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BRASILE: VIA LIBERA AL “CODICE DI DEVASTAZIONE FORESTALE”. E INTANTO IN AMAZZONIA CRESCE LA VIOLENZA

Tratto da: Adista Notizie n° 48 del 25/06/2011

36197. BRASILIA-ADISTA. Il 25 maggio scorso non è stato, per il popolo brasiliano, un giorno felice: il Paese, come ha affermato l’ecologista di Greenpeace Paulo Adario, «si è svegliato con la notizia dell’assassinio di due attivisti in Parà ed è andato a dormire con l’assassinio del Codice Forestale».

Approvato alla Camera dei Deputati con 410 voti a favori, 63 contro e un’astensione, il progetto di riforma del Codice Forestale (che risale al 1965) riduce della metà le aree protette lungo le rive dei fiumi, dispensa piccole e medie proprietà dalla riserva legale (l’area all’interno di una proprietà rurale destinata ad assicurare l’uso sostenibile delle risorse naturali: in base all’attuale Codice, tutte le proprietà rurali in Amazzonia, per esempio, devono destinare ad essa l’80% della propria area) e consolida il disboscamento illegale attraverso un’amnistia per quanti hanno disboscato illegalmente fino al luglio del 2008, spianando la strada all’ulteriore sviluppo di pratiche estrattiviste e agricole devastanti per l’ambiente.

Non è bastato a dissuadere i deputati l’annuncio, appena pochi giorni prima dell’approvazione del progetto, di un drastico aumento del disboscamento in Amazzonia (soprattutto nella regione del Mato Grosso, il centro della produzione di soia), che ha spinto il governo, persuaso che il fenomeno sia legato anche all’aspettativa dell’amnistia, a creare un’apposita unità di crisi. E tanto meno ha prodotto un ripensamento la notizia, giunta appena poche ore prima della votazione, dell’assassinio  di Ribeiro da Silva e di sua moglie Maria do Espirito Santo nella riserva naturale di Praihalta-Piranheira (un modello di insediamento sostenibile diretto ad assicurare il sostentamento delle famiglie di piccoli agricoltori senza devastare la foresta), dove la coppia, già ripetutamente minacciata di morte e ciononostante lasciata senza protezione,  viveva e lavorava da più di ventiquattro anni, lottando contro l’abbattimento illegale degli alberi. Ma in Amazzonia, in soli dieci giorni, gli omicidi sono stati addirittura cinque: il 29 maggio è stato ritrovato il corpo di Heremilton Pereira dos Santos, 25 anni, che abitava nello stesso insediamento di Praihalta-Piranheira (forse eliminato perché era stato testimone dell’omicidio della coppia); il 27 maggio è stato assassinato in Rondônia Adelino Ramos: era uno dei sopravvissuti al massacro di Corumbiara (1995) e anche lui denunciava l’attività dei mercanti di legname; il 3 giugno Marcos Gomes da Silva, 33 anni, è stato ucciso a colpi di fucile di fronte alla moglie e altri tre testimoni, da due uomini incappucciati, nella zona rurale di Eldorado dos Carajás. Dal 1985 al 2010, la Commissione Pastorale della Terra ha registrato 1.580 persone uccise nei campi. Quanto agli assassini, ne sono stati condannati appena 94, 21 mandanti e 73 esecutori. E solo uno dei mandanti si trova in carcere, Vitalmiro Bastos de Moura, responsabile della morte di suor Dorothy Stang, uccisa in Parà nel 2005. «La violenza – ha affermato il dirigente del Movimento dei Senza Terra Ulisses Manaças – è nel dna della struttura fondiaria brasiliana. Solo la democratizzazione dell’accesso alla terra e ai beni naturali ridurrà la violenza nelle campagne». Per questo, come ha scritto Frei Betto (Adital, 6/6), «più che di un Codice Forestale il Brasile ha bisogno urgente di una riforma agraria. È grave che questo tema sia assente dall’agenda del Congresso. Siamo una nazione di dimensioni continentali, con risorse naturali inestimabili e ineguagliabili e tuttavia conviviamo con la tragedia di circa 4 milioni di famiglie espulse dalle loro terre».

 

L’amico comunista dei latifondisti

Sorprende, inoltre, che il padre del progetto di riforma ribattezzato dagli ecologisti “Codice di Devastazione Forestale” sia un deputato del Partido Comunista do Brasil (PCdoB), Aldo Rebelo, peraltro già relatore, nel 2003, della legge sulla biosicurezza (quella che ha regolarizzato la ricerca e la produzione di organismi geneticamente modificati), il quale non ha esitato a collaborare niente di meno che con la senatrice Katia Abreu, presidente della potente Confederazione Nazionale di Agricoltura e Allevamento, organismo che difende gli interessi dell’agrobusiness.

Secondo Rebelo, convinto di agire in nome degli “interessi nazionali” contro le pretese delle Ong, il nuovo Codice riuscirebbe ad equilibrare la difesa delle foreste con la produzione agricola. In realtà, come ha evidenziato il sociologo Eduardo d’Albergaria (Correio da Cidadania, 26/5), «non è possibile rispondere agli interessi dei ruralisti (che egli chiama disonestamente “produttori”) senza mettere le mani sui territori oggi occupati dalle foreste, da aree di protezione permanente e da riserve legali».

La discussione si sposta ora al Senato, dove è probabile che il provvedimento subirà alcune modifiche – la presidente Dilma Rousseff ha già annunciato che non esiterà a esercitare il diritto di veto se l’amnistia non verrà eliminata – per quanto Rebelo si sia comunque detto sicuro che la versione finale sarà simile a quella approvata dai deputati il 24 maggio. Ma nel frattempo si mobilita la società civile (secondo i sondaggi l’80% della popolazione è contraria al progetto di riforma), con il lancio, il 7 giugno scorso, del Comitato in Difesa delle Foreste e dello Sviluppo Sostenibile, di cui fanno parte, tra gli altri, Via Campesina, l’Ordine degli Avvocati, il Consiglio nazionale delle Chiese cristiane del Brasile e la Conferenza dei vescovi brasiliani, che già, nell’agosto del 2010, si era opposta con forza al progetto di riforma con una nota del Consiglio Episcopale di Pastorale e che era tornata a criticare il progetto durante la Campagna di Fraternità del 2011, dedicata al tema ambientale.

Se «il destino del Brasile è quello di diventare una potenza mondiale», evidenzia il Comitato nel suo Manifesto, ciò è possibile solo in virtù del suo «ambiente diversificato», specialmente in un tempo in cui l’accesso all’acqua è diventato «una necessità più strategica del possesso di petrolio». E l’acqua dipende dalle foreste, così come dipende dalle foreste la qualità del suolo necessaria alla produzione di alimenti, senza contare la loro fondamentale importanza per l’equilibrio climatico, «obiettivo di tutte le nazioni del pianeta». Tutto può essere allora «riassunto in una frase: usiamo, sì, le nostre risorse naturali, ma in maniera sostenibile. Ossia, con le conoscenze, le attenzioni e le tecniche che evitino la sua distruzione pura e semplice». (claudia fanti)

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