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Soldati di Dio. Un saggio racconta la storia dell’educazione della gioventù cattolica alla guerra

Soldati di Dio. Un saggio racconta la storia dell’educazione della gioventù cattolica alla guerra

Tratto da: Adista Notizie n° 4 del 30/01/2016

38420 ROMA-ADISTA. Un testo di taglio certamente specialistico, ma non privo di interesse anche per un pubblico più ampio, quello recentemente scritto dallo storico Francesco Piva ed uscito nella collana “Temi di storia” presso l’editore Franco Angeli. Il volume si intitola Uccidere senza odio. Pedagogia di guerra nella storia della Gioventù cattolica italiana (1868-1943) (pp. 320, € 35, disponibile anche in eBook, € 24,50). Si tratta di una ricerca che ricostruisce il messaggio educativo rivolto agli iscritti e ai militanti del ramo giovanile dell’Azione Cattolica che, tra il 1868 e il 1943, si confrontarono con il tema della guerra. E con la necessità di esprimersi su di essa, e di parteciparvi, dal momento che in quel periodo – cioè dopo la Breccia di Porta Pia – vi furono diverse imprese belliche che coinvolsero il nostro Paese, dalle conquiste coloniali alla Grande Guerra, dalla guerra civile spagnola al II Conflitto Mondiale. Piva, che ha attinto all’immenso materiale dell’Istituto per la storia dell’Azione Cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI, ripercorre lo sviluppo di questo dibattito, attraverso le argomentazioni pedagogiche e il discorso pubblico con cui l’associazione andò configurando, nelle diverse congiunture storiche, la sua collocazione all’interno del Paese. 

Il lavoro che ne scaturisce è di notevole rilevanza, se solo si considera il fatto che la Società della Gioventù Cattolica Italiana, divenuta in seguito Giac, ossia Gioventù Italiana di Azione Cattolica, rappresentava – dopo le organizzazioni giovanili fasciste – la più importante istituzione aggregativa a livello giovanile che operasse in Italia (nel 1943 sfiorava i 462mila iscritti). 

Inoltre l’autore, già docente di Storia contemporanea presso l'Università degli studi di Salerno e Roma Tor Vergata, si era già interessato della formazione giovanile nell'Italia del secondo dopoguerra, analizzando i casi “opposti” dell'Azione cattolica (La Gioventù cattolica in cammino...". Memoria e storia del gruppo dirigente (1946-1954), del 2003) e del Partito comunista (Storia di Leda. Da bracciante a dirigente di partito, del 2009). 

Questo saggio allarga l’orizzonte di analisi e racconta, altro aspetto di notevole interesse del volume, la dialettica che si creò all’interno del dibattito dei giovani cattolici tra i miti della virilità, della giovinezza, del gesto eroico, della guerra, della “bella morte”, che caratterizzarono la cultura di massa soprattutto a partire dagli anni della Grande Guerra (quando la Giac contava già 300mila iscritti) e il messaggio evangelico, che la pedagogia dell’associazione piegò di volta in volta alle necessità legate alle trasformazioni della società italiana, utilizzando argomentazioni pedagogiche di notevole interesse sociologico.

Infatti, racconta Piva, quando all'inizio del ‘900 la gioventù cattolica iniziò ad assumere dimensioni di massa, venne elaborato un modello di virilità considerato capace di portare il giovane cattolico che è o sarà soldato ad essere preparato ad esercitare in prima persona la violenza fisica su un altro essere umano. All’interno di questa pedagogia assunse un ruolo rilevante l’educazione al contenimento ed alla repressione della propria sessualità e al dominio dei propri impulsi naturali. Così educazione alla virilità ed educazione al patriottismo finiscono paradossalmente per coincidere. E la rigida morale cattolica si trasforma in strumento utile a temprare e rafforzare le qualità fisiche e morali del futuro soldato. «Con ripetitività quasi ossessiva – scrive Piva nell’introduzione – il messaggio suona sempre lo stesso: il giovane che nella gioventù cattolica si addestra a mantenersi puro, si distinguerà in guerra per coraggio e supererà le naturali resistenze ad ammazzare ed a farsi ammazzare. Di più, sarà un ottimo leader, avendo imparato a comandare su se stesso, sarà pronto ad assumersi le responsabilità nelle gerarchie militari. Lui solo è in grado di uccidere senza odiare».

L’esaltazione dell’eroismo dei cattolici in guerra, e in special modo nella Prima Guerra Mondiale, fu funzionale – racconta Piva – sia ad orientare gli iscritti alle virtù militari, sia a dare al Paese il rassicurante messaggio di fedeltà alla monarchia delle masse cattoliche, organico alla definitiva integrazione della Chiesa nella società italiana e al riconoscimento delle sue prerogative nella formazione delle coscienze. Del resto, non è certo un caso se l’uso della metafora militare ed un immaginario di guerra sia penetrato così pervasivamente nella cultura e nel linguaggio dei movimenti del cattolicesimo tradizionalista e reazionario, sino ad oggi.

Durante gli anni ‘30, poi, «fu naturale per l’associazione assecondare la deriva militarista» del Paese; così «la formazione dei militanti si conformò alla cultura politica prevalente in quegli anni, facilitando il cammino del Paese verso la Seconda Guerra Mondiale». Nelle prime fasi della partecipazione italiana a quel conflitto, spiega Piva, la Giac non fece che riproporre i modelli retorici elaborati negli anni della Grande Guerra. «Ma con l’approssimarsi della sconfitta quella retorica risultò inservibile e fu abbandonata. Fu inevitabile: la disfatta militare non poteva non travolgere un modello di virilità considerata in sé vincente, incompatibile quindi con l’umiliazione della disfatta. Senza quel supporto ideologico la morte in guerra perse di senso». Si concluse così un ambizioso progetto iniziato sin dagli albori del Novecento di educazione della gioventù cattolica ad affrontare “cristianamente” la guerra. «Nell’offrire una speranza consolatoria a giovani traumatizzati da tanta violenza, l’associazione ritornò a proporre i sentimenti tradizionali di pietà cristiana, la fiducia nel riscatto salvifico della sofferenza oltre la morte. Nient’altro». Ma, aggiungiamo noi, stava arrivando il comunismo, nuovo “fronte” su cui mobilitare le masse giovanili di Azione Cattolica in uno scontro di civiltà in virtù del quale era di nuovo possibile ricompattare le fila “soldati di Dio”, baschi verdi della “Militia Christi”. 

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