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LA STORIA SCRITTA DAI POPOLI

Tratto da: Adista Documenti n° 124 del 05/12/2009

Signore, signori, amiche, amici,

per prima cosa voglio chiedere pubblicamente scusa per l’assenza di mia moglie, first lady della Repubblica e capo della Segreteria per l’inclusione sociale: si trova a Roma al Vertice sulla sicurezza alimentare convocato dalla Fao, proprio in mia rappresentanza. E lo dico perché lei è stata una delle persone a cui va il merito di questo omaggio e quella che più ha lavorato per questo.

Oggi, 20 anni dopo il loro crudele assassinio, porre nelle mani dei familiari ed amici di Ignacio Ellacuría, Segundo Montes, Ignacio Martín-Baró, Amando López, Juan Ramón Moreno e Joaquín López il maggior riconoscimento che concede questo Paese, l’Ordine José Matías Delgado, significa, per me, rimuovere uno spesso velo di oscurità e di menzogna per lasciar entrare la luce della giustizia e della verità. Significa sollevare il tappeto polveroso dell’ipocrisia e cominciare a pulire la casa della nostra storia recente, la nostra casa.

Perché non è possibile intendere il nostro Paese e riconoscerci come comunità se non conosciamo il passato comune, i nostri eroi e i nostri martiri, il loro dolore e le loro gioie, le loro lotte accanite e, soprattutto, il loro contributo straordinario al Paese.

Se qualcosa hanno dimostrato questi uomini con la loro morte è che la Storia non la scrivono alcuni pochi illuminati e neppure quanti impugnano le armi più potenti. La Storia, quella che si scrive con la maiuscola, la scrivono i popoli, e per farlo hanno bisogno della memoria.

Per questo vogliamo che questo sia un atto di recupero della memoria collettiva. Un riconoscimento del lavoro di quanti sono sempre stati dal lato dei diritti umani, della democrazia, della ricerca instancabile della giustizia, della costruzione della verità e della pace; perché è con il loro esempio che vogliamo costruire un Paese nuovo. Probabilmente alcuni diranno che questo omaggio arriva tardi e hanno ragione, ma vi assicuro anche che è realizzato con il cuore e nella profonda convinzione che aiuterà a sanare le ferite che sono aperte da troppo tempo.

Non spetta a me né a questo governo, rispettoso delle istituzioni, processare coloro che hanno assassinato i gesuiti e le loro due collaboratrici. È il compito dei tribunali e di istituzioni come il Pubblico Ministero, che detiene per mandato costituzionale il monopolio dell’azione penale.

La funzione di un governo come quello che presiedo, che ha per obiettivo l’unità di tutti e i valori supremi della pace e della giustizia, è di contribuire a creare il clima di comprensione e di verità che permetta di lasciare alle spalle un passato di tragedia e di dolore, per cominciare a costruire una Patria giusta, sicura e includente.

Per questo voglio sottolineare come i fratelli salvadoregni a cui oggi rendiamo omaggio abbiano dato la vita perché El Salvador uscisse dal circolo infernale dell’odio che genera morte e imboccasse il cammino della riconciliazione.

Fino all’ultimo momento Ignacio Ellacuría e i suoi compagni hanno lottato per una soluzione negoziata del conflitto che, in quei giorni più che mai, poneva fratelli contro fratelli. Tutti loro sono stati fedeli alla parola di monsignor Oscar Arnulfo Romero, amanti della pace e della giustizia, promotori dell’unione della famiglia salvadoregna.

La loro decisa condanna della violenza, che paradossalmente li ha condotti alla morte, è stato il loro ultimo sacrificio per questo Paese. Un sacrificio che ha dato frutto e che ha contribuito a far sì che ora si possa cominciare a costruire una pace duratura, motivo per cui meritano il nostro più grande riconoscimento. Un martirio al quale partecipano due loro collaboratrici, Elba e Celina Ramos.

Si dice che si può uccidere il maestro, ma che i semi lasciati nei suoi discepoli continuano a germogliare e a moltiplicarsi molto oltre la sua morte.

Oggi, come discepolo di questi maestri, vorrei contribuire a far sì che questo seme di pace continui a crescere e che, di fronte alle sfide poste ogni giorno da nuove forme di odio e di violenza, si sia capaci di un altro sguardo, lo sguardo che ci hanno trasmesso questi sacerdoti martiri a cui oggi rendiamo il nostro modesto omaggio.

Uno sguardo di unità, di riconciliazione e di rispetto per la dignità delle vittime del conflitto passato che si può creare solo con la verità. Uno sguardo basato sulla conoscenza e l’accettazione del passato che ci permetta di costruire il futuro, una volta per tutte, su basi solide e certe, in maniera che questo passato non torni a ripetersi.

Vorrei incoraggiare tutti e ciascuno dei salvadoregni e delle salvadoregne che mi ascoltano a percorrere, da oggi, un nuovo cammino che estirpi definitivamente la violenza dai nostri cuori.

Perché il giorno in cui cominceremo a vedere in ogni salvadoregno un fratello, un amico, qualcuno con cui lavorare per costruire, qualcuno con cui condividere, creare e sognare per edificare, quel giorno staremo rendendo un vero omaggio ai gesuiti e al sogno per cui hanno lottato fino all’ultimo momento delle loro vite. Staremo avviando il cambiamento culturale profondo di cui ho parlato, il passo avanti che ci farà crescere.

Oggi, di fronte al ricordo dell’orrore che ha invaso questo Paese nell’apprendere della morte di questi maestri, vorrei ricordare le loro parole di speranza: “Non c’è regresso quando si pongono le mani nel campo arato dal popolo”, ci ha detto Ellacuría. E io vi dico che questo governo, che è il governo di tutti e di ciascuno dei salvadoregni, non toglierà le mani da questo campo arato.

In questo atto, così emotivamente e profondamente significativo, il mio invito è a quella unità per la quale hanno lottato questi uomini, il mio invito a tutti è di attingere da questo campo arato che è il nostro futuro e che solo noi possiamo costruire se ci accettiamo definitivamente come fratelli e sorelle.

Spero che l’ispirazione dei gesuiti mi accompagni nel mio lavoro come Presidente e che il loro ricordo, ora ufficialmente e sempre nel cuore del popolo, continui a guidare il nostro Paese fino ai più alti valori di giustizia, di verità e di umanità.

Prima di concludere desidero, attraverso questo semplice ma giusto atto con cui onoriamo la memoria dei sei sacerdoti gesuiti assassinati 20 anni fa, riconoscere anche il lavoro di accompagnamento alle vittime che hanno condotto in modo umile le loro due collaboratrici, Elba e Celina Ramos.

Che Dio benedica El Salvador. Che Dio benedica il popolo salvadoregno. Grazie.

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