Nessun articolo nel carrello

«La terra è sacra e non è in vendita». A Nairobi, la Chiesa cattolica sfida il land grabbing

«La terra è sacra e non è in vendita». A Nairobi, la Chiesa cattolica sfida il land grabbing

Tratto da: Adista Notizie n° 44 del 19/12/2015

38368 NAIROBI-ADISTA. La Conferenza Onu sul Clima di Parigi (Cop21) e la precedente visita apostolica di papa Francesco nell'Africa subsahariana sono i due storici eventi che hanno fatto da cornice alla grande Conferenza panafricana “Land grabbing and just governance”, tenutasi dal 22 al 26 novembre nella capitale keniana e promossa dal Secam (il Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar, Accra), in collaborazione con Aefjn (Africa Europe Faith and Justice Network, rete di 43 congregazioni religiose europee, Bruxelles), con la “sorella” Afjn (Africa Faith & Justice Network) e con il Cidse (alleanza internazionale di 17 ong cattoliche per lo sviluppo e la giustizia globale, Bruxelles). L'assise è stata indetta per denunciare le gravi conseguenze dell'odiosa pratica del land grabbing, ad opera di multinazionali e governi non più soltanto occidentali, sui popoli africani e sul loro diritto alla terra, all'autogoverno, alla sicurezza alimentare e, in definitiva, all'esistenza stessa.

Un dramma africano

I soggetti interessati – governi, corporation o fondi di investimento che si sono buttati, dopo l'aumento dei prezzi alimentari nel 2008, sulla produzione di cibo e biocarburanti per il mercato internazionale – descrivono il land grabbing come l'acquisto o l'affitto decennale di vaste aree di terra del Sud del mondo, coltivate poco e con strumenti arcaici, per aumentarne la produttività, con ricadute virtuose non solo in termini di occupazione, ma anche di Pil nazionale per tutti quei Paesi del Sud che permangono stabilmente agli ultimi posti delle classifiche mondiali di sviluppo. Ma in realtà i governi industriali fagocitano pezzi di terra africana anche per sopperire alla scarsità interna di prodotti alimentari, per l'oro blu che vi scorre in superficie e per gli immensi giacimenti di risorse naturali del sottosuolo. L'accaparramento di terre, denunciava il 23 novembre il Cidse, nel comunicato stampa di invito alla Conferenza, «è un problema serio in tutta l'Africa, che richiede urgente attenzione, poiché minaccia la vita e la sicurezza alimentare. Ha già costretto centinaia di migliaia di persone ad abbandonare le proprie terre, privandole di risorse naturali e minacciando i loro mezzi di sussistenza». 

A molti governi africani la cessione di terre economicamente improduttive è parsa sin da subito un'occasione d'oro per fare cassa. Ma invece, per le popolazioni e gli ecosistemi, si è rivelata una sorta di maledizione: l'introduzione delle agricolture intensive industriali nelle zone agricole africane, oltre a sottoporre la terra ad uno stress insostenibile, che rischierà di renderla sterile, introduce monoculture che spazzano via la tradizionale varietà alimentare, fonte di sostentamento per i popoli nativi. A questo si aggiunga l'ingente danno politico (negazione dell'autodeterminazione dei popoli indigeni), ambientale (ogm, pesticidi e inquinamento) e antropologico: l'espropriazione di terre, con le migrazioni che ne conseguono, è preludio della dispersione e della dissoluzione di culture locali secolari dipendenti dalla terra.

I diritti dei popoli e della terra

Per questo motivo anche la Chiesa cattolica è scesa in campo per denunciare il fenomeno e il land grabbing è stato più volte protagonista dei discorsi pubblici di papa Francesco. L'enciclica Laudato si', pubblicata a maggio scorso, invita ad «assumere la prospettiva dei diritti dei popoli e delle culture» e a «prestare speciale attenzione alle comunità aborigene»: «Per loro, infatti, la terra non è un bene economico, ma un dono di Dio e degli antenati che in essa riposano, uno spazio sacro con il quale hanno il bisogno di interagire per alimentare la loro identità e i loro valori. Quando rimangono nei loro territori, sono quelli che meglio se ne prendono cura. Tuttavia, in diverse parti del mondo, sono oggetto di pressioni affinché abbandonino le loro terre e le lascino libere per progetti estrattivi, agricoli o di allevamento che non prestano attenzione al degrado della natura e della cultura».

