla realizzazione di un video sulla storia e la testimonianza del vescovo martire.

Un “evento storico”, hanno commentato gli organismi di difesa dei diritti umani, salutando l’inizio della “nuova era” promessa dal governo in materia di rispetto dei diritti. Ma il commento più significativo è venuto da una donna del popolo, Dolores Hernández: “Se il caso di Monsignore verrà chiarito – ha dichiarato al quotidiano salvadoregno Co-latino (30/10) – noi ci sentiremo soddisfatti, perché in esso rientra quello di tutti i caduti”.

E all’eccezionalità e unicità della figura di Monsignore, come tutti i salvadoregni chiamavano e chiamano mons. Romero, il gesuita e teologo della liberazione Jon Sobrino (sfuggito alla strage della Uca perché si trovava in quel momento fuori dal Paese) dedica quest’anno la sua tradizionale lettera all’amico scomparso Ignacio Ellacuría, soffermandosi in particolare proprio sul rapporto tra i due grandi profeti martiri del Salvador (le prime 15 lettere scritte da Sobrino a Ellacuría nei 16 anni successivi al massacro sono state pubblicate dalla Emi con il titolo Scrivo a te fratello martire; v. Adista n. 75/06). “Non era la prima volta – scrive Sobrino al “fratello martire” – che ti incontravi con qualcuno che avrebbe influito grandemente sulla tua vita”, ma nel caso di Monsignore si trattava di “qualcosa di diverso”, perché significava l’incontro con la profezia, la dedizione, la bontà che erano proprie dell’arcivescovo, “ma soprattutto con la sua fede”, una fede che faceva di lui, sottolinea Sobrino, “il volto di Dio nel nostro mondo”. Cosicché Ellacuría poteva dire che “non c’era dubbio su chi fosse il maestro e chi l’aiutante, chi fosse il pastore che traccia i sentieri e chi fosse l’esecutore, chi fosse il profeta che penetra il mistero e chi fosse il seguace, chi fosse l’animatore e chi l’animato, chi la voce e chi l’eco”.

Di seguito la lettera di Jon Sobrino, in una nostra traduzione dallo spagnolo. (claudia fanti)

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