Nessun articolo nel carrello

La modestia della verità

- Passato, presente e futuro delle religioni in un’intervista a Olivier Abel, filosofo, docente alla Facoltà di Teologia protestante di Parigi

Tratto da: Adista Contesti n° 8 del 03/03/2012

Tratto dalla rivista della federazione francese di movimenti di riforma della chiesa Les Réseaux du Parvis (n. 53). Titolo originale: L’Évangile au rythme des hommes

Cosa pensa del sovvertimento delle forme tradizionali del protestantesimo da parte delle Chiese evangeliche pentecostali che stanno fiorendo ovunque?

Queste Chiese rimandano alle difficoltà derivanti dalla precarizzazione che tutti conosciamo. Il mondo è scosso da una profonda trasformazione delle strutture e delle ideologie economiche, politiche e culturali. Tutte le istituzioni sono coinvolte, e specialmente le grandi Chiese troppo abituate a immaginarsi inalterabili. Alla mercè di questi cambiamenti, gli individui sono tanto più destabilizzati quanto più sono socialmente fragili. La religione appare allora, alle persone e alle fasce sociali più deboli, come un’ancora di salvezza, come un rifugio capace di difenderle. Ridotta a questa sua forma più elementare, sganciata dal passato e veicolata dalle emozioni del presente, questa offerta religiosa risponde alle mancanze che affliggono i poveri, offrendo loro consolazione e solidarietà in un quadro comunitario molto strutturato. L’ho notato in Brasile, in Congo e in Corea, ma la stessa cosa avviene da noi nelle comunità etnico-religiose delle nostre periferie e, più in generale, negli ambienti più svantaggiati. Direi che si tratta di una religione di naufraghi, reduci, di una religione che merita di essere rispettata a questo titolo a dispetto delle sue carenze e dei suoi frequenti eccessi.

Questa corrente religiosa vuole sostituirsi alle Chiese tradizionali? Sarebbe un errore concederle il monopolio del Vangelo e minimizzare ciò che il protestantesimo storico – così come il cattolicesimo – puòo e deve ancora apportare al cristianesimo. Determinate dalle urgenze dei loro fedeli, queste nuove Chiese non hanno le risorse necessarie per trovare il loro posto nel mondo né per raggiungere la stabilità necessaria a una trasmissione durevole del messaggio evangelico. Fragili zattere sovraccariche di disperati, hanno bisogno di essere aiutate per creare luoghi abitabili nel tempo. Il fatto che le loro tendenze carismatiche si traducano spesso in fondamentalismo mette in evidenza la precarietà contro la quale si battono senza riuscire a superarla. Senza radici di fronte alle fluttuazioni del mondo, stivano i loro neofiti e rinascono come dottrine inaffondabili come salvagenti. Le grandi Chiese hanno qui un ruolo fondamentale da svolgere condividendo ciò che ha permesso loro di attraversare i secoli. La fede è una verità intrecciata alla storia e ciononostante sempre da cercare, sotto la guida di istituzioni che organizzano questa ricerca facendo riferimento al cammino già percorso e lasciando spazio ai dibattiti suscitati da ogni novità.

Ma dove sono le grandi Chiese nel nostro mondo secolarizzato e pluralista, tra la cristianità scomparsa e un futuro emancipato dalla religione?

Mi rifarei al pensatore protestante Ernst Troeltsch (morto nel 1923), filosofo, teologo e sociologo tedesco vicino a Max Weber, che ha lungamente analizzato l’evoluzione delle religioni nella modernità. Egli distingue tre tipi di Chiesa: la setta che divide, l’organizzazione che unisce e dà il suo volto tradizionale alla religione e la forma mistica che si realizza al di là delle appartenenze istituzionalizzate. Queste tre modalità possono succedere l’una all’altra nel percorso della società così come degli individui, ma può accadere anche che coabitino nel flusso e riflusso della vita personale e collettiva, e non senza paradossi. In generale, gli inizi si caratterizzano per un movimento di rottura, di separazione e di forte rivendicazione identitaria. Viene poi il momento di consolidare l’organizzazione religiosa come istituzione capace di condividere i suoi valori e di trasmetterli al mondo. E, per finire, sopraggiunge un’esperienza più grande che è di ordine mistico, che fa a meno delle istituzioni e che sfocia nel superamento di tutte le divisioni. La protesta iniziale e gli sviluppi che ne conseguono si dissolvono nella comunione. Ci sono stelle nascenti, stelle allo zenit della loro parabola, stelle che muoiono e si polverizzano nel cosmo: così è il destino delle religioni.

