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La carta magna dell’ecologia integrale

La carta magna dell’ecologia integrale

Tratto da: Adista Documenti n° 24 del 04/07/2015

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Prima di un qualunque commento è il caso di evidenziare alcune singolarità dell'enciclica Laudato si' di papa Francesco.

È la prima volta che un papa affronta il tema dell'ecologia nel senso di un'ecologia integrale (e quindi al di là del tema ambientale) in modo così completo. Sorpresa: egli elabora il tema all'interno del nuovo paradigma ecologico, come non ha mai fatto alcun documento ufficiale delle Nazioni Unite. Il suo discorso poggia sui dati più sicuri delle scienze della vita e della Terra, letti in maniera affettiva (con l'intelligenza sensibile o cordiale), in quanto il papa riconosce che dietro di essi si celano drammi umani e grande sofferenza anche da parte della madre Terra. La situazione attuale è grave, ma papa Francesco trova sempre ragioni per la speranza e per la fiducia nel fatto che l'essere umano possa individuare le soluzioni efficaci. Si richiama ai papi che lo hanno preceduto, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, citandoli molte volte. E una cosa assolutamente nuova: il suo testo si inscrive all'interno della collegialità, valorizzando i contributi di decine di Conferenze episcopali del mondo intero, da quella degli Stati Uniti a quella della Germania, del Brasile, della Patagonia, del Paraguay. Accoglie i contributi di altri intellettuali, come i cattolici Pierre Teilhard de Chardin, Romano Guardini, Dante Alighieri, il suo maestro argentino Juan Carlos Scannone, il protestante Paul Ricoeur e il musulmano sufi Ali Al-Khawwas. I destinatari sono tutti gli esseri umani, in quanto tutti abitiamo la stessa casa comune (parola molto usata dal papa) e soffriamo le stesse minacce.

Papa Francesco non scrive in qualità di Maestro e Dottore della fede, ma come pastore zelante che si prende cura della casa comune e di tutti gli esseri, non solo umani, che in essa abitano.

C'è un altro elemento che merita di essere evidenziato, rivelando la forma mentis di papa Francesco: il suo essere tributario dell'esperienza pastorale e teologica delle Chiese latinoamericane, le quali, alla luce dei documenti dell'episcopato latinoamericano (Celam) di Medellín (1968), di Puebla (1979) e di Aparecida (2007), hanno fatto un'opzione per i poveri, contro la povertà e a favore della liberazione.  

Il testo e il tono dell'enciclica sono tipici di papa Francesco e della cultura ecologica che egli ha maturato, ma ci si può rendere conto anche del fatto che molte espressioni e modi di dire rimandano a quanto si pensa e si scrive principalmente in America Latina. I temi, tra gli altri, della «casa comune», della «madre Terra», del «grido della Terra e grido dei poveri», della «cura», dell'«interdipendenza fra tutti gli esseri», dei «poveri e vulnerabili», del «cambiamento di paradigma», dell'«essere umano come Terra» che sente, pensa, ama e venera, dell'«ecologia integrale», sono tutti temi ricorrenti tra noi. 

La struttura dell'enciclica ubbidisce al rituale metodologico usato dalle nostre Chiese e dalla riflessione teologica legata alla pratica della liberazione, ora adottata e consacrata dal papa: vedere, giudicare, agire e celebrare.

Fin dall'inizio rivela la sua principale fonte d'ispirazione: san Francesco d'Assisi, che egli definisce «esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale», esprimendo un'attenzione particolare «verso i più poveri e abbandonati» (10 e 66).

E si sofferma quindi sul vedere: su «quello che sta accadendo alla nostra casa» (17-61). Il papa afferma: «Basta però guardare la realtà con sincerità per vedere che c'è un grande deterioramento della nostra casa comune» (61). In questa parte egli incorpora i dati più consistenti sul cambiamento climatico (20-22), la questione dell'acqua (27-31), l'erosione della biodiversità (32-42), il deterioramento della qualità della vita umana e il degrado della vita sociale (43-47), e denuncia l'alto tasso di iniquità planetaria, che colpisce tutti gli ambiti della vita (48-52) e vede i poveri come principali vittime (48).

In questa sezione appare una frase che rimanda alla riflessione condotta in America Latina: «Ma oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull'ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (49). E poi aggiunge: i gemiti di sorella terra «si uniscono ai gemiti degli abbandonati del mondo» (53). E questo è assolutamente coerente, in quanto all'inizio afferma che «noi stessi siamo terra» (2; cfr Gn 2,7), pienamente in linea con il grande cantore e poeta indigeno argentino Atahualpa Yupanqui: «L'essere umano è la Terra che cammina, che sente, che pensa e che ama». 

Condanna poi le proposte di internazionalizzazione dell'Amazzonia, «che servono solo agli interessi economici delle multinazionali» (38). E fa un'affermazione di grande vigore etico: è gravissima iniquità «quando si pretende di ottenere importanti benefici facendo pagare al resto dell'umanità, presente e futura, gli altissimi costi del degrado ambientale» (36).

