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ARGENTINA: AL VIA IL PROCESSO PER L’ASSASSINIO DI MONS. ANGELELLI, MARTIRE DELLA LOTTA ALLA DITTATURA

Tratto da: Adista Notizie n° 40 del 16/11/2013

37383. LA RIOJA-ADISTA. Nello stesso giorno in cui veniva scoperto l’archivio degli atti originali della dittatura (v. notizia precedente), in Argentina si è aperto il processo a Luciano Benjamín Menéndez e Luis Estrella per l’omicidio del vescovo di La Rioja, mons. Angelelli, avvenuto il 4 agosto del 1976 quando la vettura del vescovo, a seguito di uno scontro con un’altra automobile, uscì di strada e si ribaltò. Arturo Pinto, che accompagnava Angelelli, raccontò che, quando si riebbe dallo stato di incoscienza procuratogli dalle serie ferite, si accorse che il vescovo, ormai senza vita, aveva gravi e singolari lesioni alla nuca. Altri testimoni affermarono di aver visto gli occupanti della macchina scendere e sparare alla nuca di Angelelli. L’autopsia ripetuta sui resti di Angelelli nel 2009, su richiesta della Suprema Corte di Giustizia, stabilì che «la causa della morte è in relazione diretta con le fratture multiple al cranio», il quale presentava un avvallamento nella parte occipitale e significativi frammenti ossei penetrati diffusamente nel cervello. Ferite compatibili con un forte impatto procurato da un corpo contundente. L’autopsia non accreditò però che fu di pistola il colpo che uccise il vescovo.

Mons. Angelelli, ricordiamo, tornava da una messa officiata in memoria di due sacerdoti della sua diocesi, assassinati qualche tempo prima: Carlos Murias e Gabriel Longueville. Gli stessi Luis Estrella e Menéndez, ora alla sbarra per l’omicidio Angelelli (insieme al poliziotto Domingo Pinto), a dicembre del 2012 sono stati riconosciuti colpevoli dell’omicidio dei due sacerdoti e condannati all’ergastolo.

La versione dell’incidente automobilistico, certificata dal governo, fu subito e per anni accettata dalla gerarchia ecclesiastica argentina. Ne dubitò invece perfino L’Osservatore Romano che annunciò la morte del vescovo di La Rioja «in un misterioso incidente automobilistico».

«La complicità passiva e attiva della gerarchia ecclesiastica è inoccultabile», commenta il quotidiano argentino Página 12 (6/11), sicuramente per il silenzio mantenuto sull’evento. «Il 18 agosto – ricorda il quotidiano – si riunì la Commissione esecutiva dell’episcopato ed emise un comunicato di “fraterna solidarietà” con il vescovo Vicente Zazpe, arrestato in Ecuador il 12 agosto durante una riunione di cristiani latinoamericani. Neanche una parola sulla morte di Angelelli, avvenuta quattordici giorni prima».

Un atteggiamento, quello del silenzio, coltivato ancora, per lo meno nella diocesi che fu di Angelelli. Il «vescovo [mons. Marcelo Daniel Colombo] e i preti de La Rioja» hanno emesso il 30 ottobre scorso un comunicato intitolato “A 30 anni dal ritorno della democrazia”, giustamente celebrando quell’ottobre del 1983. Intanto in esso non vi è il benché minimo accenno alla situazione precedente quel “ritorno”, mai è citata la parola “dittatura”. Vi si legge, in apertura: «Come cittadini e pastori della nostra Chiesa riojana rendiamo grazie al Signore per i 30 anni di vita in democrazia»; «crediamo che essa esprima molti dei valori del Regno di Dio, inaugurato e predicato da Gesù. Ci sentiamo orgogliosi di vedere che il nostro popolo si coinvolga nella partecipazione ad essa». Ma sorprendentemente non è mai nominato Angelelli, il più famoso fra i vescovi storici della diocesi, malgrado fosse noto l’avvio, di lì a quattro giorni, del processo per il suo assassinio e malgrado fu martirizzato proprio da quella dittatura di cui, dal momento che si esalta la democrazia ormai trentennale, si celebra evidentemente la fine (per inciso, finora l’episcopato argentino non ha emanato documenti sull’anniversario della democrazia: vedremo alla chiusura dell’Assemblea generale che si sta svolgendo in questi giorni, dal 4 al 9 novembre).

