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Trivelle no. Anzi sì. Le contraddizioni nella normativa sulle estrazioni petrolifere

Trivelle no. Anzi sì. Le contraddizioni nella normativa sulle estrazioni petrolifere

Tratto da: Adista Notizie n° 3 del 23/01/2016

38408 ROMA-ADISTA. Gli aggiustamenti apportati dal governo nella Legge di Stabilità 2016 (con i commi da 129-bis a 129 quater) alle normative sulle trivellazione petrolifere non sono stati sufficienti per bypassare il referendum abrogativo chiesto da una decina di Regioni italiane (v. Adista Notizie n. 45/15). La Corte di Cassazione il 7 gennaio ha sentenziato che il quesito sulle estrazioni in mare ha motivo di svolgersi. Bocciati invece i quesiti sul Piano Aree – lo strumento di programmazione volto ad individuare quali aree interdire e quali no alle attività petrolifere, annullato dalla Legge di Stabilità – e quello sulla durata dei permessi e delle concessioni in terraferma. Si è in attesa ora della decisione della Corte Costituzionale che ha rimandato al 19 gennaio, quando questo numero di Adista sarà “in viaggio”, l’esame della questione già previsto per il giorno 13. Intanto, però, mal gliene incoglie, al governo che sperava di eludere il test referendario con i ritocchi apportati alla Legge in fine corsa, a dicembre.

D’altronde, sulle trivellazioni petrolifere in mare e in terraferma, lo stato dell'arte richiama quel «bisogna che tutto cambi perché tutto resti uguale» di cui parlò Tomasi di Lampedusa. Perché sarà vero che la Legge di Stabilità votata il 23 dicembre 2015 ed entrata in vigore il 1° gennaio scorso vieta (con la sospensione delle concessioni) le ricerche di idrocarburi entro le 12 miglia dalla costa (possibili sotto il governo Monti), ma è anche vero che fa salvi tutti i procedimenti collegati a «titoli abilitativi già rilasciati» all’entrata in vigore della Legge di Stabilità 2016 – dunque non necessariamente entro le 12 miglia – e «per la durata di vita utile del giacimento».

Per esempio, nel caso del progetto Ombrina Mare – della società Rockhopper Italia S.p.a (prima Medoilgas) – la sospensione del permesso di ricerca è stata prorogata di un anno, malgrado il permesso avrebbe dovuto essere rimosso proprio in base alla legge di Stabilità 2016 perché tale progetto, fronte Costa dei Trabocchi, in quel di Chieti, insiste all'interno delle 12 miglia marine. Ne informa in data 31 dicembre 2015 il “Bollettino Idrocarburi 2015” del Ministero per lo Sviluppo Economico (Mise). Vi si legge: «La sospensione (scadeva il 31/12/15, ndr) del decorso temporale del permesso di ricerca di cui è titolare la società Rockhopper Italia S.p.a. è prorogata a decorrere dal 1 gennaio 2016 e fino alla data dell’eventuale conferimento della concessione di coltivazione di idrocarburi a mare di cui all’istanza e in ogni caso non oltre il 31 dicembre 2016». Anno durante il quale la piattaforma, nonostante non possa fare per legge nulla, continuerà a esistere, osserva Il Fatto Quotidiano (6/1), in attesa appunto di un eventuale «conferimento della concessione di coltivazione». Contattato dal quotidiano sulla singolarità di una proroga datata il giorno prima dell’entrata in vigore della legge che in teoria l'avrebbe annullata, il Ministero ha risposto che «non si è fatto in tempo a chiudere l’istruttoria» e «la proroga era un atto comunque dovuto entro dicembre 2015 perché finalizzato a mantenere in sicurezza gli impianti esistenti». 

