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Verso il Sinodo 2015 Da maggioranza omologante a minoranza testimoniante

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 11 del 21/03/2015

Di seguito la sintesi di quanto emerso nell'incontro unificato del Consiglio pastorale parrocchiale e degli operatori pastorali, che si è tenuto nella parrocchia romana della SS. Trinità a Villa Chigi. Una riflessione più approfondita su tutto il Questionario, precisa il parroco Lucio Boldrin che ha curato questa sintesi, avrebbe richiesto tempi più lunghi e altre occasioni di incontro con tutta la comunità.

Una premessa di metodo

Ci si è attenuti all'indicazione del Questionario che invitava ad evitare risposte «fornite secondo una pastorale meramente applicativa della dottrina» che avrebbe allontanato dal cammino ormai tracciato dalla Chiesa per mitigare, sul piano pastorale, le asprezze e le incongruenze del rigore dottrinale con la “medicina della misericordia”.

n parrocchia si è riflettuto su due posizioni in campo: chi invoca il primato della dottrina (alcuni cardinali ma anche media cattolici come La Croce, nato anche per influenzare il prossimo Sinodo) e chi vorrebbe spingere la Chiesa nel mare aperto dell'innovazione pastorale. Non si aiutano certo i padri sinodali riproponendo il loro modo di vedere le cose, magari insistendo su questioni già acquisite come la bellezza del matrimonio cristiano, sul carattere sacramentale, ecc. Al contrario, li si aiuta se si fa conoscere loro il vero sentire dei credenti su questioni controverse e aperte.


I temi cruciali

Riguardo alla cura pastorale delle persone sposate civilmente o conviventi, mentre si è sottolineata l'esistenza di valori umani aperti all'acquisizione della fede, si è auspicato che i vescovi trovino le modalità più adatte per diffondere nelle comunità quella sensibilità nuova della pastorale di cui parla il Questionario e che consiste nel cogliere gli elementi positivi presenti nei matrimoni civili e nelle convivenze.

In merito alle fragilità familiari ed in particolare alla condizione dei separati, divorziati non risposati, divorziati risposati e famiglie monoparentali si è concordato sulla necessità di scelte coraggiose. Lo snellimento delle procedure per le cause matrimoniali è necessario e doveroso, ma una nullità più facile e rapida non è risolutiva di ogni problema. Si è molto insistito sulla necessità di assicurare ai divorziati risposati l'accesso ai sacramenti della penitenza e dell'eucaristia utilizzando, con gli opportuni adattamenti, anche l'esempio della prassi ortodossa, che risale ad un'esperienza precedente lo scisma d'Oriente.

Sull'atteggiamento da tenere verso gli omosessuali, la parrocchia ha suggerito di approfondire la reale conoscenza dei temi e delle persone, a partire dalla congruità della formula del rifiuto della “ingiusta discriminazione”, che presupporrebbe l'esistenza di una discriminazione “giusta”. Infine, il rifiuto della equiparazione tra matrimonio sacramentale e unioni “omo” nella Chiesa non dovrebbe minacciare, in campo civile, un percorso di equiparazione nell'ambito della disciplina delle coppie di fatto.


Questioni giuridiche e questioni pastorali

Tralasciando quello dottrinale, l’impressione è che nella discussione si confondono spesso il piano giuridico e quello pastorale, una confusione che la parrocchia SS. Trinità ha proposto di combattere con chiarezza, proprio per ottenere una maggiore efficacia pastorale.

Nella cultura occidentale attuale la Chiesa e le sue istituzioni non si identificano più con la società, ma ne sono solo “parte”. Solo rinunciando a un’ambizione maggioritaria sarà possibile ricondurre il messaggio cristiano alla necessaria radicalità e testimonianza. Le pretese integralistiche dunque danneggiano la necessità di un’azione efficace e visibile dei cristiani nella società. Il tema della famiglia è oggi uno dei simboli privilegiati di questo scontro culturale e della necessità di accettare di essere minoranza testimoniante invece che maggioranza omologante.

In questa prospettiva una chiara distinzione dei confini tra civile e religioso consentirebbe un discorso più fermo sul matrimonio religioso. Ad esempio: se – come accadeva prima del Concordato – chiunque volesse sposarsi dovesse comunque farlo in Comune, l’eventuale decisione di sposarsi “anche” in Chiesa sarebbe frutto di una scelta più consapevole e meditata.

Il recente discorso del papa alla Sacra Rota, che invita a valutare con più attenzione le ragioni di nullità dei matrimoni per mancanza di fede, sembra indirettamente indicare una strada del genere. Il problema è che ci si sposa in Chiesa per tante ragioni, ma molte di queste hanno poco a che fare con “l’essere cristiani”.


