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PICCOLI SEGNI DI SPERANZA

Tratto da: Adista Documenti n° 33 del 24/04/2010

Cari amici,

le notizie non sono incoraggianti. Siamo in stallo. È come se tutto il mondo si muovesse meno noi, come se il calendario scorresse per tutti meno che per noi. Il milione e mezzo di persone che hanno perso la casa nel terremoto continuano a vivere in accampamenti più o meno organizzati e senza speranza di trovare un rifugio più solido durante la stagione delle piogge che è già cominciata.

La costruzione del Paese (gli haitiani dicono che non si può parlare di ricostruzione perché quello che c’era prima non era un vero “Paese”) va per le lunghe. Ancora non sappiamo dove si pianificheranno i nuovi quartieri. Le scuole non sono ricominciate perché bisogna demolire e togliere le macerie prima di fissare le tende e organizzare lezioni all’a-ria aperta. Quando potremo vedere tutto ciò? C’è anche da costruire piazze, chiese, sedi ministeriali, uffici governativi, ospedali, negozi... ma non sappiamo dove.

In mezzo a tutta questa incertezza, la forza e il coraggio del popolo haitiano si rendono ancora una volta evidenti. È un popolo inossidabile. La vita è rinata nelle strade in cui le donne vendono, come prima, cibo, prodotti per la pulizia, candele e tutto l’immaginabile, continuando così a sostenere l’economia familiare, che è più debole di prima. Quando in strada si vede con quanta dignità vestono le persone, si fa fatica a immaginare che escono da un campo di rifugiati. Si rendono visibili i segni di speranza e molti di quanti vogliono contribuire alla costruzione di una nuova Haiti trovano un modo, per quanto fragile, di farlo. Io, grazie a Dio, ho cominciato a trovarlo. 

Vicino alla casa delle Figlie di Gesù, dove ora vivo, c’è un accampamento che accoglie 65mila persone. L’affollamento è spaventoso. Alcune famiglie hanno ottenuto vere tende ma la maggior parte continua a vivere in capanne costruite con quattro rami e grandi teli di cellophane, e per pavimento la terra che con le piogge si trasforma in fango. Questo accampamento si chiama “campo da golf” perché era un vero campo da golf situato tra Delmas e Pétion Ville. Lì andavano a giocare a golf i membri di questo club esclusivo che il 12 gennaio è stato invaso dagli abitanti della zona in fuga dalle loro case e a poco a poco si è riempito di famiglie fino all’invero-simile. All’inizio la situazione era caotica. Oggi sono state montate alcune latrine e alcune docce. E sono disponibili carriole e pale per raccogliere i rifiuti che crescono da tutte le parti. In alcuni punti strategici sono stati installati depositi di acqua potabile. (...). Un gruppo di medici haitiani ha improvvisato un consultorio medico e vi sono alcune altre associazioni haitiane che vogliono aiutare i rifugiati.

Mi sono incontrata varie volte con il responsabile del-l’accampamento e con i direttori di tutte queste piccole organizzazioni. Fin dall’inizio mi hanno chiesto fondi per poter sviluppare le loro attività. Poiché erano associazioni che non conoscevo e che potevano essere tanto oneste quanto corrotte, siamo arrivati a un accordo: io avrei dato loro una formazione perché imparassero a fare progetti (ciò garantisce che siano associazioni serie e controllate) ed essi avrebbero potuto organizzare le attività di cui avessero avuto bisogno. E così abbiamo fatto. (...). È così che posso essere educatrice in mezzo a questo disastro: aiutare la gente ad organizzarsi per conto proprio senza dipendere da aiuti più o meno caritatevoli. (...). 

Il 27 febbraio ci siamo riuniti nel cortile (normalmente ora si fa tutto nei cortili, a volte perché non ci sono case in condizioni sicure e altre volte perché la gente è così traumatizzata che non riesce a entarre in un edificio) delle Missionarie del Cristo Re per celebrare un’eucarestia per le religiose e i religiosi morti. È stata una celebrazione veramente triste. Le comunità sono distrutte. Tanta gente morta, la quasi totalità delle scuole ridotta in macerie e le case delle comunità crollate.

Alla fine della celebrazione si è tenuto un incontro con le religiose e i religiosi che hanno una formazione in psichiatria, psicologia o pedagogia terapeutica. (...). Ci siamo riuniti in 11 e abbiamo costituito una Cellula di Aiuto Psico-sociale. Questa Cellula riceve le richieste di aiuto e offre le persone e le risorse di cui dispone.

Io ho presentato un progetto per lavorare con le bambine e i bambini colpiti, che sono la maggioranza del Paese. (...). Ne è uscito un bel quadernetto di oltre 40 pagine che aiuterà le persone dei diversi luoghi a organizzarsi in Gruppi di Salute mentale. (...). Per avviare il progetto, siamo in contatto con la Pastorale Universitaria che sta lavorando attivamente dall’inizio del disastro. Si deve ad essa, tra altre cose importanti, il recupero dalle macerie della maggior parte dell’archivio dell’arcidiocesi di Port-au-Prince. Il 21 marzo mi hanno chiesto di partecipare alla conclusione di un periodo di terapia e formazione diretto al recupero psicologico della popolazione.

Altre cose si stanno muovendo, a cominciare dalla relazione cordiale tra diversi gruppi della Repubblica Dominicana e di Haiti. Dal 14 gennaio la Conferenza dominicana dei religiosi e delle religiose non ha mai smesso di venire con personale medico e paramedico, medicine e cibo (...). Rappresentanti delle comunità ecclesiali di base della Repubblica Dominicana sono giunte ad Haiti per riunirsi con i compagni di qui. (...). Il 20 marzo si svolge una celebrazione bi-nazionale dell’anniversario dell’assassinio di mons. Romero a Fond Parisien, il paese haitiano più vicino alla frontiera con la Repubblica Dominicana. Possono sembrare cose pic-cole, ma non lo sono. Le relazioni tra i due Paesi sono state pessime dall’indipendenza di Haiti nel 1804: invasioni, persecuzioni, massacri... La Chiesa cattolica di entrambi i Paesi ha preso coscienza del periodo storico in cui viviamo e sta facendo tutto il possibile per avvicinare i due popoli. È un magnifico segno di speranza. (...).

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