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Atei e credenti di fronte al mistero dell’universo. Un nuovo modo di intendere il silenzio di Dio

Atei e credenti di fronte al mistero dell’universo. Un nuovo modo di intendere il silenzio di Dio

Tratto da: Adista Documenti n° 41 del 28/11/2015

DOC-2749. ROMA-ADISTA. C'era una volta un Dio immediatamente accessibile, evidente, presente. A tal punto che - come riferisce su El País (1/11) Manuel Fraijó, il più stretto discepolo spagnolo di Hans Küng - in pieno Illuminismo, in Spagna, i libri che cercavano di dimostrare l'esistenza di Dio erano addirittura considerati pericolosi, essendo la realtà di Dio talmente palese da non richiedere dimostrazione alcuna. Racconta Fraijó che, quando si pensò, durante il regno di Filippo IV (1621-1665), di realizzare una canalizzazione dei fiumi Manzanares e Tajo per far fronte alla povertà della popolazione, un'illustre commissione di teologi si oppose al progetto, con l'argomento che, «se Dio avesse voluto che i due fiumi fossero navigabili, gli sarebbe bastato pronunciare un semplice fiat». 

Ci avrebbe pensato Nietzsche, molto tempo dopo, ad annunciare la morte di Dio, «senza trionfalismo né euforia», come evidenzia ancora Fraijó sulla base delle tre metafore utilizzate dal filosofo tedesco per illustrare le conseguenze di tale morte: «Si svuota il mare, cioè non possiamo più saziare la nostra sete di infinito e di trascendenza; l'orizzonte viene cancellato, ossia rimaniamo senza un riferimento ultimo per vivere e agire nella storia; e, infine, il sole si separa dalla terra, vale a dire che il freddo e l'oscurità invadono tutto e il mondo smette di essere una casa». E ci avrebbe pensato Feuerbach a indicare l'itinerario che l'Occidente avrebbe poi sostanzialmente seguito: «Dio è stato il mio primo pensiero, il secondo è stato la ragione, il terzo e ultimo l'essere umano». 

Ma neppure l'ateismo ha rappresentato la parola definitiva nella storia del pensiero moderno. Perché, come sostiene il gesuita Javier Monserrat, ci troviamo di fronte a un cambiamento cruciale, un cambiamento così importante «da comportare una ridefinizione del modo di vedere l'accesso umano alla metafisica, al teismo, all'ateismo, alle religioni e, in particolare, al cristianesimo». Se infatti, fino al primo terzo del XX secolo, «continuavano a dominare tra i credenti il dogmatismo teista e tra i non credenti il dogmatismo ateo», negli ultimi due terzi del secolo si è prodotto un insieme di cambiamenti «che ha portato con sé l'avversione e il rifiuto per quelle “grandi narrazioni” dogmatiche che pretendevano di fissare con ogni certezza tanto la conoscenza della verità finale dell'universo quanto quella del senso della vita». Un cambiamento culturale, spiega Monserrat, che alcuni hanno definito come “post-modernità”, ma che, a suo giudizio, esprime solo il passaggio da una modernità dogmatica - dominata da «un'“evidenza assoluta della Verità”», sia pure «intesa in maniera diversa da teisti e atei» - a una modernità critica, caratterizzata dall'apertura all'enigma dell'universo e all'incertezza metafisica. Con la conseguenza che, se è vero che ancora oggi teismo e ateismo continuano in gran parte a essere dogmatici, è altrettanto certo che «vivere in accordo con la sensibilità e con lo spirito del nostro tempo» richiede al teismo e all'ateismo antichi una conversione, a partire dal radicale riconoscimento del fatto «che Dio, nel caso esista, sta in silenzio», avendo «creato una natura in cui è verosimile tanto il teismo quanto l'ateismo». 

Non è un caso che, a chi gli chiedeva se si considerasse realmente un cristiano credente, Karl Rahner rispondesse: «Sì, ma non a tempo pieno». Con ciò non intendendo ovviamente, spiega Fraijó, che fosse credente a ore alterne, ma alludendo «al carattere debole, precario, della sua fede». Non per niente «lasciò scritto che essere cristiani non è uno “stato”, ma una meta, un ideale», cosicché, più che “sono cristiano”, sarebbe più corretto dire “aspiro a essere cristiano”. 

In questo quadro, secondo Monserrat, il primo passo da realizzare è «capire in che senso il cambiamento cruciale dal dogmatismo al criticismo presuppone l'apparizione di un modo nuovo, più profondo e radicale, di intendere il “silenzio di Dio”. Ed è qui che entra in gioco il concetto di kènosis: «L'occultamento, lo svuotamento, l'umiliazione di Dio nella creazione, per realizzare un mondo di libertà in cui (…) sono possibili la negazione di Dio e il peccato» e, «allo stesso tempo, l'umiliazione di Dio dinanzi al dramma della storia», un dramma che lo presenta come «una divinità inoperante, impotente, che sembra abbandonare la storia umana alle forze cieche del Male». Perché, come ribadisce Pedro Leiva Béjar, dell'Istituto Superiore di Scienze Religiose San Pablo, solo se si concepisce la creazione come kènosis è possibile «spiegare, allo stesso momento, come Dio conservi la sua onnipotenza e come il mondo si faccia da sé attraverso un'evoluzione retta dalle sue stesse leggi e non previamente programmata». 

Vi proponiamo, in una nostra traduzione dallo spagnolo, ampi stralci dell'articolo di Javier Monserrat e di quello di Pedro Leiva Béjar, apparsi (rispettivamente il 7/7 e il 23/6) sulla rivista Tendencias21, nella sezione “Tendencias de las religiones”. 

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