La complicità di gran parte della Chiesa argentina con la dittatura è dato emerso con dovizia di particolari, soprattutto riguardo al coinvolgimento diretto di vari cappellani militari. Per amara ironia, gli “uomini giusti al posto giusto”: da Adolfo Tortolo, vicario delle Forze Armate oltre che presidente della Conferenza Episcopale, il quale richiamò pubblicamente i componenti della Chiesa cattolica argentina a cooperare con i militari nel “Processo di riorganizzazione nazionale”; a Aldo Omar Vara che a detta dei giudici «operava nell’intelligence e dava il suo contributo al piano criminale dal suo status di sacerdote» e per il quale è stato ora diramato un ordine di cattura internazionale (v. Adista Notizie n. 37/13); a Victório Bonamín, provicario castrense, nemico giurato proprio di mons. Angelelli.


Bonamân contro Angelelli: un po’ di memoria

Il vescovo di La Rioja, il 25 febbraio del 1976, di fronte alla «spirale di violenza» che attanagliava il Paese e che si concretizzò il mese dopo nel colpo di Stato, denunciava per lettera ai vescovi: «Dobbiamo chiarire urgentemente quale missione corrisponda alle diocesi e al vicariato castrense… È ora che apriamo gli occhi e non lasciamo che generali dell’esercito usurpino la missione di vegliare sulla fede cattolica… Oggi cade un vicario generale [il 12 febbraio era stato arrestato Esteban Inestal, proprio della diocesi di Angelelli, per ordine dell’Esercito] domani (molto presto) cadrà un vescovo. Mi vien da pensare che il Signore ha bisogno del carcere o della vita di qualche vescovo per risvegliare e vivere più profondamente la nostra collegialità episcopale». Il 5 marzo 1976, mons. Bonamín segnò sul suo diario personale di aver avuto una conversazione con Tortolo in merito alla «lettera fuori dalla grazia di Dio di Angelelli contro i militari di La Rioja per gli arresti».

Ma mons. Angelelli non si limitò alle parole: come risposta alle persecuzioni da parte dei capi militari, in considerazione del rifiuto del sacerdote Gabriel Longueville di essere nominato cappellano della base aerea Celpa (Centro di Sperimentazione e Lancio di Proiettili Autopropulsori, con sede a Chamical in provincia di La Rioja) e di fronte all’inazione dell’episcopato, emanò una sorta di censura ecclesiastica con la quale proibiva al clero della sua diocesi di officiare messa nella base di Chamical. Sicché il 27 giugno, alla cerimonia per il 15° anniversario del Celpa, fu Bonamín a dir messa, attaccando nell’omelia il vescovo Angelelli: «Per nostra mancanza, forse per mancanza proprio del Vicariato castrense che io rappresento, mancate di un’assistenza spirituale alla quale avete diritto e che tutti dovremmo soccorrere (…). Il veleno che c’è in alcune creature non è disposto da Dio per il male dell’uomo. Tutto questo si è inserito per le astuzie del demonio e di coloro che sono dalla sua parte. Sono lavoratori della morte e devono soffrirne le conseguenze».

Il giorno dell’assassinio di Angelelli, Bonamín era in Europa. Il 2 settembre, rientrato in Argentina, sul suo diario si chiedeva: «Mons. Angelelli: un colpo di pistola in testa?».

Ovviamente l’assassinio di Angelelli non smosse sentimenti e pensieri del provicario castrense (morto nel 1991). All’Università di Santa Fé, nel dicembre del ’77,  mons. Bonamín disse: «È una lotta per la Repubblica argentina, per la sua integrità, ma anche per i suoi altari… questa lotta è una lotta in difesa della morale, della dignità dell’uomo, è una lotta a difesa di Dio… per questo chiedo la protezione divina in questa guerra sporca nella quale siamo impegnati…». E un mese prima, queste erano state le sue parole: «Se potessi parlare con il governo, gli direi che dobbiamo rimanere fermi nelle posizioni che abbiamo preso: bisogna ignorare le denunce straniere sulla scomparsa delle persone». (eletta cucuzza)

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