Le mezze verità

Ha fatto poi scalpore il via libera alle trivellazioni al largo delle Isole Tremiti, nel parco naturale del Gargano, al largo di Foggia, in Puglia. E anche qui non mancano le eccezioni alla regola appena espressa nella Legge di Stabilità. È del 22 dicembre scorso il decreto firmato dal Ministero dello Sviluppo Economico che conferisce all'irlandese Petroceltic International, specializzata nell'esplorazione, estrazione e trasporto nel settore oil & gas, la concessione di un’area di circa 373 chilometri quadrati per quattro anni. Il ricavo per lo Stato è quantificato in 5,16 euro per chilometro quadrato, ovvero poco più di 1.900 euro in tutto. Secondo la ministra del Mise, Federica Guidi, tanto scalpore per nulla, perché, ha scritto in un comunicato stampa, «il permesso di ricerca concesso alla società Petroceltic riguarda soltanto, e in una zona oltre le 12 miglia, la prospezione geofisica e non prevede alcuna perforazione che, comunque, non potrebbe essere autorizzata se non sulla base di una specifica valutazione di impatto ambientale». Una verità parziale in realtà, perché il progetto, portato avanti dalla Petroceltic, comprende due zone di mare tra l’Abruzzo, il Molise e le Isole Tremiti che in parte ricadono entro il limite delle 12 miglia marine. Ed inoltre come affermare che «non si prevede alcuna perforazione» quando nel Bollettino prima citato, in merito al «Conferimento del permesso di ricerca “B.R274.EL” alla Società Petroceltic Italia S.r.l.», si legge che l’impresa «è tenuta ad iniziare i lavori di indagine geologica e geofisica nell'area del permesso entro 12 mesi dalla comunicazione del conferimento», ovvero dal 22 dicembre, e «i lavori di perforazione entro 48 mesi dalla stessa data»?

Ma quello che viene taciuto è anche che le ricerche non sono affatto “indolori”: l’indagine per l’accertamento della presenza di giacimenti nel sottosuolo marino viene effettuata con la tecnica dell’“airgun”, esplosioni (ad altissimi decibel) di aria compressa in grado di generare onde sismiche che individuano possibili giacimenti, ovvero spari dannosi per la fauna marina perché possono creare lesioni e in particolare perdita dell’udito, privando varie specie ittiche della possibilità di orientarsi, accoppiarsi e trovare cibo. Sono stati già rilevati casi di spiaggiamento di cetacei dopo il ricorso a questa tecnica. L’utilizzo della quale è stato d’altronde uno dei motivi per cui la Giunta Regionale pugliese, nel 2010, dopo un’approfondita analisi delle conseguenze dell’airgun, emise un «parere sfavorevole di compatibilità ambientale» alla richiesta di «permesso di ricerca idrocarburi denominato “d149 D.R. – N.P.” al largo delle coste della Regione Puglia, in territorio di Monopoli (Ba) e Brindisi, proposto dalla Northern Petroleum (UK) Ltd.».

Tremiti e Costa dei Trabocchi sono solo due delle 24 zone marine per le quali sono stati concessi permessi di ricerca. Ce ne sono ben 90 per la terraferma. E non finisce qui: come ha notato il Corriere della Sera (11/1), «ci sono 143 concessioni per “coltivazioni” di idrocarburi già individuati a terra e 69 in mare». Il termine  “coltivazione” nel contesto minerario equivale ad “estrazione” (di un greggio, peraltro, nient’affatto pregevole a quanto si dice). L’immagine di un’Italia colabrodo è quella che sorge immediata: depauperata dal punto di vista paesaggistico, non è per nulla rassicurante se si considera quanta parte del nostro territorio è sismica. Come si legge nello Speciale “100 anni di Ingegneria Sismica”, pubblicato sulla rivista bimestrale Energia, Ambiente e Innovazione dell’Enea, anche se il nostro Paese vanta il primato mondiale per dispositivi “antiterremoto” a tutela del patrimonio culturale, «oltre il 70% dell’edificato italiano non è in grado di resistere ai terremoti che potrebbero colpirlo, comprese scuole, ospedali e molti altri edifici strategici». 

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