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Dall’“Appello dal Popolo di Dio” a papa Francesco e oltre. I 20 anni di Noi Siamo Chiesa

Dall’“Appello dal Popolo di Dio” a papa Francesco e oltre. I 20 anni di Noi Siamo Chiesa

Tratto da: Adista Notizie n° 20 del 28/05/2016

38559 MILANO-ADISTA. 20 anni di intensa attività ecclesiale, quelli che Noi Siamo Chiesa si appresta a festeggiare il 28 maggio prossimo, a Milano, nel corso di una assemblea nazionale dedicata a discutere “La riforma della Chiesa. Quanto è indispensabile, quanto è possibile”, assieme ai teologi Serena Noceti e Franco Barbero, a Francois Becker, del movimento G3I e coordinatore dell’incontro Council50, al presidente della rete dei Viandanti Franco Ferrari, al giornalista Marco Politi. 20 anni che hanno attraversato due difficili e controversi pontificati, per approdare a quello di Francesco, che assieme a molte contraddizioni contiene però – secondo il movimento – anche tanti segni di speranza. E qualche risultato già raggiunto. 

Era l’aprile del 1995, il movimento Wir Sind Kirche nasceva in Austria in modo spontaneo intorno ad un “Appello dal Popolo di Dio” contenente cinque punti per una riforma della Chiesa nella linea del Concilio, ritenuta urgente, necessaria e non più rinviabile. Le adesioni furono milioni in tutta Europa. In Italia l’Appello – che dette origine a Noi Siamo Chiesa – fu lanciato nel gennaio del 1996 su iniziativa di alcuni membri delle Comunità di base. Il grande consenso ricevuto convinse i promotori dell’opportunità di costituirsi in movimento internazionale, con il nome We Are Church. Cosa che avvenne nel novembre del 1996 a Roma, mentre nell’ottobre di quell’anno si costituiva formalmente l’“Associazione Noi Siamo Chiesa”.

Il contrasto con le posizioni di Giovanni Paolo II ha segnato i primi dieci anni di vita del movimento, che nel 2005, alla morte di Wojtyla, diffuse un documento assai critico che segnalava, tra gli aspetti peggiori di quel pontificato, l’emarginazione del dissenso, l’appoggio ai movimenti ecclesiali in funzione restauratrice, il magistero anticonciliare, la nomina dei vescovi dai tratti costantemente conservatori, pur non mancando di ricordare all’attivo di quel pontefice l’incontro voluto con tutte le religioni ad Assisi nel 1986 e, con i suoi limiti, anche il pentimento per i peccati dei figli della Chiesa espresso nel marzo 2000. 

All’elezione di papa Ratzinger, Noi Siamo Chiesa aveva inizialmente sperato in qualche elemento di novità. Ma le cose andarono diversamente, con il papa che passeggiava con Bush nei giardini della Casa Bianca (2008) e poi, qualche mese dopo, nei giardini vaticani. D’altra parte, i sinodi sull’Eucaristia nel 2005 e sulla Parola di Dio nel 2008 non portavano alcuna novità dottrinaria o pastorale. Nel magistero, Ratzinger proseguì ciò che sotto Wojtyla, in qualità di Prefetto per la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva già condiviso. Sul fronte socio-politico, l’eurocentrismo e l’ossessione per il relativismo, la difesa ad oltranza delle “radici cristiane” dell’Europa e la difesa dei valori non negoziabili furono costanti all’interno di un pontificato che, se si mostrò rigido sul piano dottrinale, fu al contempo incapace di gestire la drammatica crisi interna ai rapporti economico-finanziari ed alle lotte di potere della Curia. Fino al clamoroso annuncio delle dimissioni, l’11 febbraio del 2013. 

Con il pontificato di Francesco il Movimento ha invece trovato un clima di maggiore ascolto delle proprie istanze e delle proprie proposte, trovando anche insperate sintonie con il magistero e le scelte pastorali del papa. Di tutto questo, e di un bilancio complessivo di questi 20 intensi anni di vita, abbiamo parlato con il coordinatore nazionale del movimento, Vittorio Bellavite

20 anni di Noi Siamo Chiesa sono un tempo sufficiente per fare un rapido bilancio: quanto nella Chiesa è stato fatto rispetto alle istanze che ponevate e ponete e quanto resta da fare?

Seguo l’elenco dei cinque punti dell’Appello dal Popolo di Dio del 1995 dal quale nacque il movimento We Are Church-Noi Siamo Chiesa, considerandoli solo per quello che hanno ottenuto o no dal sistema ecclesiastico: 

- più democrazia e pluralismo nella Chiesa: le strutture non sono cambiate, tutto è ancora verticistico-gerarchico;

- nuovo ruolo del laici e delle donne nella Chiesa: non esiste alcuna disposizione o indicazione diversa da quelle già contenute nei testi del Concilio; se ne parla molto per non fare niente;

- celibato facoltativo e celebrazione comunitaria che sia più espressione della comunità dei fedeli: sul celibato siamo fermi, sull’Eucaristia il sinodo del 2005 non ha portato a niente di significativo;

- divorziati risposati: i due sinodi hanno portato all’accettazione, silenziosa, tra le righe, della prassi di tanti che si accostano all’Eucaristia come decisione di coscienza;

- regolazione delle nascite: la linea della Humanae Vitae è ancora formalmente in vigore. E per quanto riguarda gli omosessuali, nessuna nuova apertura, neppure nella Amoris Laetitia.