Tendo a pensare che in Occidente la religione morirà. Ma, lungi dal rattristarmi, e rendermi pessimista, questa prospettiva mi ispira gratitudine e moltiplica la mia speranza. La fine delle Chiese nelle loro forme attuali può significare che esse sono arrivate al termine della loro missione, che ci si può e ci si deve rallegrare del contributo che sono riuscite a dare al mondo, e che è bello vederle sparire per lasciare spazio a nuove forme di vita spirituale. Niente è perduto nell’economia misteriosa della creazione e della storia: anche i fallimenti possono rivelarsi prodigiose semine. Se impariamo dalle onde degli oceani l’umile semplicità che presiede al loro susseguirsi, molte cose ci sembreranno meno tragiche!

Ma, direte voi, cosa significa concretamente tutto questo? Sappiamo tutti di parrocchie che muoiono chiudendosi ostinatamente su forme ereditate dalla religione, che soffocano la vita volendo conservarla sotto l’autorità degli anziani che usurpano il posto ai giovani. La sovversione evangelica ci invita a liberare queste parrocchie e le nostre Chiese dalle loro ossessioni di sopravvivenza, a liberare le coscienze e le strutture per aprirle allo Spirito che non è mai a corto di proposte innovatrici.

Se la religione sta per morire nelle sue forme antiche, quali sono le conversioni che è auspicabile porre in essere nelle Chiese per preparare il futuro?

A rischio di sembrare paradossale, direi innanzitutto che il protestantesimo dovrebbe ricominciare dalla radicalità antireligiosa delle intuizioni all’origine della Riforma. Rifiutando l’infantilizzazione che affligge la religione per avere fedeli sottomessi, i riformatori del XVI secolo hanno risolutamente voluto educare il popolo, insegnargli a leggere la Bibbia per donargli l’accesso all’autonomia della coscienza. Nonostante il nostro rapporto con la morte ipotechi la nostra vita e perverta la nostra pietà sotto l’influenza persistente dei timori pagani, Calvino non si è preoccupato della sua salvezza e ha chiesto che il suo cadavere fosse gettato nella fossa comune, avvolto in un manto privo di qualsiasi segno distintivo. Alla grazia di Dio… In pratica però poi il protestantesimo ha sostituito il primato del peccato alla supremazia della grazia, e ridotto la fede a livello delle opere coltivando la preoccupazione individuale e ossessiva della condanna e della salvezza. Quante promesse non mantenute, quante ricchezze sepolte sotto i sedimenti della storia! Ma è chiaro che il futuro non si legge nel passato e dobbiamo oggi rispondere a questioni che non si sono poste né a Gesù, né a Francesco d’Assisi, né ai protagonisti delle riforme del XVI secolo.

Mi rifarei qui alla questione cruciale della verità che l’ermeneutica moderna rinnova con successo. Dopo che la teologia ha per lungo tempo rivendicato il privilegio esclusivo di enunciare il vero, la competizione sopravvenuta tra la scienza e la religione in epoca rinascimentale ha avuto conseguenze disastrose che bisogna superare subito per scorgere la misteriosa ricchezza dei testi. Qui come altrove, la via del Vangelo è quella della rinuncia alle garanzie e dell’umile ricerca.

Quando i miei studenti rilevano gli scarti che distinguono e a volte oppongono i testi biblici, quando scoprono che la comprensione del mondo e la visione di Dio variano considerevolmente secondo gli scritti detti normativi, realizzano che la verità si rivela per queste sfaccettature, straripando da ogni schema, anche dal canone delle Scritture.

Così è dato loro il potere di meravigliarsi di una verità più grande di tutti i saperi – che ingloba il passato, il presente e anticipa il futuro – e di accedere anche a un rapporto con la verità che apre alla speranza. Questo orizzonte è agli antipodi dei fondamentalismi che, sempre e ovunque, minacciano la religione e tentano le Chiese. Dobbiamo riconoscere la nostra condizione plurale e ammetterne le conseguenze fino in fondo, l’inquietante e feconda alterità.

Altra dimensione importante della religione, i riti sollevano problemi più difficili da risolvere che questi, prima di tutto teorici, riguardanti la verità. Costituiscono brandelli di linguaggio che rivelano l’infanzia sepolta nel profondo di ciascuno – abitudini affettive fortemente impresse, ricordi tanto inafferrabili quanto pregnanti di atmosfere, gesti, musiche, odori… L’individuo che si vuole completamente emancipato al riguardo nega e reprime una parte essenziale di se stesso. Al contrario, colui che si compiace nei ricordi della sua infanzia al punto da impantanarcisi si condanna a non poter mai accedere alla sua libertà. Ma perché non è possibile inventare vie rispettose delle esigenze moderne dell’adulto responsabile senza per questo negare la parte infantile che ha segnato le origini? La complessità di queste questioni invita alla modestia e al pragmatismo: non conta che ciò che permette a ognuno di vivere la propria fede nello spirito e in verità senza dimenticare la condivisione. Questa constatazione mi porta a raccomandare una distanza dai culti classici a vantaggio di altre forme di incontro da inventare, e il riconoscimento ufficiale della doppia appartenenza confessionale dei fedeli protestanti e cattolici in maniera tale da favorire il superamento delle divisioni attuali.

