Marino, sindaco laico e antifascista
Tratto da: Adista Notizie n° 23 del 22/06/2013
I risultati delle elezioni amministrative offrono ampi margini per valutazioni che, per la prima volta, non lasciano spazio a interpretazioni polemiche. Almeno due dati sono inoppugnabili: l’alto astensionismo e il “cappotto” fuori stagione fatto alla destra con l’elezione di 16 sindaci su 16 targati Pd in tutte le città significative. Detto questo, si possono fare alcune considerazioni più specifiche. Ci si può interrogare, come fa Lidia Menapace nella sua mailing list, per «sapere se l'astensionismo è stato prevalentemente femminile e se il voto al Pd è solo frutto di candidature decenti, dato che sono riusciti bene soprattutto candidati non allineati». Si può azzardare, come fa Angela Mauro, notista politica dell’edizione italiana dell’Huffington Post, che «questo turno elettorale lancia in pista il “Pd dei territori”. Vale a dire quell’asse ideale che va da Serracchiani a Marino, Nicola Zingaretti, i romani Goffredo Bettini, Michele Meta, uniti nel rivendicare che stavolta ha vinto “l’innovazione, una nuova classe dirigente”». Ilvo Diamanti su la Repubblica può ben affermare che «la Seconda Repubblica è finita» e che è questo «il senso "politico" di questa consultazione».Può quindi essere legittimo tentare di dare una risposta a un interrogativo, fin qui non emerso, sulla consapevolezza che Marino ha di essere diventato sindaco della città sede del papa, della Curia, di oltre 300 parrocchie, di una efficiente Caritas radicata sul territorio, di tante scuole e cliniche cattoliche, e nella quale, infine, è ancora forte il «“partito romano”, quel coacervo trasversale che da sempre nella Capitale unisce alta burocrazia capitolina e imprenditori del mattone, Vaticano e clientele di sinistra, di destra e tardo democristiane», di cui scrive Fabio Martini sul Fatto quotidiano. Forse elementi per rispondere possono trovarsi nel suo primo discorso da sindaco. La Roma che ha detto di volere è «una capitale che riprenda il ruolo internazionale che la storia le assegna, una città in cui si premi il merito e che non si dimentichi un solo istante chi è rimasto indietro. La solidarietà, valore del centrosinistra, ha vinto». Nessun richiamo alla Roma “cattolica” di cui sopra.Anche la solidarietà non l’ha connotata come valore cristiano (del resto, che non lo sia lo ha affermato recentemente anche papa Francesco su Twitter), ma come «valore culturale del centrosinistra». Non c’è, neppure un riferimento ai valori irrinunciabili sulla cui difesa lo avevano provocato i cattolici promotori del “Manifesto per il Campidoglio” pubblicato da Avvenire a pochi giorni dal ballottaggio, con grande rilievo a testimoniare la sua autorevolezza, per chiedere ai due candidati «di esprimersi con chiarezza su alcune questioni particolarmente significative che stanno a cuore ai cattolici». Sono le questioni di sempre: finanziamenti alle scuole cattoliche, istituzione di registri per i testamenti biologici e per le unioni civili omosessuali.Marino non aveva risposto neppure ad una seconda sollecitazione, a differenza di Alemanno, che lo aveva immediatamente fatto ricordando in proposito i meriti della sua amministrazione e consentendo ad altri cattolici romani di intitolare un loro comunicato di aperto dissenso nei confronti di quel Manifesto: “Alemanno si candida come uomo di fiducia della Curia”. La sua clamorosa sconfitta si può quindi leggere anche come la fine del valore elettorale del “voto cattolico”. L’appello ad esso non gli ha giovato, come insufficiente è stato il sostegno di quei “camerati” fascisti al suo fianco da quando, appena eletto, lo avevano accompagnato inneggiando saluti romani sulla piazza del Campidoglio a marcarne l’occupazione.Marino non è andato sulla piazza, come pure chiedevano i suoi sostenitori. Le Istituzioni si servono non si occupano a proprio vantaggio.C’è da sperare che per il Comune di Roma si sia aperta una fase di gestione laica e antifascista.
* delle Comunità Cristiane di Base
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