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Una Chiesa povera, per testimoniare il Vangelo

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 6 del 15/02/2014

Con l’Evangelii Gaudium (cfr. nn. 197-201) ha fatto ritorno nel magistero cattolico, dopo un tempo in cui era rimasto sullo sfondo, l’insegnamento sulla Chiesa povera e dei poveri che era stato elaborato nei giorni del Vaticano II dall’arcivescovo di Bologna Giacomo Lercaro. In particolare, fu il discorso del 6 dicembre 1962, durante i lavori della 35ª Congregazione Generale ad attirare l’attenzione sul tema. A esso diede un contributo determinante Giuseppe Dossetti. Il suo influsso sui testi conciliari fu tutto sommato circoscritto, soprattutto in Lumen Gentium 8,3: un testo che però ha una portata ecclesiologica molto profonda e che non è stato particolarmente ripreso negli anni del post-Concilio.

L’Esortazione di papa Francesco, finalmente, torna a questi discorsi riprendendone i passaggi fondamentali: il tema della povertà a partire dalla Bibbia, il fondamento teologico (la predilezione di Dio per i poveri), il fondamento cristologico (la scelta di Gesù di farsi povero e servo per annunciare il Vangelo ai poveri) e gli sviluppi ecclesiologici  (la Chiesa povera e dei poveri a imitazione del suo Signore). (…)

Per quanto profonda e radicale, la povertà cristiana non può però esaurirsi in una ascesi individuale. Deve avere un respiro comunitario. Non può esistere una povertà nella Chiesa che non sia povertà della Chiesa. Il primo passo da fare in questa direzione, verso una reale povertà della Chiesa, è un lavoro di vera e propria spoliazione. Vi è una triplice liberazione da perseguire.

Liberazione da strutture “forti”, di tipo statuale, e perciò, anzitutto, dallo Stato vaticano in quanto tale, anche perché tende ad essere identificato con la Chiesa, dalla Curia e dalla sua organizzazione in dicasteri e dal Codice di diritto canonico; e liberazione, con ciò, da una gestione verticistica della compagine ecclesiale.

Liberazione da ogni attaccamento alle ricchezze, svolgendo le attività ordinarie con il dovuto distacco e la necessaria sobrietà e rinunciando a quelle opere, quei privilegi e quei beni, in qualunque modo acquisiti e conservati, che non siano conformi allo spirito evangelico o non siano assolutamente indispensabili all’adempimento dei compiti pastorali. In questo campo la Chiesa dovrebbe dare segni concreti, ad esempio rinunciando allo Ior e alle sue scandalose operazioni finanziarie, versando allo Stato le imposte dovute (a cominciare dall’Imu), mettendo a disposizione di chi rischia di trovarsi o già si trova in area di povertà (giovani, disoccupati, migranti e rifugiati, ecc.) conventi e altri edifici inutilizzati, da usare come abitazioni o sedi di attività produttive. Si tratta solo di esempi, che potrebbero essere moltiplicati.

Liberazione da ogni potere, rinunciando sia ad esercitare un potere sulla società, con ambigue connivenze con le istituzioni politiche in cambio di privilegi economici e garanzie legislative; sia ad esercitarlo al proprio interno, facendo prevalere il giudizio e la condanna sulla misericordia e sul dialogo.

Questa triplice liberazione pone problemi complessi e difficili, che richiedono un lungo cammino da fare. Papa Francesco lo ha già intrapreso, ma il processo deve consolidarsi, estendersi, essere condiviso e promosso da strati sempre più ampi della comunità ecclesiale.

Una Chiesa così spogliata e liberata può e deve affidarsi al Padre, alla sua misericordia e alla forza del Vangelo. Non si perde in dettagli dottrinali e in minute prescrizioni etiche, ma si concentra su ciò che è essenziale: l’ascolto della Parola e la memoria della passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo, nostro Signore. Non presume di costituire il regno di Dio in Terra: sa di non essere il Regno ma per il Regno e ne cerca le tracce non solo in sé e nelle altre Chiese cristiane, ma nelle religioni e nelle culture “altre”, nel mondo e nell’intera umanità; e, scoprendole, le annuncia e testimonia, fino a riascoltare e ridire le parole di Gesù, «il regno di Dio è in mezzo a voi» (Lc 17,21). Con ciò si congeda dalla cultura con cui in passato si è di fatto identificata, rifugge dall’imporre modelli classici ormai obsoleti e, rinunciando ad avere un propria cultura, si apre a culture diverse, consapevole che il metodo dell’inculturazione (anch’esso peraltro in via di superamento) e del dialogo è valido per tutto il mondo e non solo per le terre di missione.