Non è cercando di cambiare il mondo in nome del Vangelo che i cristiani cambieranno le loro Chiese e realizzeranno il cristianesimo di domani? 

Sì, il nostro rapporto con il mondo deve diventare la priorità. E si impone immediatamente una constatazione radicale e universale: non siamo che degli umani, non degli dei, viviamo in mondo fragile al ritmo di una storia che porta via con sé tutto per creare costantemente del nuovo nel solco dell’antico. Dobbiamo accettare la nostra vulnerabilità e quella della natura, riconoscere il carattere fugace delle nostre esistenze e delle nostre istituzioni. Ma la constatazione che ogni vita è effimera la rende particolarmente preziosa e interpella la nostra responsabilità: dobbiamo proteggerci gli uni gli altri, proteggere il nostro patrimonio comune e rispettare le regole che ci permettono di vivere insieme. Di fronte alla mercificazione che distrugge la natura e esacerba la violenza tra esseri umani, bisogna urgentemente trasformare i nostri stili di consumo. Dobbiamo cambiare le nostre abitudini alimentari, i nostri comportamenti, e non solo per ragioni economiche, ma per diventare più umani e per umanizzare tutta la creazione e salvaguardare la vita.

Denunciando i falsi dei e l’idolatria, il Vangelo prescrive tre grandi rotture che sono in grado di liberare l’uomo contemporaneo dall’alienazione: rompere con i sogni di potere, con la compulsione alla proprietà e con quella che io chiamo la compiacenza culturale. Quando Gesù dice «Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio», riconosce al campo politico un’autonomia legittima ma soprattutto spezza ogni visione teocratica. Nessun potere umano si può identificare con il potere divino, nessuna istanza politica si può sostituire a Dio per esercitare la violenza in suo nome e farsi adorare. Ma il nuovo vello d’oro che schiavizza oggi l’umanità è eretto dalla religione del mercato. Contro di essa non è sufficiente dichiararsi anticapitalista: bisogna battersi per porre effettivamente l’essere umano al centro delle preoccupazioni sociali e politiche e essere pronti a pagarne il prezzo. «Nessun senza tetto per strada!»: perché rimandare, invocandone i costi, un impegno così imperativo che potrebbe avere una portata esemplare e dare impulso ad altre iniziative?

In terzo luogo, direi che bisogna rompere con il conformismo mortifero che soffoca la nostra società. Con gli artisti e i poeti che aprono brecce nei muri della buona creanza dischiudendosi all’inedito e al futuro, bisogna ritrovare la parola e ridarla alla gente, osare lo scandalo arrischiandosi su percorsi inediti. Come scriveva Emerson: «Fuggo padre e madre, donna e fratello quando il mio genio mi chiama. Scriverei volentieri sull’architrave della porta di entrata: "Capriccio". Spero almeno che sia qualcosa di meglio di un capriccio, ma non possiamo passare la giornata in spiegazioni».

In fondo, e senza in alcun modo negare la tragicità della vita, l’immensa sofferenza degli esseri umani e la crudeltà dei loro fallimenti, io credo sia sano percepire il mondo come un teatro in cui la comicità delle nostre pretese e dei nostri quiproquo ci invita all’umiltà. Che sappiamo e che possiamo sapere dell’assoluto e dell’eterno? Come possiamo imporre qualcosa agli altri in nome di Dio? Passiamo il nostro tempo a parlare di cose di cui ignoriamo l’essenziale, a appropriarci di poteri che non ci appartengono, a contraddirci nella nostra esistenza e con gli altri. Significa che tutto deve essere relativizzato? Assolutamente no, ed è l’esatto contrario di quanto ci insegna tutto questo. È perché abbiamo la vocazione a camminare nella verità che dobbiamo rispettarla e rinunciare a mascherarla in forme codificate per usarla ai nostri scopi. È perché le istituzioni costituiscono l’indispensabile quadro della nostra esistenza personale e collettiva che è necessario prendercene cura senza negare la loro fragilità e la loro natura transitoria, ma senza farne neanche degli strumenti di dominio. La Parola, tra gli esseri umani, ha preso differenti forme di vita, e se c’è un tempo per protestare, resistere, dissentire, organizzare campeggi nella notte, c’è anche un tempo per costruire spazi di accoglienza per le nostre comunità, adatti a fornire una cornice a successive reinterpretazione del Vangelo e c’è, infine, anche un tempo per dissolversi affinché il mondo possa continuare a rinascere.

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.