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ISRAELE NEL SUO LABIRINTO. NEL CORO DI CRITICHE, ANCHE MOLTE VOCI EBRAICHE

Tratto da: Adista Documenti n° 51 del 19/06/2010

DOC-2270. TEL AVIV-ADISTA. Critiche da tutta la comunità internazionale piovono sul “Golia del Medio Oriente”, come lo scrittore portoghese José Saramago ha definito lo Stato di Israele. Il sanguinoso assalto alla Flotta della Libertà, in cui hanno perso la vita, ufficialmente, nove attivisti, ha riempito di sdegno persino alcuni dei tradizionali amici di Israele. E i risultati delle autopsie - secondo cui le vittime sono state raggiunte da proiettili 9mm, di cui molti sparati a distanza ravvicinata, per un totale di 30 colpi, e cinque di esse sono state colpite alla testa - non hanno certo contribuito ad alleggerire la posizione del governo Netanyahu. Il quale, come se non bastasse, ha respinto ufficialmente la richiesta avanzata dal segretario generale dell'Onu Ban Ki-Moon di un'indagine internazionale indipendente sull'assalto alle navi della Freedom Flotilla.

 

“Il governo ci sta affondando”

Nel coro di critiche molte voci appartengono proprio al mondo ebraico e alla società israeliana. Erano circa 10mila gli israeliani appartenenti ad organizzazioni pacifiste o ai partiti di sinistra che hanno manifestato il 5 giugno a Tel Aviv contro l’attacco in mare alle navi della Freedom Flotilla e alla Rachel Corrie. Non senza momenti di tensione, come quando una granata fumogena è stata lanciata da militanti dell’estrema destra contro il corteo. “Il governo ci sta affondando tutti”, era scritto su uno striscione. “È ora di applicare sanzioni contro Israele”, recitava un altro. Una risposta indiretta a quanto era avvenuto qualche ora prima ad Ashdod, quando una folla composta di famiglie intere, come ha riportato l’agenzia Nena News, si era riunita su di una collina con vista sul porto per seguire la nave “degli amici dei terroristi”, incitando, con cori da stadio, le navi da guerra a sparare ed affondare la Rachel Corrie.

Durissimo e sprezzante è il giudizio espresso nei riguardi della classe dirigente israeliana dal noto giornalista e pacifista israeliano, oggi 86enne, Uri Avnery, fondatore del movimento pacifista Gush Shalom (in lingua ebraica, “il blocco della pace”), più volte oggetto di censure e aggressioni, come quella di cui è stato vittima al termine del corteo del 5 giugno, quando una decina di militanti dell’estrema destra hanno cercato di trascinarlo fuori da un taxi. “Viviamo in una bolla - ha scritto su Rebelión (7/6) -,  una specie di ghetto mentale che ci isola e ci impedisce di vedere un'altra realtà, quella che percepisce il resto del mondo. Uno psichiatra potrebbe ritenerlo il sintomo di un grave problema mentale”.

In Italia, ferma condanna all’azione israeliana è stata espressa da Miriam Marino della Rete Ebrei contro l'Occupazione, in risposta all’articolo di Fiamma Nirenstein sul Giornale - il quale già in prima pagina riportava il titolo shock “Israele ha fatto bene a sparare” - sulla presunta presenza di organizzazioni filo-Hamas nella Flotta della libertà. “Come donna e come ebrea - scrive - non posso accettare e tollerare un simile disprezzo per la verità, per ogni criterio di legalità e di giustizia. Voglio contestualmente esprimere il più profondo dolore per la morte di quegli eroi che hanno dato la vita per la libertà dei nostri fratelli palestinesi, e stringere gli altri pacifisti sequestrati da Israele in un abbraccio di enorme affetto e ammirazione”.

“Si è usata un’altra volta la benzina per spegnere l’incendio, un’altra volta la forza come metodo di risoluzione dei conflitti”, scrivono in un comunicato congiunto due organismi ebraici argentini, la “Convergenza per un ebraismo umanista e pluralista” e la “Federazione di organismi culturali ebraici dell’Argentina:”: azioni come quelle contro la Flotta della Libertà “attentano ai principi fondamentali dell’ebraismo, violano il diritto internazionale e isolano pericolosamente Israele dall’opi-nione pubblica e dalla maggior parte dei governi del mondo, con gravi conseguenze per il suo futuro”. Il cammino della pace, scrivono ancora le due organizzazioni, “è basato sul mutuo riconoscimento degli Stati di Israele e di Palestina e sul di-ritto dei popoli a una vita sicura, che si ottiene per mezzo di negoziati piuttosto che con azioni belliche che provocano solo ulteriore dolore e non servono, come ampiamente dimostrato, a risolvere il conflitto”.