Con la spoliazione e con l’affidamento al Padre, alla sua misericordia e alla forza del Vangelo la Chiesa è resa disponibile per offrirsi agli esseri umani e chiamata a farlo. L’urgenza di annunciare il Vangelo ai poveri nasce in un contesto di dedizione, di attenzione all’altro, di amore vicendevole. «Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole» (Rm 13,8). Annunciare il Vangelo significa renderlo visibile e tangibile nell’essere e nell’operare della Chiesa e annunciarlo ai poveri significa soprattutto incarnarlo incarnandosi nel mondo di chi non ha risorse per vivere, di chi è vittima di inganni, soprusi e violenze, di chi soffre nell’anima e nel corpo; e significa vivere in questo mondo di sofferenza e “ultimità”, condividendo le condizioni di vita dei poveri e servendoli. Come hanno fatto e come fanno i Piccoli Fratelli e le Piccole Sorelle; come fanno tanti e fra i tanti molti giovani che, nelle estreme periferie del mondo, vivono a fianco dei più poveri; come vorrebbe e chiede Francesco, che viene da quelle terre.

La Chiesa si fa povera, così, facendosi prossima ai poveri e assumendo quello sguardo povero sulla realtà che è proprio dei poveri e dei piccoli, quello sguardo che è anche quello del Padre e del Figlio. Da Cristo in poi, gli occhi di Dio sul mondo sono gli occhi dei poveri. Questo è lo sguardo che sa vedere anche nei perdenti, nei minori, nei peccatori, negli scarti della società, esseri cui assicurare dignità. Lo sguardo che sa ritrovare la qualità delle cose, la misura, la destinazione della creazione, che sa ricostruire il mondo buono a partire dai bisogni di coloro che del mondo cattivo sono vittime. Questo sguardo sul mondo dal punto di vista della povertà e dei poveri è ciò che il Vangelo chiede a tutti. Ai credenti, perché lo Spirito chiama a questa peculiare testimonianza; ai non credenti, perché la povertà si propone come luogo prospettico privilegiato.

In questa prospettiva collochiamo anche due questioni che ci interpellano da molto tempo.

La soggettività femminile che nella storia della Chiesa è rimasta “debole”, marginale e realmente povera. L’effettiva assunzione dell’ermeneutica della povertà da parte della Chiesa cattolica comporterebbe la piena integrazione della soggettività femminile, superando secolari resistenze dottrinali.

Il problema della pace. Che altro è infatti, oggi, provvedere ai bisogni dei più deboli se non liberare per essi le risorse assorbite dalle “macchine da guerra” che minacciano il mondo? Che altro può e deve fare verso questo mondo una Chiesa povera, di poveri, per i poveri se non rivolgersi a tutti gli esseri umani e a tutti i poteri per smontare tutte le “macchine da guerra”? Le quali non sono solamente i conflitti in atto e la produzione e il commercio di armi ma anche, e a livelli anche più profondi, il predominio del mercato e della grande finanza, il crescente divario fra Paesi poveri e Paesi ricchi, sempre più ricchi, il protezionismo dell’agricoltura europea, le politiche di esclusione verso migranti e rifugiati e così via.  La denuncia profetica di queste forme di ingiustizia è irrinunciabile. Non si tratta di ricostruire un’ormai improponibile piattaforma politica cristiana, ma di incalzare il discernimento e la coscienza vigilante della società e della politica.

«Andare verso la carne di Cristo» (Francesco), costituita dai poveri, farsi povera, di poveri e per i poveri significa, per la Chiesa, diventare ricca della povertà del Signore. «Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9). «Per mezzo della sua povertà»: ecco la produttività della “povertà di Cristo” che va conosciuta, accolta e applicata all’esistenza credente e alla vita della Chiesa. La sua sequela è cammino in questa Via, lì dove Dio, in Cristo, indica la necessità di porsi nella condizione dei poveri, in stato di povertà per cogliere il mondo con lo sguardo loro (e, quindi, lo spettacolo dei bisogni, delle esigenze primarie, ecc.). In questo modo, si diviene lo stesso sguardo di Dio sul mondo. In questo modo, Egli ci fa ricchi.

* Rete di gruppi di laici cristiani (www.viandanti.org)

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