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La famiglia fra il “progetto  di Dio” e il ddl Cirinnà

La famiglia fra il “progetto di Dio” e il ddl Cirinnà

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 9 del 05/03/2016

Dice papa Francesco: «Non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione». Il cardinale Bagnasco le ha brandite come una clava per affollare il Circo Massimo a Roma, il giorno del Family Day, il 13 febbraio. L'Italia è così chiamata un'altra volta dalla Cei – dopo il divorzio, l'aborto, la  fecondazione assistita –  a funzionare in Europa da bastione “cattolico” da difendere con le unghie e con i denti.

Sembra di essere tornati al non expedit dell'800, quando si doveva salvare lo Stato pontificio dalla scomparsa. La caduta della Roma papale, nel 1870, sarà però definita da Paolo VI, 100 anni dopo, «un evento provvidenziale». E anche sulle leggi “simbolo” della resistenza anti-laica nel ‘900, la storia ha fatto giustizia. Talvolta a furore di popolo, talaltra con il bisturi delle Corti. Sul tentativo di regolamentare le unioni civili è però già caduto un governo, di Romano Prodi, e quello di Matteo Renzi traballa.

Dobbiamo perciò continuare ad interrogarci nel merito. Ma allora, stando alle parole del papa, chi non crede in Dio non ha diritto a una famiglia, a sperimentarne le gioie, le responsabilità, anche le angosce? E ancora: nel pieno della modernità, nel XXI secolo, chi oggi è legittimato a definire la famiglia?

La discussione sulle unioni civili fa emergere ancora una volta la difficoltà della Chiesa cattolica (italiana soprattutto) a vivere nella modernità, a misurarsi con il processo di autoaffermazione degli esseri umani, una libertà crescente che si fa secolarizzazione della società e laicizzazione dello Stato. L'impegno a dialogare con la modernità affermato dal Concilio Vaticano II sembra smentito dalla Chiesa ogni volta che la società giunge a un appuntamento sulla sessualità e sulla famiglia, in discontinuità con la tradizione, e decide una svolta.

Il volto della modernità

La modernità si presenta con il volto politico della Rivoluzione francese e il volto scientifico di Darwin e delle scienze umane.

La Rivoluzione francese introdusse il matrimonio civile e il divorzio. Fu un autentico choc, perché le legislazioni civili separavano la dimensione contrattuale (umana) da quella sacramentale (divina) del matrimonio. Per Leone XIII, nell'enciclica Arcanum Divinae (1880), la Chiesa rappresenta l'unica autorità legittimata ad affermare la Verità sul mondo, e perciò ha diritto-dovere di intervenire in un ambito di esclusiva competenza del papa. 

Il papa, con  la “legge divina e naturale”, difende il piano originario di Dio sulla famiglia fondata sul matrimonio, definito con la creazione di Adamo ed Eva – fedeltà, monogamia, indissolubilità, fine procreativo, gerarchia maschio/femmina – poi corrotto e tradito dai popoli e dagli stessi ebrei, fin quando fu ripristinato da Gesù, che al matrimonio dette la dignità di sacramento.

La Rivoluzione scientifica ha comportato una triplice perdita: la Terra è tolta dal centro del cosmo, le specie viventi non sono più create distinte all'origine, l’inconscio riduce lo spazio della coscienza. Con Galileo, Darwin, e Freud, alla religione occidentale sono così sottratti quei fondamenti scientifici e razionali che per secoli erano stati un'ovvietà. Soprattutto, con Darwin la specie umana emerge per selezione naturale dall'evoluzione di specie animali precedenti. Sono note le opposizioni della Chiesa alla scienza moderna e le contorsioni nell'adeguarvisi, a fatica.

Ogni svolta culturale impone un ripensamento delle religioni, anzi della stessa fede. Non si può credere come prima quando la natura e la storia possono funzionare senza Dio, etsi Deus non daretur, secondo regole proprie. Lo stesso concetto di creazione muta di segno.

Crisi della famiglia

Non abbiamo riflettuto abbastanza sulla crisi dell'“unico piano originario di Dio” sulla famiglia. Le scienze umane, dalla storia alla sociologia, dalla psicologia all'antropologia, ne hanno dimostrato l'inconsistenza. Nel branco la riproduzione degli esseri umani avveniva in rapporti casuali, precari, violenti. La famiglia, più stabile, si è strutturata e si è evoluta in tante forme diverse, come modalità più vantaggiosa per la riproduzione della specie.

La Bibbia è stata scritta lungo un millennio, in una cultura di geocentrismo e di fissismo, di patriarcato e di schiavitù: di quel contesto scientifico e sociale la Bibbia è debitrice. I dieci comandamenti dell'alleanza sono pensati per un uomo maschio, libero e proprietario. Come spiegare altrimenti quel: «Non dovrai mai desiderare la casa del tuo prossimo, né la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino» (Esodo 20, 17)? Eppure nemmeno la Bibbia può sottrarsi alla storia: in essa c'è la monogamia ma anche la poligamia, c'è l'indissolubilità ma anche il divorzio, c'è il fine procreativo ma anche quello unitivo. Ha scritto tanti anni fa Ernesto Balducci: «Non si deve chiedere al Vangelo ciò che non può dare. Non si può chiedere al Vangelo una dottrina antropologica, né una dottrina morale, né una dottrina ascetica. Ciò che nel Vangelo appartiene all'antropologia, alla morale, all'ascetica, appartiene alla cultura che fece da contesto all'annuncio dell'evento pasquale. È perciò improprio chiedersi quale sia la concezione cristiana del corpo».