In Italia ai cinque punti del testo dell’Appello dal Popolo di Dio abbiamo aggiunto un sesto punto sulla pace, la giustizia e la salvaguardia del creato: in questo caso, con la svolta di papa Francesco, abbiamo invece ottenuto molto. 

Di solito si parla sempre dell'impatto sulle gerarchie ecclesiastiche delle vostre proposte. Ma in questi 20 anni in cosa ti sembra sia cambiato il "sensus fidei fidelium" sui tanti temi caldi del dibattito intraecclesiale (gay, donne, celibato, morale sessuale, ecc.)?

La mia risposta alla tua precedente domanda dovrebbe portare alla conclusione che l’Appello dal Popolo di Dio è stato rigettato in toto dalla Chiesa. Mi sembra questa una conclusione molto parziale, anche se qualcuno l’ha considerata tale e ha abbandonato il nostro movimento. È appunto il sensus fidei fidelium, cioè la sensibilità dei credenti che ci pare in via di cambiamento, nella linea, anche o soprattutto, di quello che cerchiamo di dire. Ciò vale non solo per l’ala “progressista” della Chiesa; vale, anche se meno, per una generalità di fedeli esterni alle discussioni teologiche o di pastorale, ma ragionano col buonsenso e a partire da una reale vita di fede. Ecco perché continuiamo nel nostro impegno per la riforma, anche se ben sappiamo che i tempi sono lunghi. Siamo confortati dall’accelerazione data da papa Francesco, che è stata imprevedibile e che non ha dato ancora tutti i suoi frutti. Esemplifico: la questione dalle persone lgbt nella Chiesa è posta, prima non lo era per nulla (se ne parlava solo nei testi per i confessori); la presenza delle donne continua ad aumentare nella Chiesa, e il Vaticano ha dovuto fermarsi – nella nota vertenza – davanti alla determinazione delle suore americane; e del diaconato femminile si inizia a parlare; la morale sessuale è, nel senso comune, lasciata alla responsabilità dei coniugi; il celibato facoltativo è condiviso dalla grande maggioranza dei fedeli; la necessità di una Chiesa sobria (anche se socialmente attiva) è desiderata da tutti; le parole di papa Francesco hanno un ascolto vastissimo che scavalca il sistema ecclesiastico. In conclusione, celebriamo il nostro ventennale convinti che sia la volta buona per andare avanti con la possibilità che, alla fine, la riforma, pur se troppo lentamente, si imporrà. 

Ecco, veniamo proprio a papa Francesco, che tu hai già “evocato”. Noi Siamo Chiesa ha espresso in questi anni una valutazione complessivamente positiva del suo pontificato. Su quali aspetti pensi che questo papa abbia maggiormente intercettato le vostre istanze?

Direi anzitutto l’aver dato il segno che il cattolicesimo non è solo o soprattutto l’Europa. Ciò ha avuto riflessi immediati sulla collocazione della Chiesa sullo scenario internazionale: la politica del Vaticano ha acquisito una credibilità che non c’era ai tempi del papa nei giardini della Casa Bianca e di Bush nei giardini vaticani. Una collocazione libera dall’Europa, ma anche dall’Occidente (se si considera il contesto latinoamericano come collocato nel Terzo mondo), permette una politica per la pace efficace.

Inoltre: il passaggio, molto evidente, da un’ottica dottrinale a un’ottica pastorale in tutto il suo magistero. E ancora: il punto di vista degli “ultimi” assunto, in modo tangibile, come priorità e protagonista in tanti suoi interventi, dalla presenza a Lampedusa e a Lesbo agli incontri con i movimenti popolari; lo stop agli interventi di emarginazione nei confronti delle posizioni critiche e di ricerca nella Chiesa (anche se ciò non ha significato ancora alcuna esplicita apertura verso la nostra area “conciliare”); infine, l’intervento sull’ambiente, prima assente dal magistero, che ha fatto proprie le analisi e le proposte più avanzate. Questa lettura è condivisa da tutto il circuito internazionale di We Are Church.

Quello del sacerdozio ministeriale femminile è uno dei temi che in questi 20 anni avete spesso posto alle gerarchie ed al popolo di Dio. Le parole del papa sul diaconato femminile pensi che possano costituire un reale passo avanti nel dibattito?

Il presbiterato femminile nell’impegno di Noi Siamo Chiesa ha avuto meno importanza che non nelle altre sezioni nazionali di We Are Church. Ciò premesso, le recenti parole di papa Francesco alle superiore degli Ordini religiosi indicano un percorso possibile. Sì, è un passo avanti se si tiene presente che prima non si avevano dal magistero che testi asseverativi, e ciò ha significato fare solo passi indietro dal momento che il problema ha continuato a essere posto con sempre maggiore convinzione e mobilitazione da tutti i movimenti riformatori, in particolare, da quelli femminili come il Wow (Women’s Ordination Worldwide). Almeno al diaconato femminile ci arriveremo, anche se con tempi lunghi. 

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