 

Appello alla ragione

Ma ancora prima dell’assalto israeliano alla flottiglia, centinaia di personalità ebraiche europee avevano criticato la politica israeliana degli insediamenti in territorio palestinese, definendola “moralmente e politicamente sbagliata”. In una dichiarazione intitolata “Appello alla ragione”, presentata il 3 maggio scorso a Bruxelles, gli intellettuali sottolineavano come il pericolo per Israele non venga solo da nemici esterni, ma “dall’occupazione e dalla continua espansione delle colonie in Cisgiordania e nei quartieri arabi di Gerusalemme Est, un errore morale e politico che alimenta, inoltre, un processo di crescente, intollerabile delegittimazione di Israele in quanto Stato”. Il futuro di Israele - si legge nell’appello - dipende dalla possibilità di giungere a “un accordo di pace con il popolo palestinese sulla base del principio ‘due popoli, due Stati’. Lo sappiamo tutti, l'urgenza incalza. Presto Israele sarà posta di fronte ad un'alternativa disastrosa: o diventare uno Stato in cui gli ebrei saranno minoritari nel proprio Paese o mantenere un regime che trasformerebbe Israele in uno Stato paria nella comunità internazionale e in un perenne teatro di guerra civile”. In questo senso, “allinearsi in modo acritico alla politica del governo israeliano è pericoloso perché va contro i veri interessi dello Stato d'Israele”. Da qui la necessità di “dare vita a un movimento europeo capace di far intendere a tutti la voce della ragione. Un movimento che si ponga al di sopra delle differenze di parte e di ideologia e che abbia come ambizione la sopravvivenza di Israele in quanto Stato ebraico e democratico, sopravvivenza strettamente legata alla creazione di uno Stato palestinese sovrano e autosufficiente”.

Una dichiarazione, questa, resa ancor più significativa dal fatto che molti dei firmatari si sono sempre distinti per fedeltà incondizionata alle autorità israeliane, dall’ex ambasciatore israeliano a Berlino Avi Primor agli intellettuali francesi Alain Finkielkraut e Bernard Henri Levy. “È un’iniziativa che aspettavamo da anni”, ha sottolineato il fondatore del settimanale Le Nouvel Observateur Jean Daniel, anche lui ebreo, aggiungendo come tale dichiarazione, firmata da oltre 6mila persone, rappresenti “un grido di allarme e una dichiarazione d’amore per Israele”. Cosa che non ha impedito a molti opinionisti e membri di organizzazioni israeliane di definire i firmatari “traditori” ed “ebrei motivati dall’odio contro se stessi”. 

 

È solo l’inizio

Dopo la Freedom Flotilla e la Rachel Corrie si annuncia ora un’ulteriore iniziativa allo scopo di rompere l’embargo illegale di Gaza. Alcune organizzazioni ebraiche in Europa - European Jews for a Just Peace in the Near East e Jews for Justice for Palestinians - intendono infatti alzare le vele verso Gaza nella seconda metà di luglio, con una piccola nave carica di regali da parte di bambini tedeschi, come strumenti musicali e materiale per dipingere, oltre a medicine, attrezzature mediche e per la pesca. Mentre nei prossimi giorni dovrebbe salpare dal porto di Beirut una nave carica di aiuti con a bordo 75 attivisti.

Grande rilevanza, infine, ha assunto l’annuncio della Mezzaluna Rossa iraniana - definito dal governo israeliano una “grave provocazione” - di un invio immediato da parte dell’Iran di tre navi con aiuti umanitari a Gaza: ventimila i volontari che hanno risposto all’appello, decisi a sfidare il blocco navale imposto da Israele.

Di seguito un toccante commento di Mustafa Barghouthi, medico di professione e segretario del progressista Palestinian national iniziative, scritto insieme alla giornalista e cooperante Francesca Borri; un comunicato del Sabeel Center, centro ecumenico di Teologia della Liberazione con sede a Gerusalemme (www.sabeel.org); gli articoli di Uri Avnery e dello scrittore Amos Oz (The Guardian, 2/6) e il comunicato della Rete internazionale ebraica antisionista. (claudia fanti)

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