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AUSTRIA: POLEMICHE SUL CENTRO INTERRELIGIOSO SAUDITA CHE TACE SUL CASO BADAWI

Tratto da: Adista Notizie n° 5 del 07/02/2015

37975 VIENNA-ADISTA. Fa discutere, in Austria, la vicenda relativa al “Centro di dialogo interreligioso e interculturale” (Kaiciid), con sede a Vienna, inaugurato nel novembre 2012 alla presenza di numerosi esponenti del mondo religioso e politico (tra cui il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon, il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, card. Jean-Louis Tauran, il patriarca ecumenico Bartolomeo I, v. Adista Notizie n. 44/12), finanziato dall’Arabia Saudita (finora con 15 milioni di euro), sostenuto politicamente da Austria, Spagna e Vaticano e dedicato al re Abdullah Bin Abdulaziz. Il 20 gennaio scorso, il cancelliere austriaco Werner Faymann ha infatti affermato essere intenzionato a togliere il sostegno governativo al Centro se esso non condannerà la fustigazione cui è stato condannato il blogger saudita Raif Badawi, 30 anni, con moglie e tre figli esuli in Canada, colpevole di aver chiesto la fine dell’influenza forzata della religione nella società del suo Paese e di aver criticato la polizia religiosa e alcune sentenze ispirate alla sharia. Badawi, nel maggio 2014, era stato condannato a 10 anni di carcere, mille frustate e una multa di circa 200mila euro per aver dato vita a un blog «liberale» e «aver insultato l’islam». Badawi ha già subito 50 delle mille frustate comminate, che gli verranno inflitte in venti settimane. La seconda serie è stata rinviata per “motivi medici”, secondo quanto ha fatto sapere Amnesty International, che ha promosso una manifestazione di protesta nella capitale austriaca.

«Un Centro di dialogo interreligioso che resta in silenzio quando invece occorre gridare in favore dei diritti umani, non è degno di essere definito “centro di dialogo” ma “centro del silenzio”», ha affermato il cancelliere Faymann. «Non è possibile che qui in Austria vi sia un Centro che si fregia dell’impegno del “dialogo interreligioso”, quando invece chi è impegnato davvero in esso è in carcere e rischia la vita». Il presidente federale Heinz Fischer e il ministro degli Esteri Sebastian Kurz, entrambi critici verso il Centro, hanno mostrato maggiore prudenza rispetto all’ipotesi della chiusura, cui è invece nettamente contrario l’arcivescovo di Vienna card. Christoph Schönborn, secondo il quale sarebbe un passo «controproducente». 

Faymann ha comunque chiesto al ministro degli Esteri l’avvio di un’inchiesta sulle attività del centro, che nel frattempo ha risposto alle critiche con una condanna generica, senza entrare nel merito del caso specifico, rispecchiando un’opacità che è stata già criticata più volte. Il caso di Badawi, ha affermato il presidente Fischer, che nel frattempo ha avuto un incontro con l’ambasciatore saudita, «ostacola e minaccia le possibilità di dialogo», e la pena che gli è stata inflitta è «inaccettabile e disumana». Sia Fischer, in tale incontro, che Kurz, in un colloquio telefonico con il suo omologo saudita, hanno chiesto che il blogger venga perdonato. Da questo punto di vista, la sospensione delle frustate pare già un primo risultato, nell’attesa che la totalità della pena venga cancellata.

Successivamente, tuttavia, secondo quanto ha riportato il 28 gennaio l’agenzia spagnola Efe, il ministro Kurz ha insinuato che, qualora il Kaiciid venisse chiuso, l’Arabia Saudita potrebbe ottenere la chiusura della sede viennese dell’Opec (della quale è uno dei membri più influenti), causando un danno all’Austria non solo nelle sue relazioni politiche ed economiche con la regione araba, ma anche come sede di organismi internazionali. 

Le reazioni internazionali

La vicenda di Badawi ha avuto ripercussioni negli Stati Uniti, dove sette dei nove membri della Commissione del governo Obama per la libertà religiosa internazionale (Uscirf) hanno chiesto di essere frustati al posto del blogger. In una lettera all’ambasciatore saudita negli Usa, il presidente dell’Uscirf Katrina Lantos Swett, presidente della Lantos Foundation, e il vice presidente Robert P. George, docente alla Princeton University, hanno scritto che «la compassione, virtù onorata tanto nell’islam quanto nel cristianesimo, nell’ebraismo e in altre religioni, è definita come “sofferenza con l’altro”. Siamo persone di fedi diverse, ma siamo uniti nel sentirci obbligati a condannare e a opporci all’ingiustizia e a soffrire con le sue vittime, se necessario». Di qui la richiesta: «Se il suo governo non ritirerà la punizione inflitta a Badawi, chiediamo rispettosamente che lei permetta che ognuno di noi prenda 700 frustate che sarebbero state inferte a lui».

A firmare la lettera, oltre alla cupola della Commissione, altri cinque componenti: Mary Ann Glendon, del conservatore Becket Fund for Religious Liberty; M. Zuhdi Jasser, presidente dell’American Islamic Forum for Democracy; Daniel Mark, docente di Scienze politiche presso la Villanova University; Hannah Rosenthal, Ceo della Milwaukee Jewish Federation, e Eric Schwartz, decano dell’Università del Minnesota, i quali hanno aggiunto i loro nomi dopo l’invio della lettera. A non firmarla, invece, sono stati gli altri due membri della Commissione, il gesuita p. Thomas Reese, columnist del National Catholic Reporter, e James Zogby, fondatore e presidente dell’Arab American Institute. (ludovica eugenio)

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