Er boia de Roma
Tratto da: Adista Notizie n° 9 del 05/03/2016
Nel corso della sua carriera, iniziata appena diciasettenne, e zelantemente proseguita fino al pensionamento, Mastro Titta, il marchigiano Giovanni Battista Bugatti, detto “Er boia de Roma” (1796-1865), ha eseguito più di 500 condanne a morte. Ma le esecuzioni proseguirono anche dopo il suo pensionamento, fino al 9 luglio 1870, quando a Palestrina venne ghigliottinato, in nome del Papa Re, Agatino Bellomo, passato alla storia come l’ultimo giustiziato nel Regno pontificio. Poi le condanne cessarono, non per un soprassalto di misericordia evangelica o di umana compassione, ma solo perché con l’arrivo delle miscredenti truppe sabaude e la conseguente occupazione del Regno pontificio, il Vaticano fu privato della facoltà di applicare la pena capitale. Fu solo una breve pausa, e già nel 1926, con i Patti Lateranensi, si reintrodusse la legittimità della condanna a morte in caso di attentato al Sommo Pontefice. È fonte di disagio costatare che santi e teologi, mistici e religiosi (salvo quale rara voce discorde), nel corso dei secoli hanno giustificato la pena di morte, abolita dagli ordinamenti dello Stato del Vaticano solo nel 1969 da papa Paolo VI (nella Costituzione italiana la pena di morte era già stata cancellata da più di vent’anni) e definitivamente rimossa nel 2001, con Giovanni Paolo II.
Finalmente papa Francesco, domenica 21 febbraio 2016, ha chiesto a tutto il mondo l’abolizione della pena di morte in risposta agli appelli che provengono da associazioni che si battono per l’eliminazione di questa barbarie. Quanti s’impegnano per la soppressione della pena di morte si poggiano sul comandamento “Non uccidere” (Es 20,13). Fondarsi su questo comandamento è però un’argomentazione debole che non può portare lontano, perché il divieto di “Non uccidere” è in realtà un colabrodo: sono previste infatti così tante eccezioni alla proibizione di togliere la vita, che questo comandamento ha sì l’ovvio significato di non uccidere, ma solo chi è innocente. I colpevoli si possono ammazzare, e la lista è lunga. In nome di Dio è prevista infatti la morte per l’omicida e per chi percuote i genitori, per chiunque farà un lavoro di sabato (Es 31,14), e per chi rapisce un uomo, per chi maledice il padre e la madre (Es 21,12-17) e per chi bestemmia (Lv 24,14-16), e anche per il figlio ribelle, sfrenato o bevitore (Dt 21,18-21). Deve essere uccisa anche la donna che pratica la magìa (Es 22,17), e chiunque, uomo o donna, «si accoppia con una bestia» (Lv 20,15-16). Sarà messo a morte chi invita a seguire altre divinità (Dt 13,2-6), gli adùlteri, gli incestuosi, chi «ha rapporti con un uomo come con una donna», chi si unisce alla propria nuora e chi «ha un rapporto con una donna durante le sue regole» (Lv 20,10-12-13.18), mentre la figlia del sacerdote che si prostituisce «sarà arsa con il fuoco» (Lv 21,9).
Per l’abolizione della pena di morte non ci si può pertanto basare sul comandamento di Mosè, ma come ha detto il papa, ci si deve arrivare attraverso «l’ottica di una giustizia penale che sia sempre più conforme alla dignità dell’uomo». Ora si spera che a queste parole seguano azioni concrete, e sia finalmente cancellato l’articolo 2266 del Catechismo della Chiesa Cattolica (1992), dove, incredibilmente, si legittima tuttora la pena di morte: «L’insegnamento tradizionale della Chiesa ha riconosciuto fondato il diritto e il dovere della legittima autorità pubblica di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto, senza escludere, in casi di estrema gravità, la pena di morte».
La pena di morte va abolita non per motivazioni bibliche, religiose, ma semplicemente umane. È il cammino della storia dell’umanità a svelare in maniera sempre più crescente la dignità di ogni essere umano, e non si uccide non perché l’abbia proibito Dio, ma semplicemente perché ammazzare è andare contro la propria natura. Il contrario di uccidere è trasmettere vita, e questa va comunicata e concessa a tutti, a maggior ragione a chi più ne è carente.
Alberto Maggi è teologo, biblista, religioso dell'Ordine dei Servi di Maria
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