Annuncio di fede nei corsi per fidanzati

Nei corsi di preparazione al matrimonio manca tra i partecipanti il “sentimento del sacramento”. E spesso, in realtà, manca proprio la fede. Qualunque catechesi sacramentale in età adulta, in particolare quella del matrimonio, deve partire dall’annuncio kerigmatico di base, giacché solo in questa prospettiva sarà possibile comprendere, e magari condividere, alcune delle proposte di vita della Chiesa che, a confronto con l’esperienza secolare, appaiono incomprensibili o paradossali. Sarebbe in questo senso utile parlare del matrimonio come di una delle possibilità di fare esperienza del Regno di Dio: l’amore sponsale come “scheggia dell’amore di Dio”; l'esperienza di resurrezione nel matrimonio, morendo un po' a se stessi per riscoprirsi nell'altro e per “sentire” veramente l'altro. L’esperienza dell’amore sponsale può così diventare un passo in direzione della scoperta dell'amore di Dio, che ci aiuta nell’amore per lo sposo o per la sposa, ma anche nell’amore (carità) per gli altri. A tal fine, è essenziale che nei corsi, i futuri sposi siano in contatto costante con la Parola.

De-enfatizzare le cerimonie, enfatizzare la liturgia

Insieme all’annuncio di fede, le parrocchie dovrebbero proporre una de-enfatizzazione del valore “sociale” delle cerimonie legate ai sacramenti, in particolare al matrimonio, favorendo parallelamente una comprensione e una partecipazione maggiore alla liturgia. Nella società odierna, il significato religioso dei riti è depotenziato, e il “matrimonio in Chiesa” è diventato una consuetudine “laica” (con ricevimento, addobbi floreali, abiti, ecc.) che non c'entra nulla con il sacramento. Riportare le cerimonie all’essenziale potrebbe chiarire molte cose e forse convincere i non tanto convinti a perseguire altre strade.


Le parrocchie e le “nuove famiglie”

I cristiani, i catechisti, le parrocchie devono avere massima considerazione delle “nuove famiglie”, che si organizzano su geometrie giuridiche ed esistenziali diverse da quelle tradizionali. Occorre escogitare percorsi adatti all’annuncio della Parola in circostanze familiari differenti, anche affinché la realtà del matrimonio tradizionale cristiano non sia interpretata dai giovani come un'occasione per etichettare ed escludere le altre forme di famiglia di cui magari fanno parte. In una formula: passare da una “pastorale della famiglia” a una pastorale “delle famiglie”.

Il tema del rapporto con le “nuove famiglie” si presenta con particolare problematicità nel caso della scelta dei “padrini” per il battesimo e la cresima. Di prassi si cerca di “nominare” una persona battezzata, cresimata e non risposata, ma spesso il padrino o la madrina scelti non credono neanche all’acqua fresca o magari hanno uno stile di vita discutibile. Anche in questo caso, occorre insistere sulla loro centralità nel cammino di fede dei ragazzi, magari de-enfatizzando gli aspetti “sociali” (il “comparaggio”, le attese di alcuni parenti, ecc.). E se le famiglie non sono in grado di presentare padrini “adeguati”, la comunità parrocchiale dovrà farsi carico di trovare per il ragazzo il padrino adatto. In fondo è la fede della comunità che garantisce per la crescita di quella del ragazzo. Si potrebbe persino ribaltare la prospettiva: la “normalità” è la parrocchia che si fa carico del “padrinaggio”, l’eccezione è la famiglia che presenta una alternativa valida.


Riammissione all’eucarestia dei divorziati risposati

Qualunque soluzione rischia di essere interpretata come un “depotenziamento” della dottrina e dell’annuncio salvifico dell’amore sponsale. Innanzitutto, occorre evitare di affrontare il problema in termini di “norme” e “regole” da sostituire con nuove “norme” e “regole”, di trasformare cioè ancora una volta una questione pastorale in un problema giuridico. Detto ciò, si dovrebbe studiare un percorso penitenziale caso per caso, con il quale sia possibile al divorziato risposato reinserirsi a pieno titolo nell'esperienza sacramentale della comunità.


Annullamenti e divorzi

L'invito del papa ad accelerare le cause di nullità non deve apparire come un “divorzio cattolico”. Anche in questo caso, la separazione tra effetti civili del matrimonio e valore sacramentale del medesimo (vedi sopra) sarebbe particolarmente utile, perché limiterebbe l’efficacia delle sentenze ecclesiastiche alle conseguenze canoniche. La Chiesa potrebbe dunque rinunciare agli effetti civili della nullità, rendendola rilevante solo per gli effetti canonici. Ciò garantirebbe una maggiore libertà dei tribunali ecclesiastici nella valutazione dei soli criteri religiosi.

* stimmatino, giornalista, parroco della “ SS. Trinità a Villa Chigi” (Roma)

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