È un’acquisizione recente che anche la storia è rivelazione di Dio. Nell’intervista concessa a p. Antonio Spadaro di Civiltà cattolica, Francesco afferma: «Si cresce nella comprensione della verità. Pensiamo a quando la schiavitù era ammessa senza alcun problema». Nella storia lo Spirito soffia dove vuole: la tolleranza religiosa, la critica alla pena di morte non sono sorte in ambito cristiano. E così l’uguaglianza fra l'uomo e la donna. 

L'emergere alla luce del sole –  dopo secoli di buio – di condanne e di oppressioni, della nuova forma di amore, omosessuale, si colloca nel solco plurale della storia moderna, quello delle “nuove famiglie”: un solo genitore (in seguito a separazioni e divorzi); ricostituite (con marito e moglie alla seconda esperienza matrimoniale); unipersonali (i single); di fatto (unioni libere senza matrimonio). 

Codice storia (Paravia) è un manuale per le scuole medie superiori di Giovanni De Luna, del 2002, l'ultimo che ho avuto fra le mani da insegnante. Delle linee di tendenza parla serenamente. De Luna è uno storico laico, ma a “Religione e religiosità” dedica un corposo capitolo del suo Novecento, e un'ampia analisi alla Gaudium et spes. Per De Luna è il prevalere dell'amore sull'“impresa” (economica e politica) che mette in crisi la famiglia tradizionale, la democratizza, estende la libertà con leggi che depotenziano la figura del padre-marito, consentono il divorzio, depenalizzano l'adulterio e l'aborto, equiparano i figli nati dentro e fuori del matrimonio. Così, però, paradossalmente, l'amore rende anche la famiglia più instabile, quasi che l'essere umano stia imparando a fatica a fondare le famiglie sull'amore. Queste trasformazioni imparano i nostri giovani a scuola, e vi riflettono, mentre la Chiesa cattolica mobilita i cattolici a difesa della “famiglia naturale” secondo il “progetto iniziale di Dio”. E non trova ancora la strada per riconoscere umilmente che Paolo VI nell'enciclica Humanae vitae ha sbagliato quando nella contraccezione artificiale ha visto non un di più di amore per i figli voluti, ma un rifiuto della vita.

Quindici anni fa, nel manuale di Giovanni De Luna, l'omosessualità non compare nemmeno di nome. Corre veloce la storia. La società civile, in Europa, ha inventato a suo tempo il matrimonio civile e il divorzio, e in questi anni ha saputo, in numerosi Stati, riconoscere i diritti civili anche alle coppie omosessuali. Oggi, in ritardo, quando è il turno dell'Italia, i vescovi, sfasati rispetto alla storia, protestano, con qualche divisione all'interno però. 

I cambiamenti non sono una passeggiata idillica. La svolta antropologica è accompagnata da innovazioni tecnologiche che pongono domande inedite, per le quali non abbiamo le risposte già pronte. A colloquio con Gabriella Caramore, a “Uomini e profeti” di domenica 24 gennaio, in una puntata sul tema “I limiti dell'essere umano: assoluti o relativi?”, il filosofo Remo Bodei si è espresso così: «Nella maternità surrogata non trovo nulla di scandaloso, se fatta con amore, ma non deve diventare un mestiere». Lo stesso giorno, su Rocca (n. 2/2016), Giannino Piana motiva invece il suo no alla legalizzazione della maternità surrogata, con ragioni antropologiche ed etiche, anche quando «la disponibilità è frutto di altruismo», tanto che è vietata «nei dispositivi legislativi della stragrande maggioranza degli Stati europei». Il teologo moralista non rifiuta però la proposta di legge Cirinnà, perché la stepchild adoption «si  limita a regolamentare una situazione già esistente: la presenza di una creatura umana venuta al mondo tramite la fecondazione artificiale o l'utero in affitto, e i diritti del bambino godono di un'assoluta priorità». 

Concludo con papa Francesco. Al recente Convegno di Firenze, a novembre, presente il card. Bagnasco, ha detto ai cattolici italiani parole di fuoco: «Non dobbiamo essere ossessionati dal potere, anche quando prende il volto di un potere utile e funzionale all'immagine sociale della Chiesa». Io penso che sia un'ossessione di cui liberarsi la pretesa di possedere la verità sulla famiglia. Il teologo Andrea Grillo considera il matrimonio concordatario addirittura l'ultimo «residuo di potere temporale» in Italia.

Silvano Bert è redattore de “L'Invito”, www.linvito.altervista.org

* Immagine di Kenny Louie, tratta dal sito Flickr, licenzaimmagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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