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L’anacronismo del Family Day

L’anacronismo del Family Day

Tratto da: Adista Notizie n° 24 del 04/07/2015

Anacronistico. È la parola che mi è venuta in mente quando ho sentito, il 20 giugno, dell’ennesimo Family Day, la manifestazione di cattolici tradizionalisti, per protestare contro il ddl Cirinnà, che apre alle unioni civili e alle stepchild adoption anche per quanto riguarda coppie dello stesso sesso. Anacronistico; come è anacronistico ogni integralismo, non per forza violento, che tenta di imporre le proprie idee intolleranti – queste sì contro natura! –, che tenta di convincere gli altri che le novità sono pericolose. 

Sarebbe lungo e complicato immaginare quale modello di famiglia Gesù avesse in testa. Certamente intuiamo dai Vangeli che il suo giudizio non sembra quasi mai positivo, almeno sul concetto di famiglia usato dal potere come controllo sociale. Ma il Vangelo, che anche i cattolici del Family day dovrebbero conoscere e testimoniare, racconta chiaramente di un Dio che ha deciso di mischiarsi al suo popolo così com’è, di intrufolarsi tra gli esseri umani concreti, uomo pure lui, Dio nato da donna. E non è una lezione da poco. Perciò bisogna riflettere sulla voglia attualmente diffusa di non mescolarsi agli altri, bisogna guardare con terrore ai miti risorgenti della razza, al modo in cui trattiamo e discriminiamo stranieri, rom, musulmani, “negri”, gay,  “diversi”; riflettere sul tentativo anticristiano di imporre l’unico modello di famiglia “tradizionale-occidentale”, escludendo modi nuovi di essere famiglia, appartenenti ad altre culture, fedi, tradizioni. Bisogna pensare con preoccupazione agli integralismi raccolti dietro le bandiere o, peggio, dietro i crocifissi assurti a simbolo dell’identità nazionale o di una “normalità” decisa non si sa bene da chi.

Sembra che alzare steccati sia l’impegno principale dei cristiani del Family day, che si illudono di conquistarsi così il paradiso, escludendo gli altri, condannati all’inferno. Nessuno può imporre le proprie idee, soprattutto noi cristiani che, come Gesù, abbiamo invece il diritto-dovere di proporre i nostri valori e, soprattutto, di testimoniarli. I cristiani del Family day devono essere liberi di testimoniare il proprio modo di intendere la famiglia, senza per questo pretendere di imporlo a chi la vede diversamente.

Probabilmente non la pensano così Kiko Arguello e Mario Adinolfi. Il primo, alla manifestazione, ha dato la sua personale interpretazione del femminicidio analizzando le motivazioni che possono spingere un uomo a uccidere moglie e figli: quando la moglie lo abbandona «il primo moto è quello di ucciderla» perché «sperimenta il non essere amato e il non amore è un inferno». Mario Adinolfi  ha toccato per l’ennesima volta la vicenda "scandalosa" della famiglia omogenitoriale del cantautore Elton John. Non so se il bambino di una coppia gay soffra, come sostiene Adinolfi, sono certo che soffre quando è vittima di famiglie etero violente e senza amore.

Con persone saccenti come Arguello, Adinolfi o Giovanardi, che stanno alla Chiesa come Salvini, Borghezio e Calderoli stanno all’Italia, è impossibile discutere, perché sono straconvinti di possedere la verità. Con gente come loro poche volte sono riuscito a confrontarmi. Dopo la mia partecipazione al Gay pride di Roma durante il Giubileo del 2000, mi sono trovato a dover scegliere se infognarmi in discussioni con chi la pensa come Arguello, Adinolfi e Giovanardi o se tentare di incamminarmi con la mia comunità e con chi la frequenta, verso la costruzione di una "diversità riconciliata" (cfr. Evangelii gaudium). Una volta mi illusi persino di discutere con un lefebvriano; alla fine, pacificamente, gli dissi che almeno ci univa la stessa fede in Cristo, mi rispose che non ne era per niente convinto. Allora ho deciso: mentre continuo ad essere aperto al dialogo con chiunque, senza troppo clamore ho cominciato a benedire coppie di gay o di divorziati. Non pretendo di essere nel giusto, ma sono certo che Dio comprenderà e apprezzerà l’intenzione di dare gioia a chi si ama.

Parafrasando papa Francesco, mi convinco sempre più che l’accettazione delle coppie gay e l’accoglienza piena dei divorziati nella Chiesa cattolica, «non sarà il frutto di raffinate discussioni teoriche nelle quali ciascuno tenterà di convincere l’altro della fondatezza delle proprie opinioni. (…). Dobbiamo riconoscere che per giungere alla profondità del mistero di Dio abbiamo bisogno di incontrarci e di confrontarci sotto la guida dello Spirito Santo, che armonizza le diversità e supera i conflitti».

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