
Fomentare le guerre, frenare le migrazioni. Dossier denuncia il doppio business delle aziende europee
Tratto da: Adista Notizie n° 27 del 23/07/2016
38628 ROMA-ADISTA. Prima esportano le armi che stanno insanguinando la Siria e non solo e poi costruiscono i muri, le barriere, i sistemi di “sicurezza” che impediranno a chi tenta la via dell'Europa di raggiungere un posto sicuro dove rifarsi una vita. È così che alcune grandi aziende europee di armamenti moltiplicano le loro entrate, secondo quanto emerge dal Rapporto “Border Wars: The Arms Dealers profiting from Europe’s Refugee Tragedy” (“Frontiera di guerra. Come i produttori di armamenti traggono profitto dalla tragedia dei rifugiati in Europa”) promosso dalla ong olandese Stop Wapenhandel e pubblicato dal Transnational Institute (in Italia è stato rilanciato dalla Rete Italiana per il Disarmo).
«La crisi dei rifugiati che l’Europa si trova a fronteggiare ha provocato costernazione nei corridoi delle istituzioni ed ha acceso il dibattito nelle piazze», si legge nell'introduzione al Rapporto. «Ma sta soprattutto rivelando le falle dell’intero progetto europeo, con i governi che non riescono ad accordarsi nemmeno sulle quote di accoglienza dei richiedenti asilo e si rimpallano responsabilità e mancanze. Nel frattempo i partiti di estrema destra registrano un’impennata di popolarità sfruttando i sentimenti delle comunità costrette a subire misure di austerità e attribuendo la colpa della recessione economica a un comodo capro espiatorio mentre le élite bancarie restano in gran parte protette e intoccabili. Chi di fatto soffre maggiormente di questa situazione sono proprio i rifugiati e i migranti in fuga da violenze e avversità, i quali finiscono intrappolati alle frontiere o ai confini tra i Paesi e sono costretti a prendere rotte sempre più rischiose».
E non basta. C'è infatti chi di questo dramma ha fatto un business, cavalcando le paure montate ad arte dalla politica: «Sono le aziende del settore militare e della sicurezza – denuncia il Rapporto – che forniscono sistemi e attrezzature alle guardie di frontiera, tecnologie di sorveglianza per controllare i confini e infrastrutture informatiche per monitorare i movimenti delle popolazioni». Le stesse aziende, ed è questo «l’aspetto più perverso dell’intera questione», che producono e vendono armi ai Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa: «Armamenti che stanno alimentando i conflitti dai quali fuggono i rifugiati».
Si tratta, come evidenzia l'ong Stop Wapenhandel, di due mercati estremamente redditizi. «Le esportazioni globali verso il Medio Oriente sono aumentate del 61% tra il 2006-2010 e il 2011-2015» e nel caso specifico dell'Unione Europea, tra il 2005 e il 2014, sono state concesse «licenze per esportazioni di sistemi militari verso il Medio Oriente e il Nord Africa per un valore di oltre 82 miliardi di euro». Lo stesso dicasi per il mercato della sicurezza delle frontiere, che è in piena espansione: «Stimato in circa 15 miliardi di euro nel 2015, si prevede che per il 2022 supererà i 29 miliardi di euro l'anno». «Le politiche europee per i rifugiati, che si sono concentrate sul contrasto ai trafficanti e il rafforzamento delle frontiere esterne (anche in Paesi al di fuori dell’Unione Europea) hanno portato a consistenti aumenti di bilancio di cui beneficiano le aziende del settore». Ecco qualche dato: «Il finanziamento totale dell’UE per le misure di sicurezza delle frontiere attraverso i principali programmi dedicati è di 4,5 miliardi di euro tra il 2004 e il 2020; il bilancio di Frontex, la principale agenzia di controllo delle frontiere dell’UE, è passato dai 6,3 milioni di euro del 2005 ai 238,7 milioni di euro del 2016; alcune delle autorizzazioni all’esportazione verso i Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa riguardano il controllo delle frontiere: nel 2015, ad esempio, il governo olandese ha concesso una licenza di esportazione del valore di 34 milioni di euro alla Thales Nederland per la fornitura all’Egitto di radar e sistemi C3 nonostante le reiterate denunce di violazioni dei diritti umani nel Paese».
«Tra i più importanti attori in questo teatro di disumanità – denuncia il Rapporto – ci sono aziende europee come Airbus, Thales e l'italiana Finmeccanica», tutte e tre non solo protagoniste nel settore della sicurezza dell’UE, ma anche tra le prime quattro aziende europee produttrici ed esportatrici di sistemi militari: «I loro ricavi totali nel 2015 sono stati pari a circa 90 miliardi di euro».
Nella fortificazione dei confini europei – in Bulgaria e Ungheria nella fattispecie – giocano un ruolo anche alcune aziende israeliane («le uniche aziende non europee a ricevere finanziamenti per la ricerca, grazie a un accordo del 1996 tra UE e Israele») che hanno promosso il know-how sviluppato grazie all’edificante esperienza del muro di separazione in Cisgiordania e del confine di Gaza con l’Egitto.
A questo link è possibile scaricare il pdf del Dossier
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