Riconosce con tristezza: «Mai abbiamo maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli» (53). Di fronte a questa offensiva umana contro la madre Terra che molti scienziati hanno denunciato come l'avvento di una nuova era geologica - l'Antropocene -, lamenta l'inadeguatezza dei poteri di questo mondo che, illusi, pensano che «il pianeta potrebbe rimanere per molto tempo nelle condizioni attuali », come alibi «per alimentare tutti i vizi autodistruttivi» (59) con un «comportamento che a volte sembra suicida» (55).

Prudente, egli riconosce la diversità di opinioni (nn. 60-61) e il fatto che «non c'è un'unica via di soluzione» (60). Ciononostante è «certo che l'attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista, perché abbiamo smesso di pensare ai fini dell'agire umano» (61) e ci perdiamo dietro la realizzazione di mezzi destinati a un accumulo illimitato a spese della giustizia ecologica (degrado degli ecosistemi) e della giustizia sociale (impoverimento delle popolazioni). L'umanità semplicemente «ha deluso l'attesa divina» (61).

La sfida urgente consiste allora nel «proteggere la nostra casa comune» (13) e per farlo abbiamo bisogno, citando Giovanni Paolo II, di una «conversione ecologica globale» (5) e di una «cultura della cura che impregni tutta la società» (231).

Dopo la dimensione del vedere, s'impone ora quella del giudicare. Che è delineata secondo due versanti, uno scientifico e l'altro teologico.

Vediamo quello scientifico. L'enciclica dedica tutto il terzo capitolo all'analisi della «radice umana della crisi ecologica» (101-136). Qui il papa si propone di analizzare la tecnoscienza senza pregiudizi, accogliendo quanto essa ha offerto in termini di «cose realmente preziose per migliorare la qualità della vita dell'essere umano» (103). Il problema non è qui, bensì nel fatto che essa si è resa indipendente, sottomettendo l'economia, la politica e la natura in vista dell'accumulo di beni materiali (cfr. 109). La tecnoscienza parte dal presupposto errato della «disponibilità infinita dei beni del pianeta» (106), quando sappiamo di aver già raggiunto i limiti fisici della Terra e che gran parte dei beni e servizi non è rinnovabile. La tecnoscienza è diventata tecnocrazia, una vera dittatura con la sua ferrea logica di dominio su tutto e su tutti (108).

La grande illusione oggi dominante consiste nel credere che con la tecnoscienza si possano risolvere tutti i problemi ecologici. È un'idea ingannevole, poiché «significa isolare cose che nella realtà sono connesse» (111). In realtà, «tutto è connesso» (117), «tutto è in relazione» (120), un'affermazione, questa, che attraversa tutto il testo dell'enciclica come un leitmotiv, essendo un concetto chiave del nuovo paradigma contemporaneo. Il grande limite della tecnocrazia sta nella «frammentazione del sapere» fino a «perdere il senso della totalità» (110). Il peggio è che essa «non riconosce agli altri esseri un valore proprio, fino alla reazione di negare ogni peculiare valore all'essere umano» (n. 118).

Il valore intrinseco di ogni essere, per minuscolo che sia, è evidenziato in maniera permanente nell'enciclica (69), come fa la Carta della Terra. Negando questo valore intrinseco, ci stiamo rendendo responsabili del fatto che «migliaia di specie non daranno gloria a Dio con la loro esistenza né potranno comunicarci il proprio messaggio» (33).

La maggiore deviazione prodotta dalla tecnocrazia è l'antropocentrismo, che presuppone illusoriamente il fatto che le cose hanno valore solo nella misura in cui servono all'essere umano, dimenticando che la loro esistenza ha un valore proprio. Se è vero che tutto è in relazione, allora «tutti noi esseri umani siamo uniti come fratelli e sorelle in un meraviglioso pellegrinaggio, legati dall’amore che Dio ha per ciascuna delle sue creature e che ci unisce anche tra noi, con tenero affetto, al fratello sole, alla sorella luna, al fratello fiume e alla madre terra» (92). Come possiamo pretendere di dominarli e di considerarli nell'ottica limitata della dominazione?

Tutte le «virtù ecologiche» (88) si perdono a causa della volontà di potere come dominazione sugli altri e sulla natura. Viviamo un'angosciante «perdita del senso della vita e del vivere insieme» (110). Il papa cita più di una volta il teologo italo-tedesco Romano Guardini (1885-1968), uno dei più letti a metà del secolo scorso, il quale ha scritto un libro critico contro le pretese della modernità (105, nota 83: La fine dell’epoca moderna, Brescia, 1987).

