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A proposito del fine vita

Tratto da: Adista Documenti n° 24 del 29/06/2013

Il Sinodo non ha l’ambizione di dare consegne, né di pronunciare una parola definitiva su una questione che tocca la sfera ultima e più intima di ogni vita. Ci rifiutiamo di pensare che, dinanzi alla malattia, alla sofferenza e alla morte, ci possa essere un quadro rigido che definisca che cos’è la dignità, la libertà individuale o la responsabilità collettiva. Ma osiamo umilmente ricordare la convinzione alla base della fede cristiana: è lo sguardo che Dio posa su ogni vita a conferirle la sua dignità, la sua libertà e la sua responsabilità. E noi crediamo che la vocazione delle Chiese sia innanzitutto quella di accompagnare discretamente e rispettosamente tutte queste situazioni personali e uniche.


PREAMBOLO

La Chiesa protestante unita di Francia è plurale. In materia di etica, gli approcci sono diversi. Non c’è un’unica etica protestante. Ci sforziamo di articolare questioni contemporanee a proposito del fine vita alla luce delle Scritture bibliche e delle convinzioni teologiche sulle quali si fondano gli orientamenti etici del protestantesimo luterano-riformato. Questo vale in particolare per ciò che concerne il senso della vita: per noi, la vita è dono di Dio, ma acquista il suo pieno significato nel quadro relazionale nel quale si inscrive. Le seguenti riflessioni si richiamano alla responsabilità personale, all’interno di una cultura del dibattito. I riferimenti e le risorse che una persona può trovare nella fede riguardano potenzialmente tutti gli esseri umani, ma essi sono liberi di non aderirvi. La risposta di un soggetto di fronte al suo Dio non può essere di riferimento per la moltitudine che non condivide questa fede.Tale dibattito non deve mai ridursi allo scambio di argomentazioni, né a un confronto tra concezioni filosofiche o religiose. Stiamo parlando di esseri umani in fin di vita, delle loro famiglie, delle persone che li circondano, di quanti hanno una responsabilità medica o paramedica, e della possibilità di ciascuno di restare «vivo fino alla morte». Tali questioni universali non sono mai avulse dalle singole situazioni, dalle scelte individuali e dal loro impatto collettivo sul piano sociale, economico, morale, giuridico, ecc.


UNA DIGNITÀ INTESA IN MODI DIVERSI

Il termine dignità è centrale nell’attuale dibattito sul fine vita. Insistere su una vita degna e su un fine vita degno può però avere differenti significati. Innanzitutto la dignità della persona può essere soggettivamente considerata in relazione alla libertà dell’essere umano davanti a Dio e alla sua autonomia. Questo modo di intenderla insiste sul rispetto delle scelte di vita del soggetto, compresa quella di decidere, eventualmente, della propria morte. È lo sguardo che il soggetto ha su di sé che conta e non quello degli altri.Ma questa dignità comporta anche una dimensione esterna, intrinseca e innata quanto la vita. La dignità di ogni essere umano permane indipendente dal suo sguardo e da quello degli altri. Si tratta allora, per i credenti, della possibilità di abbandonarsi in maniera cosciente e volontaria all’amore di Dio. In questa prospettiva, l’umanità e la dignità di una persona non dipendono che dall’accoglienza divina, dunque dalla grazia di Dio.La dignità infine può concepirsi senza riferimento alcuno alla trascendenza, ma al contrario essere considerata come inerente alla persona, singola, che può darne la propria definizione.


PER UNA MEDICINA CHE ACCOMPAGNA

La proposta che una «persona maggiorenne in fase avanzata o terminale di una malattia incurabile» possa richiedere di «beneficiare di assistenza medica per terminare la sua vita degnamente» tenta di rispondere a situazioni eccezionali di sofferenza insopportabile che, in assenza di qualsiasi legislazione, sono ancora demandate a pratiche letali nella clandestinità e nella solitudine. Questa proposta mira a dare un nuovo diritto ai cittadini, affinché possano esercitare le proprie scelte in merito al fine vita. Nel concreto si tratta della possibilità di prendere in considerazione, in questi casi particolari, un aiuto attivo per accelerare il processo della fine della vita.Ma questo, parallelamente, significa che la società tutta intera deve vigilare affinché la missione della medicina non si riduca alla guarigione o alla performance, né tanto meno alla contabilità e all’economia. Si tratta di promuovere una medicina che accompagni, che ascolti, che offra conforto per privilegiare prima di tutto la qualità della vita, anche a costo di abbreviarne la durata.