Francesco è tornato a denunciare il fenomeno anche durante la visita apostolica in Africa. Durante l'incontro del 26 novembre con l'Ufficio delle Nazioni Unite a Nairobi (Unon), ha rivolto un accalorato appello ai partecipanti alla Cop21: «Sarebbe triste e, oserei dire, perfino catastrofico che gli interessi privati prevalessero sul bene comune», ha affermato ribadendo la stretta correlazione tra egoismi privati, sfruttamento dell'ambiente e processi di esclusione dei più deboli. «L’Africa – ha aggiunto – offre al mondo una bellezza e una ricchezza naturale che ci porta a lodare il Creatore. Questo patrimonio africano e di tutta l’umanità subisce un costante rischio di distruzione a causa di egoismi umani di ogni tipo e dell’abuso di situazioni di povertà e di esclusione». Analogo allarme il papa l'aveva lanciato l'11 giugno scorso, presso il Palazzo apostolico, ai partecipanti alla 39ª sessione della Fao: «Preoccupa sempre più l’accaparramento delle terre coltivabili», «che non solo priva gli agricoltori di un bene essenziale, ma intacca direttamente la sovranità dei Paesi. Sono molte ormai le Regioni in cui gli alimenti prodotti vanno verso l’estero e la popolazione locale si impoverisce doppiamente perché non ha né alimenti, né terra».

L'ambiente, frontiera dell'evangelizzazione

“Produciamo ciò che non mangiamo e mangiamo ciò che non produciamo”: con questo «grido dei contadini africani», p. Daniele Moschetti (superiore dei comboniani nella Provincia del Sud Sudan e missionario a Juba) ha titolato il resoconto della Conferenza di Nairobi che ha inviato ad alcuni amici, tra cui Adista. Uno degli effetti del land grabbing è, infatti, la sostituzione delle coltivazioni per la sussistenza e per il piccolo mercato locale con le monocolture per l'esportazione sui mercati internazionali. I piccoli coltivatori africani colpiti sono così costretti a lavorare per conto delle multinazionali, spesso in condizione di schiavitù, e contemporaneamente ad importare il cibo di cui hanno bisogno.

«È la prima volta che vescovi africani, organismi europei, religiosi ed esperti laici del settore promuovono insieme un'iniziativa del genere», ha commentato il missionario. «Il convegno ha evidenziato lo stato del land grabbing in Africa, fornendo statistiche adeguate e riportando casi di resistenza in tutto il continente, nonché le risposte della Chiesa e il suo crescente impegno sul tema. Nella Chiesa sta aumentando la consapevolezza che questa sfida fa pienamente parte dell'evangelizzazione e rappresenta un impegno dovuto per le comunità di contadini, pastori, donne e giovani che vivono di agricoltura».

Secondo il missionario, «stiamo assistendo in Africa al più grande furto di terra nella storia moderna»: i dati dicono infatti che oltre il 60% delle contrattazioni si realizzano sul territorio africano. «I leader politici africani hanno accantonato la saggezza dei loro antenati», ha aggiunto p. Daniele, e hanno «ipotecato le risorse delle future generazioni per un piatto di minestra». Allo stesso tempo, gli operatori economici che acquisiscono terra, se ne considerano proprietari a tutti gli effetti, «violando i diritti delle popolazioni locali, espropriandoli e costringendoli ad andarsene». E questo è possibile anche perché le trattative con i governi africani sono per lo più opache e nascoste: «Land grabbing e corruzione – ha concluso – corrono sullo stesso binario».

Molti i casi emblematici citati in Conferenza, ha raccontato ancora il comboniano. Tra questi, il progetto a partecipazione italiana “Senhuile-Senethanol” in Senegal, con la concessione in affitto di 20mila ettari di terreno della riserva naturale Ndiaël e occupati dagli abitanti di circa 40 villaggi che da anni lottano per fermare il programma (v. Adista Notizie 12/14). È stato poi ricordato il caso dei contadini che in Nigeria e Kenya sono costretti a lasciare i loro villaggi per far posto alle piantagioni di riso della società statunitense Dominion Farms. E poi, ancora, quello della holding industriale francese Bolloré, con le piantagioni di olio di palma in numerosi Paesi africani. Insomma, ce n'è per tutti e per tutti i gusti, a dimostrazione della pervasività del fenomeno e delle conseguenze disastrose sull'ambiente e sulle condizioni di vita dei nativi africani, costretti a scappare o a combattere. Ma la Chiesa cattolica, afferma Moschetti, si sta sempre più schierando dalla loro parte. Durante la Conferenza di Nairobi, i partecipanti «hanno cercato di sviluppare strategie per sostenere e rafforzare le comunità locali nella lotta contro questa minaccia, per costruire resilienza e per fare rete, a livello locale, nazionale e internazionale». Hanno inoltre avvertito «la necessità di aumentare le iniziative di sensibilizzazione e di lobbying in loro sostegno», desiderosi di «seguire il proverbio africano sulla cooperazione: “Quando le ragnatele si uniscono, possono legare un leone”». 

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.