ALLA RICERCA DI UN NUOVO INIZIO

L'altro versante del giudicare è quello teologico. L'enciclica riserva parecchio spazio al «Vangelo della Creazione» (62-100), partendo dalla giustificazione del contributo delle religioni e del cristianesimo, in quanto, essendo la crisi globale, ogni istanza deve, con il suo capitale religioso, contribuire alla cura della Terra (62). E l'enciclica non insiste sulle dottrine, bensì sulla saggezza presente nei distinti cammini spirituali. Il cristianesimo preferisce parlare di creazione anziché di natura, poiché la creazione «ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio» (76). Più di una volta è citato un bel testo del libro della Sapienza (11,24) dove appare chiaro che «la creazione appartiene all’ordine dell’amore» (77) e che Dio è «il Signore amante della vita» (Sap 11,26).

Il testo si apre a una visione evoluzionista dell'universo benché non usi questa parola, ricorrendo a una circonlocuzione nel riferirsi a un universo «composto da sistemi aperti che entrano in comunicazione gli uni con gli altri» (79). Utilizza i principali testi che legano Cristo incarnato e risorto al mondo e all'intero universo, rendendo sacra la materia e tutta la Terra (83). E in questo contesto cita Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955; 83, nota 53) come precursore di questa visione cosmica.

Citando il patriarca ecumenico della Chiesa ortodossa Bartolomeo, riconosce che «un crimine contro la natura è un crimine contro noi stessi e un peccato contro Dio» (8). Da qui l'urgenza di una conversione ecologica collettiva che restauri l'armonia perduta.

La conclusione di questa parte dell'enciclica evidenzia giustamente «la necessità di un cambio di rotta» per «uscire dalla spirale di autodistruzione in cui stiamo affondando» (163). Non si tratta di una riforma, bensì, citando la Carta della Terra, della ricerca di «un nuovo inizio» (207). L'interdipendenza di tutti con tutti ci porta «a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune» (164).

Poiché la realtà presenta molteplici aspetti, tutti intimamente relazionati, papa Francesco propone un'ecologia integrale che va oltre l'ecologia ambientale a cui siamo abituati (137) per coprire tutti i campi: ambientale, economico, sociale, culturale e anche quello della vita quotidiana (147-148). Senza mai dimenticare i poveri, i quali testimoniano anch'essi la propria forma di ecologia umana e sociale, vivendo legami di appartenenza e di solidarietà gli uni con gli altri (149).

Il terzo passo metodologico è quello dell'agire. In questa sezione, l'enciclica si attiene ai grandi temi della politica internazionale, nazionale e locale (164-181), sottolineando l'interdipendenza della sfera sociale e di quella educativa con quella ecologica e denunciando le difficoltà che comporta il predominio della tecnocrazia, ostacolando quei cambiamenti che possono contrastare la voracità di accumulazione e di consumo e inaugurare il nuovo (141). Il papa riprende il tema dell'economia e della politica che devono servire il bene comune e creare le condizioni per una pienezza umana possibile (189-198). Torna a insistere sul dialogo tra la scienza e la religione, come suggerito dal grande biologo Edward O. Wilson (cfr. il libro La Creazione. Un appello per salvare la vita sulla Terra, Adelphi, Milano, 2008). Tutte le religioni devono «entrare in un dialogo tra loro orientato alla cura della natura, alla difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e di fraternità» (201).

Ancora riguardo all'agire, sfida l'educazione a creare una «cittadinanza ecologica» (211) e un nuovo stile di vita, basato sulla cura, sulla compassione, sulla sobrietà condivisa, sull'alleanza tra umanità e ambiente, inscindibilmente connessi, sulla corresponsabilità per tutto ciò che esiste e vive e per il nostro destino comune (203-208).

Infine, il momento di celebrare. La celebrazione si realizza in un contesto di «conversione ecologica» (216) che implica una «spiritualità ecologica» (216), la quale deriva non tanto dalle dottrine teologiche quanto dalle motivazioni che la fede suscita per provvedere alla casa comune e «alimentare una passione per la cura del mondo» (216). Tale esperienza è piuttosto una mistica che spinge le persone a vivere l'equilibrio ecologico, «quello interiore con se stessi, quello solidale con gli altri, quello naturale con tutti gli esseri viventi, quello spirituale con Dio» (210). Qui appare come sia vero che «meno è più» e che si possa essere felici con poco.

Nel senso della celebrazione «il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode» (12).

Lo spirito tenero e fraterno di San Francesco d'Assisi attraversa tutto il testo dell'enciclica Laudato si'. La situazione attuale non significa una tragedia annunciata, ma una sfida a prenderci cura della casa comune e gli uni degli altri. Vi è nel testo leggerezza, poesia e gioia nello Spirito e un'indistruttibile speranza nel fatto che, se grande è la minaccia, più grande ancora è l'opportunità che ci è data di risolvere i nostri problemi ecologici.

L'enciclica termina poeticamente «Al di là del sole», con queste parole: «Camminiamo cantando! Che le nostre lotte e la nostra preoccupazione per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza» (244).

Mi piacerebbe concludere con le parole finali della Carta della Terra citate dallo stesso papa (207): «Possa la nostra epoca essere ricordata per il risveglio di una nuova riverenza per la vita, per la risolutezza nel raggiungere la sostenibilità, per l’accelerazione della lotta per la giustizia e la pace, e per la gioiosa celebrazione della vita».

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