LE OPZIONI LEGALI, I LORO LIMITI, LE QUESTIONI APERTE

Ma come fare per non lasciar semplicemente vivere, né lasciar semplicemente morire, una persona in fin di vita che richiede espressamente un aiuto passibile di accelerare la sua morte? Tre risposte sembrano possibili. La prima incontra un consenso generale, le seguenti due, invece, si escludono a vicenda:

a. Mettere davvero in pratica le leggi insufficientemente applicate, in particolare il divieto di accanimento terapeutico. Sviluppare l’accesso alle cure palliative, che vanno privilegiate ben al di là delle situazioni di fine vita, sempre infinitamente differenti e complesse. Dare uno spazio fondamentale alla pratica della cura, dell’ascolto, dell’accompagnamento, come pure alla formazione, in particolare di medici e personale ospedaliero.

Perché queste leggi vengono ignorate? Più in generale, un testo di legge è in grado di offrire risposte sufficienti di fronte alle particolari situazioni che ogni giorno vengono a crearsi?

b. Rifiutare il principio di una nuova legge per ragioni etiche, considerando il gesto che accelera il sopraggiungere della morte come la trasgressione di un divieto e facendo appello alla vita e alla solidarietà. In effetti, la persona umana non vive e non si concepisce che nella relazione e nella dipendenza con l’altro.Ma questa risposta non è idealista, astratta? Dinanzi a tali situazioni, ci si può limitare a posizioni di principio?

Rifiutare ogni dispositivo legale che permetta di rispondere alla domanda di assistenza medica per porre termine alla propria vita non significherebbe volgere le spalle al nostro prossimo più sfortunato?

 c. Aderire al principio di una nuova legge che autorizzi ad accelerare il sopraggiungere della morte per rispondere a una situazione eccezionale, che riguarda un adulto responsabile, libero, cosciente, affetto da una malattia incurabile in fase molto avanzata o terminale, che ne faccia domanda. Ipotesi che richiederebbe una riflessione approfondita sulle condizioni di realizzazione (raccolta del consenso o espressione della volontà del paziente, discussione collegiale, modalità di messa in pratica) e che si farebbe carico di rispondere alla domanda di aiuto del «più piccolo dei nostri fratelli» sottoposto alla prova di una sofferenza che non può essere alleviata da alcuna cura palliativa.

Tuttavia una nuova legge nel campo del fine vita sarà meglio applicata delle precedenti? Una legge che depenalizzi eutanasia o suicidio assistito in situazioni precise non potrebbe avere come conseguenza la richiesta di estendere tale possibilità a situazioni inizialmente non previste?


IL RISCHIO DELLA LIBERTÀ

La legge è fatta per proteggere i più deboli. Deve offrire uno spazio affinché possa esprimersi la libertà di coscienza del soggetto, assumendo la sua singola scelta, in rapporto con agli altri e con la società. Si tratta di accettare che non tutti condividono un medesimo punto di vista e che tutti possano accedere a un fine vita che considerino «degno».La questione si pone dunque nei termini di una legislazione che non dovrebbe essere troppo precisa, ma sufficientemente stringente per evitare derive, al fine di permettere a ognuno di esercitare la sua responsabilità in coscienza. «Noi non possiamo agire in modo responsabile e storico che nell’ignoranza ultima del nostro bene e del nostro male, cioè nella dipendenza dalla grazia». In effetti, abbreviare la propria esistenza riguarda la grazia e non la legge. L’azione responsabile costituisce un rischio liberamente scelto, non è giustificata da alcuna legge, rinuncia a ogni autogiustificazione valida e a una conoscenza ultima del bene e del male. La rappresentazione della dignità umana ha conseguenze sulle singole scelte di ognuno. Ma in nessun caso questa scelta, quale che sia, altera la dignità inalienabile di ciascun essere umano.


LA RESPONSABILITÀ DELLE CHIESE

Quali che siano le sue scelte e la sua decisione, ogni essere umano dovrebbe poter beneficiare di un accompagnamento, specialmente da parte delle Chiese. Il loro ruolo sarà di contribuire allo sviluppo della solidarietà e dell’accompagnamento delle persone in fin di vita e delle loro famiglie. In effetti, nella vecchiaia o in punto di morte, la presenza dei più prossimi e specialmente della famiglia è fondamentale e dovrebbe essere sostenuta. Le Chiese potrebbero anche promuovere un clima di fiducia tra medico e paziente, senza limitarsi a una dichiarazione di intenti ma attraverso un impegno pratico, da una parte nelle istituzioni, in particolare nella formazione, dall’altra nelle comunità locali direttamente toccate da queste situazioni di disagio umano.

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